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lunedì 11 agosto 2014

ANNO 526

MUORE PAPA GIOVANNI
LA SINGOLARE FINE DI TEODORICO
AMALASUNTA EREDITA IL TRONO
GIUSTINIANO E LA BALLERINA TEODORA

Rientrato da Costantinopoli a Ravenna, dopo aver fatto l'ambasceria di Teodorico, e non avendo portato con se' un nuovo editto dai contenuti desiderati dal re ostrogoto, soprattutto sul punto chiave (la non espulsione degli Ariani), Papa Giovanni fece infuriare Teodorico.
Se la prese con lui sbattendolo in prigione. Anziano, stanco e malaticcio il papa ci rimase pochi giorni, il 18 maggio usciva dalla galera, ma ne usciva cadavere.

Teodorico coglie subito l'occasione per far eleggere un papa di suo gradimento. Il 12 LUGLIO sale sul soglio FELICE IV, di origine sannita.
Poi si scatena, furente del fallimento.

Teodorico ha ormai 72 anni, ma vuole dare il colpo di coda. Osa contrapporsi all'editto di Giustino.
Prepara un editto e in questo è lui a mettere al bando tutti i cattolici; l'ordine è quello di cacciare da tutte le loro chiese i cattolici.
L'ordine porta una data: il 7 SETTEMBRE. E' il giorno che lui e il suo ministro tale esecuzione del bando doveva venire applicato.
Ma anche il destino ha fissato una data per la sua morte. Ed è la stessa il 7 SETTEMBRE.


Le sorti dell' Impero Romano e dell' Impero d' Oriente, subiscono un'altra volta una deviazione per un attacco di dissenteria a un suo protagonista, cosi come tanti altri, da Alessandro Magno in poi.
Una morte singolare, e la dominazione Ostrogota viene scossa dalle fondamenta.
I suoi fedeli cercano un successore. Tra i tanti parenti, resta solo la figlia Amalasunta, che ha un figlio avuto dal Visigoto di Spagna Eutarico, ATALARICO che sembra Teodorico prima di morire abbia indicato come suo successore.

Ma è ancora piccolo, e la reggente è la madre. Una gota di sangue ma di cultura ormai latina; è nata, cresciuta, educata, in un ambiente romano e sa cosa rappresenta Roma. Vorrebbe fare come il padre quando espresse la sua parte migliore.
Purtroppo deve fare i conti con i veri goti. Gli uomini di Teodorico in tutti questi anni si erano sottomessi al loro re, e come lui aveva insegnato, li aveva abituati a coesistere col mondo romano. Lo abbiamo letto più di una volta, Teodorico era un barbaro, ma aveva conservato le tradizioni romane; e nel mettere mano alle leggi, pur adeguandole alla sua gente, si era sempre avvalso di valenti magistrati del diritto romano; aveva portato rispetto alle istituzioni, e al Senato. Favorì perfino le passioni dei romani, come i giochi, gli spettacoli, le pantomine. Ma la cosa più sorprendente della sua personalità, singolare in un barbaro, fu quella di essere anche un uomo di buon gusto, amante dei monumenti, delle architetture degli edifici pubblici, e promosse anche molti restauri di quelli esistenti.

Gli storici Cassiodoro e l'Anonimo (lasciamo perdere Ennodio che usa troppa enfasi "Ringiovanì Roma e l'Italia, orrende nella loro vetustà"), ci elencano un numero incredibile di opere, erette a Roma, Verona, oltre a Ravenna. Era Teodorico stesso a ricercare con competenza marmi, marmisti, mosaicisti e architetti che hanno dato origine alle opere pregevoli che sono giunte fino a noi.

I suoi goti invece erano e rimasero barbari, e con la forza avrebbero voluto farsi valere di più. E fin quando Teodorico era vissuto li tenne a bada, ma ora salita una donna al trono, ritennero che era giunto il loro momento. Per prima cosa gli portarono via il bambino, che in seguito poi mori. La donna in difficoltà, anche perchè sollecitata a farlo, sperando di associare al trono un uomo fidato, scelse il male minore, quello di sposare il cugino TEODATO.
Che fidato non era, ma piuttosto perverso. Infatti si sbarazzò presto della donna relegandola su un isola del lago di Bolsena.
Amalasunta, eludendo la sorveglianza, riuscì a chiedere aiuto proprio a Giustiniano. Teodato avutone notizia la fece strangolare.
Ma a Giustiniano quell'invocazione gli arrivò comunque.
(ne riparliamo il prossimo anno)


GIUSTINIANO E LA BALLERINA



GIUSTINIANO compie quest'anno 42 anni. Abbiamo già letto nelle pagine precedenti che è un bell'uomo, almeno così è stato descritto e così ci appare in un ritratto ufficiale conservato nel mosaico di San Vitale a Ravenna; ma anche nel Dittico Barberini in avorio, che si trova oggi al Louvre.

Di carattere cordiale, non avvezzo alla mondanità di corte, oltre che avere la passione per il lavoro, aveva anche la passione di vivere una vita libera, consona alle sue origini contadine. Quindi non esitava a unirsi con amici quando voleva trascorrere allegre serate in compagnia, nè tralasciava di frequentare locali animati, pieni di vita godereccia. E fra questi locali non mancavano quelli dove si faceva musica, si ballava, dove c'erano ballerine; locali famosi con belle ballerine.
Giustiniano nel frequentarne uno, iniziò ad avere un debole per una ballerina che era fuori dal comune, avvenente, giovane, ammaliante da fare impazzire più di un uomo.
In breve divenne la sua stregata amante di cui non ne poteva fare più a meno.

La ballerina era TEODORA, figlia di un allevatore di orsi da circo, 18 enne. Tutte le sere si esibiva in un locale dell'ippodromo, affascinando ma anche scandalizzando la capitale, perché si esibiva in vestiti succinti, ballava e si adoperava in pantomime con scene audaci da far impazzire tutti i presenti.
La moltitudine dei suoi amanti, si sussurrava in giro, era enorme, ma una seccante avventura dicono i biografi maligni la fece sparire per qualche tempo da Costantinopoli (forse perché rimase incinta).
Ritornata dall'Egitto dopo un anno, più matura e più saggia, quando riapparve all'uomo che non l'aveva dimenticata, riuscì nuovamente a riconquistarlo. E quell'uomo era GIUSTINIANO che ben presto si trovò disperatamente innamorato di questa donna.

Giustiniano pur avendo (anche se sapeva controllarlo) un temperamento violento, e quel carattere decisamente autocratico (che poi esercitò), nei rapporti con Teodora si trasformò in un suo umile servo, non rifiutandogli nulla, colmandolo di ricchezze, facendosi distruggere dal suo odio-amore.
Il suo era un amore passionale possessivo, mentre l'altro era l'amore affettivo di una donna calcolatrice.
Ma lui non ne poteva fare a meno, e quest'anno, geloso e possessivo com'era, aveva deciso di averla tutta per sé, cioè di sposarla.

Ma c'erano le leggi costantine e ancora più severe quelle teodosiane, che non permettevano a uno di rango imperiale (ma anche a nessun cattolico) di unirsi in matrimonio con una attrice, fra l'altro dal comportamento non proprio irreprensibile.

Ma le leggi non le fanno gli uomini? E non c'era il vecchio zio GIUSTINO imperatore? E Giustino le faceva lui le leggi? Ma nemmeno per sogno! Fin da quando era arrivato il nipote non è stato altro che un suo subordinato; le leggi che il nipote gli prepara, Giustino prende il "nomografo" che gli hanno preparato in una sottile tavoletta e "firma" il suo nome seguendo la scanalatura.

Ma restiamo nelle apparenze formali. Giustino per compiacere il nipote prese le leggi in mano, ne abrogò la parte in questione che proibiva legami di senatori e alti funzionari con attrici e saltimbanchi, e permise al carissimo nipote ufficialmente di sposare la sua amante.

Quando il prossimo anno - dopo la morte dello zio- Giustiniano verrà incoronato imperatore, la stessa TEODORA fu incoronata Augusta imperatrice. Un fatto questo che ebbe parte determinante nell'indirizzare o nell'opporsi al corso degli eventi (politici e religiosi) di tutto l' impero.

Occorrerebbero molte pagine per illustrare la biografia di questa singolare donna che influenzò Giustiniano e l'impero per i restanti 22 anni di regno, tante sono i suoi interventi sulla politica, sulla religione, sulla cultura, sulla ricostruzione delle città, sui monumenti che ci sono giunti fino a noi.
Molti di questi anche a Ravenna, Milano, Roma e ovviamente a Costantinopoli i più grandiosi.
Teodora voleva passare ad ogni costo ai posteri, e i posteri la ricordano con i grandi monumenti, le basiliche (S. Sofia ), gli edifici pubblici, le terme e... anche dentro le leggi Giustiniane. Perché in quelle del divorzio, sulla prostituzione, sull'adulterio, Teodora non mancò di dare il suo contributo di "esperta". Conosceva l'ambiente, le debolezze umane, e i paradisi o gli inferni di una donna.

GIUSTINIANO parlando di ogni cosa del suo governò iniziava sempre "Io Giustiniano con la onoratissima moglie che Dio mi ha dato", oppure nel propugnare una legge, nell'esporla premetteva "il suo dolcissimo incantesimo mi ha suggerito...."

I suoi contemporanei sono d'accordo nell'affermare che essa non si faceva scrupolo di servirsi del suo influsso illimitato e che la sua autorità era pari a quella del marito, se non più grande.
Anche perchè i suoi biografi, anche quelli che gli hanno tessuto le lodi, non mancano di sottolineare che Giustiniano oltre che le qualità positive, aveva una volontà debole, una vanità infantile, un'indole gelosa (non solo riferita a quella amorosa), e un attivismo confusionale. Era inflessibile ma anche spesso vacillante. E mutamenti repentini di umore, dalle passioni più avventate, a quelle depressive.
La fama di Belisario ad esempio lo rose d'invidia per tutta la vita.

Mentre questa donna ambiziosa, ma molto intelligente, costante nella sua forza, possedeva molte eccellenti qualità che giustificavano il grande potere da lei esercitato fin dal primo istante quando a 18 anni lo conobbe e lo rese schiavo. Era dotata di un coraggio incrollabile, come dimostrò nella difficile occasione dell'insurrezione di Nika (mentre il marito impaurito fuggiva), di una grande energia, di una risolutezza maschia, di una mente decisa e limpida e di una forte volontà di cui spesso si serviva per dominare l'indeciso GIUSTINIANO (che nel suo attivismo confusionale non aspettava altro per togliersi d'impaccio)
A queste doti Teodora univa senza dubbio difetti e perfino vizi, essendo dispotica e dura, amante del denaro e del potere. Per conservare il trono su cui era salita, sarebbe ricorsa all'inganno, alla violenza e alla crudeltà, implacabile com'era nelle sue antipatie. Appassionata nei suoi amori come nei suoi odi, favoriva i propri protetti, ma stroncava gli altri senza scrupolo.

Scaltra e ambiziosa, voleva avere sempre lei l'ultima parola, e in genere si dice che ci riusciva. Mise mano a ogni questione politica e religiosa; in diplomazia GIUSTINIANO non decideva mai nulla senza il suo parere. Essa faceva e disfaceva a proprio piacimento Papi e Patriarchi, ministri e generali, e non temeva neppure suo marito, qualora lei non era d'accordo (come a Nika).
Nelle questioni femminili, lo abbiamo detto, intervenne di persona a mettere nelle riforme dei "Codici Giustiniani" le questioni che interessavano le donne, quindi misure sul divorzio, l'adulterio, la santità del vincolo matrimoniale; e quelle intese ad assistere le attrici (!) e le prostitute. Dotata per natura di istinto politico comprese perfettamente l'importanza che andava assumendo la "questione religiosa". Giustiniano se ne interessava studiando i problemi teologici, e gli piaceva parlare ai sinodi e ai concili dove interveniva di persona per pontificare con un estremo piacere le sue astratte teorie sulla unità delle due "nature" del Cristo, mentre invece TEODORA sapeva scorgervi in quei disaccordi gli aspetti essenziali dei problemi politici.

Seguace del monofisismo Teodora non riuscì a farlo trionfare. Ma non è tutto merito di Giustiniano se le cose andarono diversamente. Nel 533 al concilio di Calcedonia, Giustiniano fece condannare i Tre Capitoli, cercando di accontentare i monofisiti: in realtà la sua azione non portò ai risultati sperati perché creò uno scontento generale che aumentò la tensione preesistente.

Insomma per chiudere questa breve biografia, che occuperebbe cento pagine, e sarebbero ancora riduttive, basterà dire che se GIUSTINO ebbe bisogno di suo nipote per governare.
GIUSTINIANO ebbe bisogno di sua moglie TEODORA per fare altrettanto. E non sapremo mai se fu lui grande o se fu la moglie ad essere tale, o a ispirare o a sostituirsi a lui perché lo diventasse.

domenica 10 agosto 2014

ANNO 525

PAPA GIOVANNI A COSTANTINOPOLI
UN FALLIMENTO -E UNA VITTORIA

Come abbiamo anticipato lo scorso anno, TEODORICO, dopo l'editto di Giustino (la messa al bando degli ariani) sentendosi perso e quasi condannato non vuole finire così una carriera, ne vuole vedere la soppressione della sua religione nel suo regno:
Lui come sappiamo è stato sempre tollerante, ha permesso come ai tempi di Marco Aurelio che ognuno si occupasse della sua religione senza ostacolare quella degli altri, per il convivere civile, per la tranquillità del regno.

E che tale tolleranza dal popolo e dal clero di entrambi le due religioni, fosse ben accetta ce lo conferma un periodo di relativa tranquillità nel resto di tutta Italia.

Gli incidenti nell'arco di venticinque anni non sono in certi casi mancati, ma sempre circoscritti in alcuni territori; ovviamente Roma era quello più irrequieto, sia perchè c'era il papato, e sia perché convivevano due fazioni (l'aristocratica e la plebea) che si contrastavano fortemente soprattutto quando avvenivano le elezioni del pontefice. Ognuno voleva l'elezione del suo rappresentante.
I campioni nell'accendere la miccia nelle dispute, anche pretestuose, erano sempre gli ariani (la milizia barbara a Roma era notevole), gli ebrei (per altre ragioni), e i cristiani; quest'ultimi divisi fra l'altro in due correnti di pensiero, quella bizantina e quella cattolica.

E' dunque a Roma che scoppiavano continuamente liti violente, turbative nelle funzioni, incendio di basiliche, sinagoghe o chiese ariane. I tumulti spesso sconfinavano in vere e proprie battaglie cittadine con vittime da entrambi le parti. Lo abbiamo già letto, Teodorico si era sempre destreggiato nell'appianare questi contrasti, meritandosi anche molte lodi di saggio moderatore.
Del resto questi intralci venivano da personaggi ininfluenti, quindi le preoccupazioni erano realative. Era lui ad avere in mano lo stato, l'esercito, l'autorità.

Ma con l'editto, ora era tutto diverso. TEODORICO, ebbe la netta impressione che il mondo gli stava crollando addosso, non sapendo cosa fare, convinto che con l'editto sarebbe venuta meno anche la sua autorità, si rimette a Papa GIOVANNI per un intervento a favore di questa tolleranza che invece lui - questo voleva sottolineare- aveva sempre praticata. Ecco perchè invia proprio dei cristiani per intercedere presso l'imperatore.

Convinse così il Papa, cinque vescovi e quattro senatori a recarsi da GIUSTINO a Costantinopoli.
Abbiamo già letto lo scorso anno, che genere di complicità c'era nell'appoggiare questa nuova politica religiosa improvvisamente sortita da Costantinopoli. Teodorico era andato in collera, mandando al patibolo per tradimento presunto alcuni suoi stimati collaboratori. Che indubbiamente non agivano da soli (Oltre Boezio, quest'anno manda al patibolo anche suo suocero il senatore Simmaco).

In questo terrore seminato dalla collera di Teodorico, molti non si esposero più con i giudizi, si sottomisero al suo volere, soprattutto quelli che non erano dentro nell'ambiente del clero. Che quest'ultimo remasse contro il sovrano ostrogoto non era un mistero. La politica religiosa di Teodorico sulla penisola era sì stata tollerante, ma intanto le sue alleanze con i regni barbari iniziavano a preoccupare non poco. Ed alcuni storici giustificano i cattolici questo mettersi contro il sovrano, perché non dava a loro più nessuna garanzia. Come politicamente non le dava a Bisanzio. L'esercito in Italia era guidato da Teodorico, e lo stesso re ostrogoto aveva fatto di tutto per allearsi con gli eserciti dei regni barbari. Spesso dimenticandosi che era un delegato bizantino.

Teodorico mandò un suo esercito a dar man forte a Mundo un capo predone che dai Balcani seguitava a scendere con i suoi uomini a fare razzie a Bisanzio; il generale di Teodorico mise in fuga l'esercito bizantino che si era deciso ad attaccare il predone. Allo steso modo Teodorico si comportò quando una flotta di Anastasio volle attaccare le coste pugliesi e calabre; Teodorico schierò una sua flotta per contrastarla e metterla in fuga. Un delegato bizantino che si comportava così, con questa arrogante autonomia, e perfino con delle ostilità doveva eccome preoccupare Bisanzio!

La tesi che l'accordo (l'editto dell'espulsione degli ariani) sia stato fatto in complicità tra la chiesa Romana e Giustino viene abbastanza accreditata quando si legge dagli storici la cronaca dell'arrivo dell'ambasciata inviata da Teodorico a Bisanzio.
Papa Giovanni, all'arrivo a Costantinopoli, l'imperatore Giustino con una processione lunga 12 chilometri fuori dalle mura della città lo attese e lo ricevette in grande sfarzosa pompa. Spese quasi 300.000 solidi in elargizioni alla popolazione e per organizzare feste in suo onore, attirandosi la popolarità dei cittadini, dell'aristocrazia, del clero; tutti osannanti.

Il Papa illustrò, non sappiamo se con solerzia o con fastidio, la richiesta ambasciatoria che faceva TEODORICO; che era quella di riaccogliere nell'ambito della chiesa gli ariani che ne erano stati espulsi. Ma GIUSTINO (a parlare è sempre e comunque GIUSTINIANO ) confermò la propria intransigenza nei confronti dell'arianesimo. Alla fine gli ambasciatori lasciarono Costantinopoli senza aver cambiato proprio nulla dell'editto imperiale che quindi rimaneva in vigore in tutto l' impero. Teodorico al ritorno, avvenuto nei primi mesi del prossimo anno, infuriato se la prese con papa Giovanni; lo scaraventò in prigione. L'età, gli strapazzi del viaggio, più la galera gli furono fatali, il 18 maggio il papa moriva.
La tensione religiosa da questo momento si fa ancora più acuta. TEODORICO si scatena; ma non andrà molto lontano, come vedremo.

ANNO 524

TEODORICO - VERSO LA ROVINA
L'EDITTO ANTIARIANO DI GIUSTINO
I FRANCHI - COSA SI FA PER IL POTERE!
PERSIA - L'ELIMINAZIONE DEL "COMUNISTA"

Vecchio e malato (ha 70 anni) Teodorico è diventato diffidente con tutti i suoi collaboratori, sta attraversando un periodo di decadenza senile che lo porta a prendere decisioni tipiche di colui che ha l'impressione di essere esautorato o di essere oggetto di atti persecutori.

Ma ne aveva le ragioni, perché anche in occidente è piombato l'editto dello scorso anno di Giustino che mette al bando su tutto l' impero l'Arianesimo.

A Teodorico sembrò molto chiaro il provvedimento: prendeva di mira lui, i suoi ostrogoti, il suo governo. Cioè veniva messa in discussione tutta la sua politica religiosa in occidente. Che però come nella politica estera (i famosi matrimoni) era stata la sua sempre tollerante ma piuttosto ambigua.
Quantunque ariano aveva comunque accordato la sua protezione alla chiesa cattolica. Un atteggiamento questo -diranno i suoi denigratori- solo per conciliarsi le simpatie dei vescovi soprattutto nell'Italia settentrionale. Che a loro volta accettarono questa situazione, o perché temevano le conseguenze, o perchè attendevano con pazienza tempi migliori
E anche a Roma Teodorico più di tanto non s'ingerì nelle agitate elezioni dei pontefici; e quando lo fece, come nel 498, nella disputa fra Simmaco e Lorenzo, con una singolare risoluzione, diede ragioni ad entrambe le due fazioni, e i due furono eletti contemporaneamente. Non accontentando così nessuno, che ripresero a scannarsi l'un l'altro.
Di sinodi, concili, congressi religiosi ce ne furono a iosa, di dibattiti violenti pure, e lotte, sommosse e scontri tra le due fazioni non mancarono di insanguinare le vie e le piazze.
Ma Teodorico si destreggiava (e fu anche ammirato per questo), scantonava, consigliando solo di sistemare al meglio le dispute, e che era compito del clero porre fine ai contrasti religiosi, e non la "missione" di un soldato. Insomma sembrava dar prova di imparzialità e nello stesso tempo di fermezza. Di casi a favore dei cristiani se ne contano molti, a favore degli ebrei pure. Proprio quest'anno, a Verona, i cristiani incendiarono le sinagoghe degli ebrei; intervenne Teodorico ingiungendo ai cristiani di riedificarle a proprie spese.
Ma anche i danni inferti a un cattolico, un certo Aureliano, Teodorico intervenne per farlo rientrare in possesso quanto gli era stato sottratto. Nelle distruzioni fatte dai suoi soldati alle chiese, chiamò un vescovo a quantificare i danni e a rimborsarli.
Stabilì anche norme che le vertenze ecclesiastiche venissero riservate a giudici ecclesiastici.

Ma sulle tribù barbariche di frontiera e oltre queste, all'origine tutte ariane, seguitò ad esercitare una sorta di protettorato ariano. Che in alcuni casi fallì, nonostante i matrimoni, come nel caso dei Franchi convertiti al cristianesimo, o dei Borgundi. " Il suo obiettivo - scrive l'Anonimo- nel fare i più singolari matrimoni, era di estendere la sua sfera d'azione nelle popolazioni barbare anche con la religione, per vie indirette voleva ingraziarsi tutti i popoli". Poi, prima con i Franchi, e ora anche in quell'Italia che fino ad ora lui aveva usato una certa calcolata tolleranza di riguardo, non raccolse i frutti sperati.

Quando giunse il provvedimento di Giustino, si sentì profondamente ferito. Crollava tutta la sua opera. Ci vide un complotto, e chi anche se non palesemente l'appoggiava questo editto, lo considerò un traditore da mandare a morte. Una denuncia di Cipriano verso ALBINO incolpato di intrighi con Bisanzio, pur essendo un suo fidato collaboratore, Teodorico lo accusò di tradimento e lo fece giustiziare lasciando sconcertati un po' tutti, amici e nemici.
Che ci fosse un appoggio senatoriale e una macchinazione anche del Papa non è stato dimostrato, ma un altro patrizio SEVERINO BOEZIO, magister aofficiorum, sconvolto per la morte di Albino, si è permesso quest'anno di accusare Teodorico di assassinio con una dichiarazione quasi ostentata affermando pubblicamente "se Albino ha scritto a Costantinopoli lo ha fatto con il consenso mio e dell'intero Senato." (e se parlava così, vuol dire che si sentiva protetto - ma questa protezione poi venne a mancare)
Infatti questa audacia autoaccusatoria provoca Teodorico che fa mettere in carcere anche lui. Boezio nella sua prigionia scriverà una delle sue più belle opere (De consolatione) ma poi dopo uno sbrigativo processo viene condannato a morte in un modo perfino sadico.
Teodorico sta insomma perdendo le staffe e sta accelerando la dissoluzione del regno ostrogoto da lui fondato in Italia in un quarto di secolo.

In questa crisi cercò di trovare una via d'uscita, ma fallì anche in questo tentativo. Inviò a Costantinopoli (ne parleremo ancora il prossimo anno) una delegazione addirittura con a capo Papa Giovanni e cinque vescovi cristiani per evitare l'espulsione degli ariani alla corte di Ravenna; ma a Bisanzio era cambiata tutta la politica dei compromessi, Giustino (meglio dire Giustiniano) confermò la propria intransigenza nei confronti dell'arianesimo.
Il prossimo anno dopo il ritorno della fallimentare ambasciata Teodorico perse il controllo della situazione e di sé; preparò un editto in base al quale tutti i cristiani cattolici avrebbero dovuto essere cacciati dalle chiese il settimo giorno delle calende di settembre del 526.
Ma prima della pubblicazione dell'editto Teodorico moriva per un attacco di dissenteria.

A Costantinopoli ne furono felici. Se Giustiniano aveva già iniziato a dare una svolta alla politica imperiale, la morte di Teodorico accelerava il disfacimento di tutta la ultradecennale dominazione ostrogota, da molto tempo in Italia e a Costantinopoli tollerata, prima da Zenone poi da Anastasio.

Ma non fu semplice. L'eliminazione di un vassallo che aveva spadroneggiato, se contribuirono a sollecitare un intervento di Giustiniano in Italia, aprirono anche quel conflitto che andò poi a insanguinare l'Italia dal 536 al 553. Una caotica situazione che permise una nuova invasione di barbari, piuttosto consistente, e questa volta permanente: quella dei Longobardi.

I FRANCHI - COSA SI FA PER IL POTERE!
IN FRANCIA i quattro figli di Clodoveo, in una nuova campagna contro i Burgundi, in uno scontro rimane ucciso CLODIMIRO. Gli altri due CLOTARIO e CHILDEBERTO fanno uccidere i suoi figli la moglie e il loro seguito, evitando così la successione e si spartiscono il regno del fratello. Il regno di Orleans.
Dai generali romani hanno imparato anche questo! E non finisce qui!

L'ELIMINAZIONE DEL COMUNISTA MAZDAK
IN PERSIA, COSROE che è figlio di Re Kavadah, il sovrano che aveva preso come consigliere quel MAZDAK con dottrine comuniste che abbiamo già illustrato nel 497 (vedi), si stacca dal padre e dalla sua politica sociale. Appoggiato da tutta la borghesia terriera in fermento, che stava assistendo alla disgregazione del proprio potere oligarchico, organizza un confronto con i teologi persiani con questo rivoluzionario per capire e approfondire meglio le sue rivendicazioni.
Mazdak viene convocato a palazzo, ma prima ancora di essere ascoltato, viene subito proditoriamente ucciso. E contemporaneamente si scatena il massacro dei suoi seguaci intervenuti alla conferenza.
Si instaura una politica del terrore peggiore di prima, che riconduce nell'alveo di un'accettazione passiva delle nuove angherie. Erano state questi i motivi che avevano scatenato le ribellioni sociali di tanti poveri contadini sfruttati.
Perdenti e sfiduciati dopo aver perso il loro grande capo carismatico, quelli scampati al massacro debbono ritornare con la testa china a riprendere in silenzio i lavori sotto il potere feudale, pena la morte.
Un'idea comunista fallita nel sangue , ovviamente per aver predicato l'eguaglianza, l'equa distribuzione delle proprietà, la distribuzione delle terre incolte, migliori salari e meno sfruttamento.
Insomma un Marx in miniatura con un'ideologia molto simile.

Kavadah, quasi uscito esautorato da questa rivoluzione dello stato, governerà con moderazione nei confronti della borghesia fino al 531 (vedi), ma salito sul trono il figlio, Cosroe cambia radicalmente lo stato sasanide.

ANNO 523

I FIGLI DI CLODOVEO
ALTRO ASSALTO ALLA BORGUNDIA

Nonostante i matrimoni, nonostante le buone intenzioni, la conversione, e l'accettazione di una protezione dei Franchi, il giovane re dei Borgundi, Sigismondo, piuttosto ribelle a tutte queste imposizioni, che significa la perdita di una autonomia nel proprio regno, provoca intenzioni guerresche ai quattro fratelli Franchi, che anche se stanno architettando fra di loro di farsi fuori l'un l'altro per allargare il loro frammento di regno ereditato dal padre Clodoveo, questa volta si uniscono per sottomettere definitivamente la Borgundia. Che però sono deboli come re, ma come soldati sono una forza considerevole capace di respingere anche i Franchi.

Con varie campagne, i quattro fratelli, tentano più volte l'assalto, fin quando nel corso di uno dei tanti scontri, sconfiggono uno dei reparti guidati dal re borgundo, e catturano proprio Sigismondo. Nella fuga si era rifugiato in uno di quei monasteri che Clodoveo al concilio di Orleans aveva creato come "luogo sacri" inviolabili, quindi stabilito il diritto di dare asilo politico ai perseguitati di ogni genere.

I figli non rispettano questo diritto, irrompono nel monastero, catturano Sigismondo, e gli immergono la testa in una fontana, il tempo necessario per farlo affogare.

Ma nonostante la cattura e la morte di Sigismondo, i Franchi non hanno ancora vinto i Borgundi. A riprendere in mano l'esercito è il fratello GONDEMARO, che oltre che succedergli sul trono, con una offensiva riesce nuovamente a respingere i franchi. Dopo questa guiderà poi egregiamente i suoi uomini per altri dieci anni, e sempre a spese dei Franchi

Come vedremo nei prossimi anni, questa alleanza dei quattro fratelli franchi durerà molto poco; forse lo scopo della cooperazione militare era quello di allargare prima il regno, per poi assassinarsi a vicenda per impossessarsene.
Se in occidente la situazione è ancora quella dove spadroneggiano regni barbari vassalli più o meno di Teodorico, lo stesso Teodorico come vassallo bizantino spadroneggia in Italia. Ma a Costantinopoli ragioni politiche e religiose sotto la regia di Giustiniano (anche se gli editti sono di Giustino) stanno concorrendo a sollecitare un intervento imperiale non più disposto a tollerare in Italia nè l'ostrogoto, nè la sua politica religiosa ariana.
Esce l'editto di Giustino che mette al bando l'arianesimo in tutto l'impero.
(ne parliamo il prossimo anno)

ANNO 522

IN AFRICA MUORE TRASAMONDO RE DEI VANDALI

Sale sul trono dei Vandali che fu di Genserico, ILDERICO, un sovrano vandalo anomalo, con una formazione culturale tutta bizantina e non barbara. Fin da giovinetto, come era in uso allora, per far rispettare gli accordi tra Bizanzio e i Vandali, il bambino fu preso in ostaggio dai bizantini. Come era accaduto a Teodorico, quasi recluso alla corte di Costantinopoli, qui aveva studiato, qui ricevette la sua formazione culturale,
TRASAMONDO suo padre era salito sul trono nel 484, dopo la morte del figlio di Genserico, cioè Unerico, che si era rivelato appena salito sul trono prima un insofferente, poi nei successivi sei anni, fin quando visse, un accanito persecutore dei cattolici.
Trasamondo succedendogli non aveva proseguito questa suicdia politica, ma non è che aveva cambiato le idee nei confronti della religione cattolica. Non la perseguitava ma sempre insofferente ne era, abbastanza per andare d'accordo con la politica di Teodorico in Italia.

Nel giro di alleanze che Teodorico aveva impostato fra i barbari, al re vandalo Trasamondo per farselo alleato aveva dato in sposa la sorella. Quando nel 500, gli mandò in Africa AMALAFRIDA lo fece in gran pompa magna mettendo in mare una intera flotta. La fece scortare da 1000 notabili Goti, gli diede 5000 schiavi abili alle armi in dote, e in aggiunta gli diede quella Sicilia che aveva riscattato dopo aver sconfitto in Italia Odoacre.
Teodorico dandogli la sorella credeva di cementare quella costruzione che gli stava tanto a cuore: la unificazione dei barbari sotto un'unica bandiera. Dal Reno all'Africa, dalla Senna al Danubio.

Accarezzava il sogno di una grande coalizione con tutti i dinasti germanici di fede ariana, per fare un un grande impero occidentale di barbari. Con dentro Visigoti spagnoli, Vandali africani, Franchi, Germanici, Turingi, Eruli e Ostrogoti.
L' estensione di questo grande territorio che sognava, era notevole, comprendeva quasi tutta l'Europa, ad esclusione solo di Bisanzio.
Da quel matrimonio combinato, fra Vandali e Ostrogoti, era nato subito dopo Ilderico. Ma appena grandicello, come abbiamo accennato già sopra, come garanzie a certi patti, al piccolo fu riservato un soggiorno-ostaggio a Costantinopoli.
Anche se quasi recluso, studiando a corte, il ragazzo cresciuto in questo ambiente, ebbe modo di approfondire non solo la politica, le buone maniere, le istituzioni bizantine, ma anche i rapporti religiosi che da tempo dividevano i due mondi.
Cosicchè salito al trono, pur sostenendo la diffusione dell'arianesimo nell'ambito del regno vandalico, evitò di norma il ricorso a metodi violenti

Purtroppo pur con questa inclinazione alla moderatezza, pur dotato di fascino e garbo nei rapporti con i suoi ex educatori, che gli avevano insegnato l'assennatezza e il pregio di una vasta cultura, la sua nomina coincise con la salita al trono -anche se non ancora formalmente avvenuta- di Giustiniano, che inizia fin dalle prime battute a migliorare la posizione -oltre quella politica- dell'episcopato ortodosso, non solo sul suo territorio, ma anche in Africa, creando non pochi problemi al re vandalo.

ANNO 521

GIUSTINIANO PATRICIUS

In questa data GIUSTINO conferisce a suo nipote il titolo di patricius e il titolo di console.

Anche se sono dello zio queste volontà formali, queste disposizioni che sembrano già una indicazione per la sua successione al nipote, l'autore del documento è lo stesso Giustiniano.
Al confusionario Giustino, inesperto in tutto ( a parte l'arte del soldato) che sapeva appena leggere, ma non scrivere, non parve vero di avere un nipote che era sceso nella capitale e gli si era presentato con un'intelligenza così matura.
A Giustino per firmare i documenti - raccontano gli storici- gli venne fabbricata un'asticella scanalata all'interno che lui con la penna percorreva (una specie di normografo).

Giustiniano non ha perso tempo dentro i suoi numerosi uffici del Palazzo, dove si aggira notte e giorno, rivolgendo attenzione a ogni cosa, anche nei dettagli. Dai funzionari lui vuole sapere tutto, conoscere ogni cosa, discutere di ogni argomento, esaminare le carte di ogni affare, così quelle diplomatiche, militari, amministrative. Ed essendo un grosso problema quello religioso, convoca a palazzo teologi delle due fazioni in lotta da anni; vuole capire.

Prende in mano subito lui l'intera amministrazione dello Stato. E' lui nell'ombra che sta già delineando il futuro del nuovo impero bizantino. Era ansioso di esercitare il potere imperiale -anche se di fatto lo esercita- e dovette anche soffrire, lui che sentiva il bisogno di far sapere a tutto il mondo, con quanto zelo si stava applicando per riportare l'impero all'antica dignità imperiale romana. Perché a questa guardava; la restaurazione del grande "Impero Romano". Il suo compito era quello di far ritornare l'impero alle antiche tradizioni dei Cesari.
Già si sentiva il successore e l'erede vivente di quegli uomini che avevano contribuito ad estendere la loro sovranità fino ai confini dei due oceani. E soffriva nel prendere coscienza che buona parte dei territori, erano caduti in mano a dei barbari ignoranti ed arroganti.
Proprio per questo suo impegno - poichè poi riuscì a ricoprire degnamente questo ruolo di restauratore- Giustiniano fu poi definito il meno bizantino dell'ultimo degli imperatori di Roma.

Insomma l'ex contadino di Skoplje (che a quanto pare sapeva già tutto della storia romana) si sta preparando come in una missione affidatagli da Dio, a riconquistare l'infallibilità attribuita alla funzione imperiale; vuole essere lui il riformatore, il legislatore; e come gli antichi Cesari vuole ritornare alla grandezza imperiale con l'uso delle leggi e il prestigio degli eserciti.
A Giustino non parve vero, il nipote ci sapeva fare. Da questo momento è lui ad essere il subordinato. E con l'assicella di legno firma, firma tutto.

lunedì 4 agosto 2014

ANNO 520

IL BUDDHISMO IN CINA
LA "SAGGEZZA" ORIENTALE




E' di quest' anno la prima testimonianza della grande arte cinese che lascia ai posteri la prima scultura del gruppo dorato di BUDDHA.
E lo stesso anno anche l'arrivo in Cina, proveniente dall'India, di BODHIDHARMA, il primo patriarca della scuola buddhista ch'an (meglio conosciuta con il nome giapponese ZEN).

L' introduzione di questa dottrina in Cina si dimostrò determinante per lo sviluppo della "saggezza" ("religione", "filosofia") cinese, perché entrambe le scuole di Confucio, Buddha, e Lao Tse fino al XVIII secolo rimasero in buona armonia, l'una vicina all'altra.
Per tutto questo tempo si arrivò perfino a dimostrare che le tre scuole sono nella loro sintesi concettuale una cosa sola. Tutte e tre nelle loro manifestazioni "religiose" lasciarono sussistere i culti di "religioni" più antiche facendo di queste "religioni" filosofiche una "religione" universale. Nessuna delle tre non ha mai richiesto ai suoi seguaci un'adesione e una fede esclusiva, perchè considera valide tutte le altre "religioni" e non conosce l' intolleranza (perchè non sono religioni come le intende un occidentale).

IL SIDDHARTA, BUDDHA dal punto di vista storico, della sua gioventù non si sa quasi nulla; si trasmisero sia i fatti leggendari che i suoi insegnamenti solo oralmente, tramandati nei vari dialetti.
La tradizione scritta non venne fissata se non dopo un secolo dopo la morte.

In questi anni 500 d.C. abbiamo però il primo "concilio" di Vaisòli dove si possiedono informazioni attendibili. I discepoli monaci convocati in questo luogo, nella loro lunga assemblea iniziarono a fissare i canoni del Buddhismo. Non che prima non esistessero.

Per intero è stato conservato fino ai nostri giorni il Tipitaka composto in dialetto pali verso il 100 a.C. Di canoni ne nacquero - prima del concilio di Vaisòli- anche altri che introdussero modifiche e interpolazioni che poi dettero vita a numerose altre scuole (come il nostro Cristianesimo che ancora oggi di correnti ne ha 5, e Chiese diverse 56; l'Ebrea, 3 correnti, 12 tribù; Musulmana, 3 correnti 65 movimenti).
Fondamentalmente però i concetti universali di questi nuovi canoni del buddhismo, di cui stiamo parlando, se andiamo alla radice sono gli stessi, e che oggi possiamo semplificare chiamandola nè filosofia nè religione (due termini che in Oriente hanno un significato completamente diverso da quello occidentale ) ma Saggezza Orientale, che ha suscitato in occidente sempre un interesse molto generico e sempre con limitate prospettive storiografiche.

Infatti anche i più preparati culturalmente si trovano in imbarazzo se devono elencare i maggiori filosofi orientali. Citano i soliti Confucio, Buddha e Lao Tsè, ma oltre non vanno, nè vanno alle radici. Sarebbe come se per capire la nostra filosofia Occidentale un cinese conoscesse solo Platone, Aristotele e Socrate. Converrebbero tutti che a un estraneo non è sufficiente per capire l'Occidente, perchè l'Occidente non è rimasto fermo ai tre filosofi greci anche se messi insieme. La nostra civiltà occidentale e medio orientale di questi ultimi 3000 anni, fino ai nostri giorni, è un insieme di filosofia e religioni di 3000 anni!

Altrettanto la stessa "saggezza" ("filosofia", "religione") Orientale (anch'essa di 3000 anni) è molto più complessa nel suo insieme che non quella -singola o le tre messe insieme- di Confucio, Lao Tse e Buddha. Quella precedente, le tre citate, e quella successiva hanno come ispirazione la stessa antica "scuola" (del resto anche la Cristiana, Ebrea e Maomettana (pur così diverse) si ispirarono tutte al Patriarca ABRAMO prendendo strade diverse, e creando dottrine e dogmi diversi; correnti diverse nelle stesse dottrine e negli stessi dogmi, tanto da arrivare a oltre un centinaio di dogmi che partono da un unico ceppo. Ognuna ne ha fatta una personale. Quella che gli faceva comodo!).

Non pretendo io di colmare quelle lacune storiografiche, ma solo stimolare il lettore a trovare una traccia che possa portare ad approfondire le dottrine Orientali, che sono banalmente molto spesso nazionalpopolarizzate per scopi che non hanno nulla a che vedere con il tema che stiamo trattando. Uno dei capostipiti l' ho già citato nel 28 d.C. quando ho accennato a quel WANG CH'UNG che in quasi tutti i testi o dizionari occidentali è quasi sconosciuto, mentre nella "filosofia" cinese occupa interi capitoli ed è considerato il più grande pensatore della scuola antica, quello che ha attinto alle radici primordiali dell'umanità ancora sgombra di una morale di comodo impostata e ratificata con leggi, e via via dai governanti di turno applicate.
Affermava che con l'avvento della società moderna organizzata, basata sul potere di questo o quell'imperatore, gli ordinamenti, le leggi, le istituzioni, gli insegnamenti, le regole di comportamento, la morale, create da loro (e per loro comodo) hanno stravolto l'ordine naturale delle cose e della società umana. Quell'ordine antico dove "c'erano" i segni di una manifestazione biologica universale alle quali si deve guardare con una spontanea commozione naturalistica e una prospettiva antropocentrica.
(E Wang Ch'ung non aveva visto ancora i nostri due ultimi secoli! il capitalismo, le multinazionali, i trust, i capi degli imperi monopolistici, l'informazione globalizzata per darci "ordini" e "morali" che spesso sono vere scemenze)

Il Buddhismo vuole liberare l'uomo dal samsòra, ossia dal circolo delle esistenze: perche' la maledizione di ogni esistenza è la sua caducità. L' "io" personale, insieme a ciò che noi chiamiamo l'anima, si trova coinvolto in questo processo. In termini metaforici si potrebbe dire che come guardando un film si ha la impressione di una continuità per il succedersi ininterrotto delle immagini staccate, benchè una vera unità non esista, del pari l'incessante susseguirsi di processi istantanei della coscienza fa nascere l'illusione di un "io" nascente.
Ma il Buddhismo non nega soltanto un'anima sostanziale; esso ritiene che gli stessi dei siamo soggetti alla caducità e alla rinascita. Sembrerebbe dunque che esso è un ateismo, e ci si è chiesti appunto se si può chiamarla una religione. Non solo, ma potrebbe conferire all'etica buddhista qualcosa di freddo e una certa passività , ad un "uscire dal mondo", e in effetti all'origine era come una religione monastica occidentale, una comunità che si poteva definire un Ordine, e solo in seguito abbracciò una più vasta cerchia di laici, i quali bastava loro di pronunciarsi davanti a un monaco la formula di "prendo rifugio nel Buddha" per esservi ammesso. (ci si sposa con l'io più che con un dio).

Per tutto il resto questo laico poteva continuare la sua vita e mantenere le sue occupazioni nel mondo, senza un qualsiasi controllo ecclesiastico; mettendo in pratica quel che della morale buddhista è realizzabile nella sua particolare esistenza. I precetti di questa morale sarebbe lungo elencarli ma rispecchiano quella che è l'etica umana fin da quando la presa di coscienza nel danneggiare un altro ha cominciato a metterci a disagio con noi stessi, quando identificandoci nell'altro capivamo cosa era male cosa era bene, e che brevemente tali concetti fondamentali si possono elencare come 1° non uccidere alcun essere vivente; 2° non appropriarsi dei beni altrui; 3° non toccare la donna degli altri; 4° non mentire. Ed era una conseguenza che - per andare nella "retta via" - comportavano l'esclusione di quelle professioni che provocavano dolore agli altri: come quella del soldato, del cacciatore, del pescatore, del macellaio, perchè implicano l'uccisione di esseri viventi.

Si vorrebbe anche nella vita ascetica del buddhista metterla in parallelo al nostro stoicismo, ma se andiamo alle origini delle stesse religioni occidentali, inizialmente a questo stoicismo, al dolore, alla sofferenza, erano proprio infarcite le prime dottrine, erano le forme per arrivare a meritarsi con l'uscita dal mondo, col cercare la sofferenza e il dolore un premio divino. Ecco dunque le punizioni corporali, le autoflagellazioni, il martirio, la morte invocata. Cosa che invece il buddhismo non contempla proprio perchè la morte conduce a una nuova nascita e non libera l'uomo dall' inesorabile destino della trasmigrazione. (l'Eterno Ritorno- Nietszchiano)

L'incontro e lo scontro del buddhismo con l' occidente, ha poi provocato all' inizio del sec.XIX e XX, un rinnovamento interno che in parte si ricollega ad antichi movimenti riformistici, e in parte ha assunto in maggiore o minore misura categorie di pensiero e strutture organizzative tipiche dell'occidente. Questo secondo movimento, cui presero parte anche i buddhisti occidentali, è stato chiamato neobuddhismo o buddhismo modernistico. Uno dei tratti che lo caratterizza è la ricezione delle scienze occidentali; l'altro è l'accentuazione (contrapposta al pensiero cristiano che resiste a oltranza) del carattere scientifico del pensiero buddhista e della sua fondabilità razionale.
Le tendenze socialrivoluzionarie del buddhismo modernista hanno portato in alcuni paesi a un'unione del buddhismo col marxismo. Citiamo Marx e Nietszche, e sembra paradossale che i due maggiori combattenti contro le religioni, nelle loro riflessioni filosofiche mettono la questione religiosa sempre al centro dei loro pensieri e arrivano a certe riflessioni diametralmente opposte. Il primo afferma che "la religione è un' invenzione dei forti per opprimere i deboli" (Marx era di origine Ebrea) ; mentre l'altro che "è un invenzione dei deboli per frenare i forti".

Entrambi in Oriente tali due riflessione sarebbero prive di sostanza e ritornando a leggere WANG CH'UNG nell'anno 28 di questa cronologia, ci si accorge che dalle sue poche righe voleva dire tutto questo e ben altro. Attingendo all'antichità, alla arcaica coscienza, spazzava via dalla sua dottrina proprio quei poteri (politici,religiosi), spazzava via la contaminazione del potere umano sulle nostre coscienze, sulla nostra morale, e additava solo la naturale biologica universale morale etica esistenziale nata con l'uomo stesso, sentita nell'armonia dell'ordine cosmico degli esseri viventi senza nessuna gerarchizzazione fabbricata a tavolino di qualche "palazzo" o in qualche "concilio".
Se noi ammettiamo invece che questa gerarchizzazione esiste e deve esistere, quando siamo deboli prepariamoci sempre a chinare la testa, e non lamentiamoci se si è perdenti. Ma attenzione nulla è più deleterio quando ci si fa soffocare dalla rassegnazione, con questa non si va da nessuna parte; prima di iniziare già siamo soccombenti, poco più che vegetali.
Si può anche prendere coscienza che alla gara che partecipiamo si può anche non vincere, ma se si ha anche coscienza che si è perso solo una gara e non tutte, si può continuare a gareggiare, insegnando se non altro a chi ci sta vicino (al nuovo discepolo) come ci si prepara a vincere, quali sono gli errori da non fare, e dov'è il punto di arrivo. E se abbiamo contribuito a far questo, qualcosa abbiamo vinto anche noi.

Significativa è quella storiella di quel cinese che avendo il suo povero orto in una valle in mezzo a due montagne, dove non arrivava mai il Sole, con una piccola pala incominciò a scavare la montagna che gli stava davanti con l'intenzione di liberarsi di quell'ostacolo e far crescere bellissimi frutti e saporite verdure; un occidentale fermandosi e osservando questa ciclopica operazione si affrettò a dire facendo i suoi calcoli che era inutile, che gli occorrevano almeno 130 anni prima di spianarla del tutto, e che lui il Sole non l'avrebbe di sicuro mai visto, -si lo so, disse il cinese- e allora perché lo fa? - perchè così mio figlio vedrà l'opera già iniziata e continuerà, poi suo figlio farà altrettanto con il suo esempio, infine come ha detto lei fra 130 anni i miei nipoti mangeranno delle ottime verdure e vedranno il sole entrare dalle finestre, e a lei tutto questo le sembra inutile?"

E pensare che se noi non abbiamo la Ferrari e la Nutella subito, ci sembra che "non è vita questa". La gerarchizzazione ci ha portato anche a questo: sappiamo quanto vale la vita eppure ascoltiamo il saccente di turno che ci dice lui quando vale la pena di viverla. Insomma che il "nostro mondo" debba per forza essere uguale al suo.

ANNO 519

L'IMPERATORE GIUSTINO E IL NIPOTE
GIUSTINIANO - DAVANTI A UNA CARRIERA

Nominato dunque dal Senato, il settantenne nuovo imperatore Giustino, è sicuramente soddisfatto per essere arrivato improvvisamente così in alto, ma è anche frastornato. Il compito che l'aspetta non è il solito, quello di guidare la guardia imperiale, ma ci sono - e lui le conosce bene per averle vissute dall'esterno- le mille incombenze; e molte di queste non sono all'altezza della sua portata. Come quelle religiose (ultimamente piuttosto critiche), come quelle politiche (i rapporti con l'occidente), o come quelle amministrative-economiche (con un impero quasi alla fame).

Come abbiamo anticipato lo scorso anno, a Giustino gli occorreva avere al suo fianco un aiuto, un consigliere, un assistente, un collaboratore giovane. Ma di chi poteva fidarsi lui, che sapeva benissimo quanto torbido era l'ambiente di corte, quello senatoriale, quello clericale e quello militare. Tutti con la vocazione a fare congiure, quando volevano, e come volevano.

Unica alternativa era quella di scegliersi un uomo fidato, preso dall'esterno. E chi meglio di un parente. Magari quel nipote che viveva a Skoplje. Quando era partito nel suo infido paese in mezzo ai sassi, aveva lasciato una sorella, che aveva un figlio, gli aveva dato perfino il suo nome.

Questo nipote si chiamava appunto GIUSTINIANO. Di che cosa si occupava a Skopje non si sa. Sappiamo solo che quando raccolse il messaggio di suo zio e scese a Costantinopoli a dargli una mano, aveva già 36 anni.
Sappiamo che faceva anche lui il contadino, ma la sua cultura ci sembra impossibile - per quanto lo zio gli mise appena arrivato subito a disposizione i migliori maestri e le migliori menti di Costantinopoli - sia riuscito a costruirsela in pochi anni.

Infatti quando arriviamo al 527 (fra otto anni) lo troviamo che governa già con vari titoli a nome dello zio. Dopo la morte ne diventa il successore naturale, ma sappiamo pure che da questo 519 (cioè appena arrivato) in pratica pur nell'ombra è già lui a governare a pieno titolo.
E governerà fino all'anno 565, quando morirà a 83 anni. Sul trono (virtuale e reale) quindi per ben 46 anni.

Per come governò, gli storici si sono tutti sbizzarriti, e quasi equamente si sono divisi nel giudicare una metà solo le opere buone e l'altra metà quelle cattive. Nelle loro narrazione ci sono adulazioni ma ci sono le smaccate invettive. Quindi un quadro contraddittorio mai visto in una biografia di un imperatore, di un uomo che in ogni caso ha lasciato un impronta profondissima nel mondo del VI secolo.

Come aspetto fisico, a San Vitale a Ravenna si conserva un ritratto in mosaico che ce lo mostra nei suoi lineamenti. Per quanto invece riguarda doti, capacità e carattere, si possono raccogliere solo in quelle biografie fatte dagli storici suoi contemporanei che nel lungo arco di tempo si sono avvicendati a fare o i panegirici o le critiche.

Nelle qualità caratteriale molti lodano la sua semplicità del suo comportamento, la cordialità del conversare, l'autocontrollo esercitato sul suo temperamento violento e, soprattutto, esaltano la passione per il lavoro che era uno dei suoi tratti più caratteristici; non per nulla un cortigiano lo soprannominò l'"Imperatore insonne ". Si alzava presto e si coricava tardi; pretendeva di conoscere tutto, voleva tutto esaminare per poi con imparzialità e senza superficialità poter decidere con giudizio sereno e con la sua coscienza a posto. Mettendo in questo compito un grande amore per l'ordine, una vera preoccupazione di amministrare bene ogni cosa nei minimi dettagli. Il futuro estensore del "codice" fin dalle prime battute volle diventare "giudice" di se stesso.

Insomma voleva essere all'altezza di svolgere il compito di sovrano nel modo migliore. Aveva un desiderio: di essere contemporaneamente come gli antichi Cesari romani, essere un legislatore e un conquistatore, rifare l'impero da capo con le leggi e se necessario anche con le armi. In più volle diventare come Costantino il campione della religione e capo supremo della chiesa.

E su questa iniziò ad interessarsi in maniera maniacale, leggendo tutto ciò che c'era di meglio e che allora esisteva, facendosi una cultura impressionante di teologia, da poter parlare da pari a pari con vescovi e prelati su questioni da secoli problematiche, irti di ostacoli, cogliendone l'essenziale, e che poi con una oratoria eccezionale esponeva con semplicità sconcertante, riuscendo a calamitare su di sé le attenzioni di tutti.

Per i difetti invece, facciamo per il momento silenzio, alcuni li scopriremo percorrendo anno per anno e fino in fondo, la sua lunga carriera; in base agli storici suoi contemporanei che li hanno evidenziati i suoi limiti, le sue lacune o i suoi errori, chi più chi meno, ognuno sarà poi libero di esprimere un suo giudizio positivo o negativo.

ANNO 518

MORTE DI ANASTASIO A COSTANTINOPOLI
LA NOMINA DI GIUSTINO, UN VECCHIO GENERALE

Il 1° luglio di quest' anno improvvisamente viene a mancare a Costantinopoli l'imperatore.

Il Senato viene in fretta e furia convocato per trovare un degno successore. La successione sarebbe facile, ma in quanto a stimabilità ci sono solo degli inetti lontani nipoti dell'imperatore non certo degni di avere sul capo la corona di Bisanzio. Preferiscono con molta saggezza indicare e poi nominare un altrettanto uomo saggio: un valido militare, che però ha gia 70 anni.

La scelta è caduta sul generale GIUSTINO. Nessuno si ricorda (o non vuole ricordare) di una volontà di Zenone prima e di Atanasio poi, che avevano espresso molti anni prima, cioè che il successore sarebbe stato TEODORICO; l'uomo che entrambi conoscevano fin da bambino; l'uomo che era stato allevato a Costantinopoli; che era poi diventato giovanissimo re degli Ostrogoti; e in questa veste aveva fatto nascere qualche preoccupazione nella corte bizantina.
Zenone che era riuscito a risalire sul trono nel 475, proprio con l'appoggio di Teodorico, per non averlo gratificato a sufficienza (salvo averlo insignito del titolo di patrizio) con lui aveva avuto dei forti contrasti e anche minacce. Ma poi nel 483, scelse la via della conciliazione, si rappacificò con Teodorico, lo nominò militar magister dell'esercito, e lo adottò perfino come figlio (che nella tradizione romana voleva dire essere indicato come successore dell'imperatore)

Fu un riconoscimento privo di sostanza per il giovanissimo re degli Ostrogoti, che ambizioso com'era desiderava allargare il proprio regno sui Balcani. Nel 488 queste sue richieste, che andavano a togliere territori all'impero, crearono un grosso problema a Zenone, soprattutto quando queste richieste furono minacciose. Teodorico occupando la Tracia si era avvicinato un po' troppo a Costantinopoli.
Zenone prevedendo il peggio, fu piuttosto abile nel convincerlo e poi accordarsi di fare una spedizione in Occidente per togliere all'Italia Odoacre. Una ingrato intervento, visto che era stato proprio Odoacre a rimettere le insegne di Roma a Costantinopoli, proprio mentre Zenone era salito sul trono d'Oriente. Per merito di Odoacre, Zenone si trovò così scodellato anche l'impero d'occidente senza aver mosso un dito.
Compito ingrato, ma Zenone non vedeva l'ora di allontanare da sé quell'uomo altrettanto ingrato che prima o dopo lo avrebbe avuto con i suoi ostrogoti sotto le mura delle capitale.

Teodorico aveva accettato, ed era convinto che una volta in Italia, spodestato Odoacre, avrebbe indossato lui la porpora. Ma la sua campagna in Italia - che abbiamo riportato dal 489 in poi- fu lunga, e piuttosto anche incerta, ma poi con l'assassinio a freddo di Odoacre nel 493 riuscì a prevalere insediandosi a Ravenna. Nel frattempo nel corso della lunghissima campagna -nel 491- era morto Zenone. A Costantinopoli per la successione nemmeno presero in considerazione in "figlio adottivo" Teodorico (anche perchè non aveva combinato in Italia ancora nulla) e nominarono dunque Atanasio. Che non andò di certo a rinnovare l'adozione di Teodorico in Italia già da tre anni e contro Odoacre ancora in una situazione piuttosto critica.

Poi, nonostante la vittoria (con l'assassinio, alquanto poco militare come vittoria) il riconoscimento della porpora a Teodorico, da Bizanzio tardava a venire. Sollecitò pure, ma come risposta, dal nuovo imperatore (piuttosto ostile a una ufficiale nomina), ebbe le insegne regali, anche la porpora, ma non una nomina formale.
Pur assolvendo bene il suo lavoro in Italia e oltre i confini, Teodorico non era certo soddisfatto del trattamento. Una insoddisfazione che divenne anche palese quando iniziò a fare alleanze parentali con quasi tutti i regni barbari (da Atanasio in una occasione perfino bocciata)
Alleanze piuttosto ambigue, come abbiamo visto negli scorsi anni; perfino inquietanti, che non sfuggirono nè ai barbari, nè ad Anastasio, e neppure alla corte e nell'ambiente militare di Costantinopoli.

Venuto quest'anno a mancare Anastasio, pur esistendo quell'antica adozione di Zenone, Teodorico alla successione, nessuno dei saggi del Senato (ritornato ad essere molto influente) volle ratificarlo perchè avevano visto negli ultimi tempi non molti buoni reciproci rapporti, né personalmente con Anastasio né con la politica dell'impero stesso.

Scelsero così il comandante delle guardie imperiali GIUSTINO, un uomo di lunga militanza, energico e capace. Questo generale era l'ideale uomo della transizione, data l'età avanzata non doveva rappresentare un problema di lunga durata, nel frattempo avrebbero esaminato bene il da farsi.
Mai più pensavano che questo vecchio signore che non era neppure capace di fare la sua firma, sarebbe diventato un capostipite di una dinastia che avrebbe compreso dal nipote in avanti personaggi che guidarono i destini dell'impero romano d'oriente.

Giustino era un figlio di contadini di un villaggio di Skoplje (bassa Jugoslavia ) ma di razza latina e non slava. Appena raggiunta l'età giovanile, come un avventuriero era sceso da quelle montagne in cerca di fortuna a Costantinopoli. Non trovando nulla di meglio era entrato nell'esercito; prima come semplice soldato, poi graduato, fino ad arrivare con i successivi scatti dopo 50 anni di servizio a diventare generale, il comandante della guardia imperiale, e con tutta quella esperienza che aveva il compito lo assolse bene. Così bene che in questo frangente ai Senatori venne proprio utile.

Da vecchio contadino e conoscendo il mestiere di militare (chissà quante ne aveva sentite dentro e fuori dalle mura) non si fidava nè di quelli del Palazzo, nè dei suoi stessi colleghi, pronti ad appoggiare ora l'uno ora l'altro per venalità o per ragioni di quisquilie religiose che a lui proprio non dicevano nulla, non le aveva mai capite le dispute monofisite o ortodosse, erano cose da preti non da militari.
Non aveva una cultura, ma aveva solo il fiuto di un uomo che ne aveva viste tante, e certamente aveva la furbizia e l'intelligenza visto che era arrivato così in alto in una mansione così delicata come quella della guardia imperiale.

Quindi poco pratico di diplomazia, di politica, di teologia, di amministrazione civile, aveva capito che, pur essendo onorato della scelta, quel posto lo avrebbe soffocato subito se non aveva a fianco un aiuto, un consigliere, un assistente, un collaboratore giovane. Ma di chi fidarsi?
A Skoplje, quando era partito, aveva lasciato una sorella, che aveva un figlio, gli aveva dato perfino il suo nome...

ANNO 517

SIGISMONDO PROMULGA LE SUE LEGGI
I BARBARI SI ADEGUANO IN PARTE AL CORPUS LATINO

Le abbiamo già accennate nelle precedenti pagine in cosa consistevano queste leggi, che ora il nuovo re della Borgundia vuole emanare.
La quasi sudditanza ai re Franchi, voluta e caldeggiata dal vescovo Avito, non è estranea a questa promulgazione. Sigismondo se voleva salire sul trono di suo padre Gondebaldo, doveva accettare l'appoggio dei quattro re franchi, e doveva convertirsi al cristianesimo.
Accettare l'appoggio voleva dire uniformarsi anche alle leggi dei Franchi.
Sigismondo acconsentendo, tutta la politica della sua Borgundia e anche quella religiosa, muta e si affianca a quella già in atto nel regno ereditato dai figli di Clodoveo.

In sintesi erano queste leggi un corpus di norme di diritto romano adattate alle popolazioni locali, che come sappiamo erano anche queste di origine mista, gallo-romana; cioè includevano antiche leggi consuetudinarie borgunde quasi tutte orali, e quelle romane già codificate. Entrambe sacrificavano qualcosa, ma permettevano anche una civile convivenza.

Questo corpo di istituzioni infatti, rispondevano alle esigenze locali, ed erano molto simili a quelle già emanate da Clodoveo, che a sua volta le aveva mutuate da quelle emanate in Italia da Teodorico, sempre impegnato a fare accettare al mondo latino alcune arcaiche leggi consuetudinarie dei popoli germanici.

ANNO 516

IL RE DEI BURGUNDI GONDEBALDO MUORE
L'ABILE VESCOVO AVITO, CONVERTE
LA FORMAZIONE DELLA BORGOGNA

 
GONDEBALDO era stato alleato prima dell'imperatore ANASTASIO e dell'ostrogoto TEODORICO (che su mandato di Costantinopoli ha la reggenza ma non la porpora in Occidente), ma i due entrambi lo avevano deluso quando questa alleanza era stata fatta convinto lui che con il loro aiuto sarebbe riuscito a sottrarsi ai continui attacchi dei Franchi per impossessarsi della sua ricca di vigneti e fertile Borgundia.

Una delusione che lo spinse poi ad allearsi proprio con CLODOVEO (il defunto Re). Come lui anni prima, già aveva preso in seria considerazione di convertirsi alla religione cattolica romana con il solito vescovo di Vienne, AVITO.


Non dimentichiamo che Clodoveo per decenni aveva mirato all'ambito ricco territorio dei Borgundi, ma dopo vari tentativi preferì non scontrarsi con loro ma fare delle oculate alleanza parentali. Infatti sposò nel 493 la principessa burgunda CLOTILDE, proprio la figlia del re borgundo Gondebaldo; una fanciulla che viveva da alcuni anni, fin dall'adolescenza, a Vienne.

Nell'allora capitale borgunda vescovo e suddito di re Gondebaldo era AVITO. Non eccessivamente disturbato da intolleranze, fu lui a iniziare fin da giovinetta la giovane principessa al cristianesimo. E la donna poi andata in sposa a Clodoveo, appena approdata nel regno franco, iniziò a dedicarsi alla conversione del marito, che non voleva respingere la fede dei suoi antenati (lui non era nemmeno ariano ma pagano) ma poi non si oppose quando la moglie alla nascita dei figli volle battezzarli tutti e quattro e con la benedizione del vescovo cristiano cattolico.

L' influenza e la mediazione di Avito e poi di sua moglie Clotilde fu enorme su Clodeoveo, molte considerazioni politiche le potè fare proprio perchè incominciò nel talamo nuziale a scoprire la struttura religiosa del cristianesimo, la sua influenza sulla gente, la organizzazione capillare che si era estesa nei territori, e ampliatasi in una comunità che comprendevano non solo poveri ma anche i ricchi che vedevano nella chiesa un ordine, un'alta autorità morale nel vescovo; autorità che dalla popolazione era accettata senza discussione; le sue prescrizioni erano seguite e ascoltate, con riverenza, con soggezione, ma anche per il timore dei castighi divini che sottintendeva ubbidienza ai comandamenti canonici esortati e ovviamente dal vescovo predicati.
Clodoveo alla fine di questo percorso all'interno del proprio focolare, nel 498, con una grande cerimonia, assieme a 3000 soldati, convertendosi si fece battezzare anche lui dal vescovo Remigio di Reims, abbracciando così il cristianesimo.

Teodorico, quando con i Visigoti appoggiò i Borgundi contro i Franchi, dopo una precaria vittoria, aveva cercato anche lui la strada delle alleanze parentali; lui addirittura si era imparentato con Clodoveo sposando nello stesso 493 (mentre il re dei Franchi sposava la figlia del re dei Borgundi) sua sorella Audofleda; poi -volendo anche lui entrare in quella corte- aveva dato in sposa una sorella a Sigismondo figlio dello stesso Gondebaldo (diventato suocero di Clodoveo) ed erede al trono borgundo; poi una sorella l'aveva data al re dei Visigoti Alarico I; e un'altra ancora al re dei Vandali Trasamondo.

Teodorico insomma aveva messo contemporaneamente un piede dentro in ogni corte (meno che in Italia e a Bisanzio) con amici e nemici. Che servì solo a far nascere tanta diffidenza, soprattutto quando (a nome di Costantinopoli, ma anche autonomamente) si schierava con uno per combattere l'altro o entrambi (come nella battaglia per la riconquista della Provenza a spese dei Borgundi, e la riconquista della Settimania a spese dei Franchi, alleandosi con i Visigoti nel primo caso, e con i Turingi e gli Eruli nel secondo).
Questo voltafaccia i Franchi non l'avevano gradito, nè quando era in vita suo cognato Clodoveo, nè quando il regno Franco fu poi diviso fra i quattro figli. Anzi, già non andavano d'accordo loro, figuriamoci con l'ambiguo Teodorico, così le ostilità nei suoi confronti aumentarono.

Insomma una politica estera quella di Teodorico fallimentare, dove fa già capolino la sua insofferenza per la religione cattolica cristiana che i Franchi hanno già abbracciato e che i Borgundi stanno ora abbracciando. Una insofferenza quella di Teodorico rivolta ai motivi religiosi, forse per cercare degli alibi alle sue fallite manovre militari, miranti a grandiosi progetti pangermanici a fede pagana o ariana.
(una tesi questa avvalorata dal fatto che non fece nessuna alleanza parentale né con i latini né con i bizantini, ma si ostinò a farla solo con i germanici)

L'abile prelato Avito, con capacità diplomatiche non comuni, e con grande autorità morale sempre di più consolidata nei territori barbari, acconsente quest'anno alla morte di Gondebaldo, che salga sul trono trono suo figlio SIGISMONDO, ma a una condizione che regni con l'appoggio dei figli di CLODOVEO, tutti cristiani battezzati.
E soprattutto con uno dei fratelli che è re in Austrasia. Ovviamente altra condizione è l'invito rivolto al giovane e debole re borgundo di convertirsi ufficialmente al cattolicesimo.
La iniziale debolezza del giovane re e altri fattori (lui siederà sul trono per brevissimo tempo) porteranno ben presto (una decina di anni) la Borgundia a far parte definitivamente del regno Franco col nome di Borgogna.

Conquistata del tutto dai Franchi, tornò a costituire un regno separato sotto una dinastia merovingia. Riconquistata da Carlo Martello il territorio fu divisa in due con il trattato di Verdum dell'843: la parte sudorientale più consistente, fu inserita nel regno di Lotario I, mentre quella occidentale, con la città di Autum, divenne un ducato del regno dei franchi.
Dal disfacimento del regno di Lotario derivò alla fine del IX secolo un "regno di Borgogna" che si estendeva a sud fino ad includere anche la Provenza e che veniva chiamato anche regno di Arles, dal nome della sua capitale. Questo fino al 1032, quando del regno divenne titolare l'imperatore tedesco fino al 1363.
Dopo tale data, Giovanni III il Buono di Francia dopo aver creato una grande potenza, costituì anche una dinastia con suo figlio Filippo l'Ardito, e questi grazie a un'accorta politica matrimoniale e alla guerra dei Cento anni, la potenza la estese alla contea imperiale composta dalla Borgogna, dalle Fiandre, dai Paesi Bassi e dal Lussemburgo. Una potenza che riuscì a rivaleggiare poi con quella capetingia fino al 1477. Che è la data della morte di Carlo il Temerario, che pose fine ai sogni di grandezza della sua dinastia..
Solo la Borgogna veniva annessa dalla Francia, tutto il resto invece passò sotto gli Asburgo.

domenica 3 agosto 2014

ANNO 515

TEODORICO SPOSA LA FIGLIA AMALASUNTA
I VARI MATRIMONI CON SOLO BARBARI



 Teodorico intenzionato a dare la sua quarta figlia Amalasunta in sposa a EUTARICO un Visigoto spagnolo, informando Costantinopoli a cose fatte l'imperatore ANASTASIO pone il suo veto e non gli ratifica la scelta fatta.

Ricordiamo che TEODORICO, già giunto a una certa età, quasi sessantenne, si sta preoccupando della sua successione e non avendo figli maschi, ma solo quattro femmine sta dandosi da fare nel trovare un marito influente all'ultima sua figliola nubile.

Con una sua politica di parentele (tutte barbare) e con questi legami il suo obiettivo è quello di estendere la sfera d'azione su tutto l'impero d' Occidente.

Se ripercorriamo questi matrimoni vedremo questo quadro strategico politico di TEODORICO che stava cercando di egemonizzare con i suoi parenti goti, visigoti, franchi e germani tutto l'occidente.

La prima figlia AREVAGNI fu maritata ad ALARICO re dei Visigoti, la seconda TEUDEGOTA a SIGISMONDO re dei Burgundi, la terza aun Vandalo, la quarta AMALASUNTA a un suo connazionale re dei goti EUTARICO (scelta bocciata a Costantinopoli, che iniziano a vedere in questi matrimoni alleanze un po' inquietanti)
Infine i matrimoni con una sua sorella AMALAFRIDA con TRASAMONDO re dei Vandali figlio di GENSERICO, un'altra sorella AMALABERGA con ERMANFREDO re dei Turingi e lui stesso si era sposato con AUDEFLEDA che era poi la sorella di CLODOVEO re dei Franchi.
Considerando che Teodorico aveva il suo esercito in Italia, e a Sirmio, se univa tutte queste potenziali forze parentali esterne, a Costantinopoli dovevano davvero preoccuparsi. Chi li avrebbe più fermati se in un ipotetico giorno Teodorico scendeva dai Balcani verso Bisanzio.

Tutti questi matrimoni dovevano servire a cementare parentele per saldare poi i territori in una unica stirpe, quella clodoveiana e teodorichiana.

Ma non diedero i frutti sperati come abbiamo visto, e ne lui si fece poi scrupolo di attaccarli militarmente quando non vedendoli schierati con lui, capito che gli erano solo d' impaccio non esitò ad affrontarli, come abbiamo già visto fare con il cognato Clodoveo in Settimania nel 509.

E lo vedremo ancora affrontare parenti, perché costoro hanno altre intenzioni, diverse dalle sue, cioè vogliono crearsi dove risiedono un loro regno, e se necessario impegnarsi a lottare, ma solo per allargarlo questo regno.
E da qualche decina d'anni che franchi, germani, e i visigoti in Spagna, intendono fare solo più questo, e non più appoggiarsi al potere centrale; fra l'altro lontanissimo, e sempre con il rischio di essere impiegati in altri luoghi e per altri scopi che nulla hanno a che vedere con i loro obiettivi.

Teodorico fra l'altro non è un imperatore, quindi cercano in tutti i modi di non stringere alleanze troppo pericolose che potrebbero compromettere la loro autonomia.
Teodorico molto abile nella guerra, ma fallimentare in queste unioni; ed errore grave non ne ha fatta una sola con un latino, pur dimorando nella penisola.
La sua intenzione -l'abbiamo già esposta nelle precedenti pagine questa convinzione- era quella di germanizzare tutto l'occidente.
Ma Teodorico non poteva fare questa "rivoluzione" se mancavano o non rispondevano all'appello proprio i germani, impegnati già a dividersi tra di loro, al di qua e al di là del Reno.

ANNO 514

LE CONTROVERSIE RELIGIOSE
LE GRANDI FRATTURE FRA MONDO LATINO E BIZANTINO

Dal punto di vista storico, l'interesse di queste controversie sta non tanto nei motivi che le ispirarono quanto nelle divisioni e nelle combinazioni a cui esse dettero vita.
La divisione delle chiese sembra in molti casi essere alla base della divisione dei popoli e delle nazioni che in seguito si formarono; mentre le differenze religiose ne furono il pretesto piuttosto che la causa; e a volte, quando la divisione ci appare ben definita, si perde di vista la causa stessa della disputa, o se ne fa una del tutto personale e non oggettiva.

Lo abbiamo visto con CLODOVEO, che puntando molto sulla conversione religiosa, questa la fece, ma con una candida ipocrisia, perchè poi non cambiò i suoi programmi che erano sempre quelli di un conquistatore barbaro; e non cambiò (compresi i suoi figli e nipoti) neppure i mezzi che erano pure questi barbari.

A una prima impressione si potrebbe far risalire a queste discordie religiose i motivi del perché non avvenne in questo periodo una unione dei due imperi (mai stati così vicini nel riuscirci) ma a una approfondito esame delle situazioni che si crearono militarmente con l' avidità di certi governanti, generali e funzionari (e perfino tra figli e padri), tali questioni anche se violente non avrebbero potuto modificare il corso della storia nel senso rispondente al fine, perché c'era una profonda differenza culturale che stavano alla base delle due popolazioni; ci troviamo dunque di fronte a questo dualismo etnico-culturale più che a un dualismo religioso tra oriente (intendiamo quello bizantino) e occidente.

Possiamo vedere in questi scontri fra regnanti non una strumentalizzazione del clero, ma semmai l'incontrario. Le corrente religiosa orientale era intrappolata essa stessa dentro una cultura politica presuntuosa che non permetteva così ad entrambe di accettare una subordinazione alla chiesa di Roma, solo perché Roma non aveva più in questi tempi il potere politico (questo era rimasto solo nelle sue insegne imperiali e basta o nei ricordi ) ma con l'assimilazione delle culture germaniche, celtiche, franche e perchè no anche barbare, in quella latina, ebbe un ricambio vitalistico vigoroso a livello inconscio che favorì agli uni e agli altri, la nascita di una nuova coscienza, che pur tenuta in quarantena tornò a farsi sentire in tutta la sua potenzialità dopo essere stato sei sette secoli latente.
(e che sia stata solo latente anche questo è opinabile; nei secoli bui pochi studiosi hanno indagato a fondo, e forse non nella direzione giusta).

Costantinopoli anche se dopo subì delle invasioni turche che modificarono le menti, queste provenivano da sedimenti di cultura, mesopotamica, persiana, mongolica, cioè tutte culture che -pur vicine- non avevano avuto più modo di confrontarsi per evolversi.
Questo invece non era avvenuto in Europa. Dal nord, certo piombarono barbari, analfabeti, tanti costumi, usi e tradizioni che cozzavano con tutte quelle latine, ma mantenne sveglie le menti.
Ognuno fece la sua parte: longobardi, carolingi, normanni, svevi ecc.

Durante i periodo dell'Umanesimo e poi in quello Rinascimentale, tutto questo stallo che era invece avvenuto a Costantinopoli lo vedremo poi nella immobilità culturale, politica, religiosa e anche una certa afasia nel linguaggio, quando arrivarono i turchi. Non conservarono latente nulla del passato, perchè avevano già capitolato da secoli, rifiutato il confronto con Roma, che nemmeno i barbari -senza cultura- disdegnarono; questi non si sentivano imperatori se prima non scendevano in Italia e a Roma.

Da questo momento, si sta creando una grande muro di incomunicabilità, che impedirà ai due mondi, di capirsi sia sul piano teologico come in quello politico e, (essendo gelosi) perfino nella lingua. In questo periodo tutta Costantinopoli parlava il greco e il latino. Rimosse tutto. La penisola italica invece nonostante duemila anni di invasioni e di dominazioni straniere mantenne integra la lingua, la sua cultura, le sue tradizione, usi, costumi, il suo ingegno e la sua vitalità seguitandole a spargerle costantemente direttamente o indirettamente su tutta Europa.

In quello culturale e tecnologico l'abisso tra i due mondi diventerà poi incolmabile, anzi diventando quello occidentale esponenziale allontanerà sempre di più i due mondi, e li invilupperà come abbiamo visto fare ancora in questi ultimi tempi nelle loro dispute che ci ricordano il medioevo. Stanno percorrendo ancora oggi i sentieri impervi che noi ci lasciammo alle spalle, non senza farne tesoro, dopo questo anno 514 e seguenti.

Eravamo saliti sullo stesso treno della storia, ci siamo incontrati con loro in una stazione, abbiamo fatto sosta; poi noi siamo ripartiti con il primo biglietto disponibile per qualsiasi destinazione (e non era facile con questo sconquasso di questi anni sapere dove andare) loro invece rimasero sulla pensilina a discutere quale biglietto prendere e per quale destinazione, e forse qualcuno pensava che non era neanche il caso di partire perchè il loro mondo era il mondo migliore. Il mondo Bizantino.
Perfino gli arabi scantonarono da Bisanzio. Mentre gli stessi arabi non scantonarono il mondo occidentale. Pur sempre mediterranei erano, come i latini. Gli arabi non inventarono nulla, ma impararono solo bene tutto quello che era stato fatto fino allora nel greco-latino "lago" Mediterraneo, poi partendo da qui, proseguirono allargando il loro orizzonte.
Un famoso scienziato arabo soleva dire "noi non è che sappiamo tutto, ma semplicemente noi conosciamo molte cose perchè ogni giorno ne impariamo una".

A ROMA sale sul soglio papa ORMISDA di Frosinone eletto il 20 luglio, succede a Papa Simmavo morto il 19 dello stesso mese



ANNO 513

RIVOLTA ARMATA A COSTANTINOPOLI
VITALIANO TENTA IL COLPO


La rivolta che abbiamo accennato lo scorso anno, scoppiata nell'ambiente del clero in novembre, era poi continuata, e a inizio anno ben strumentalizzata da entrambe le due fazioni si era estesa anche nella popolazione; sedata inizialmente dall'esercito, poi anche dentro questo in marzo ci fu una sollevazione armata contro la politica religiosa monofisita invocando quella ortodossa.

ANASTASIO piuttosto coraggioso, per domare i soldati inferociti si presentò davanti alla folla e ai soldati senza corona, come a volersi dissociare dalla politica religiosa precedente e accettando di discuterla. Ed infatti invitò a votare per l'espulsione del Patriarca FLAVIANO, l'origine di tanti suoi guai.
Le rivolte furono sedate con le promesse di comporre le divergenze. Ma alla vigilia del tradizionale appuntamento della festa pagana delle Brytae di maggio (che non era stata mai soppressa perchè fortemente radicata nella popolazione - vi si svolgevano spettacoli di danze e varie giochi con la partecipazione di tutta Costantinopoli) scoppiarono numerosi incidenti con morti e feriti quando fu comunicato che non la si voleva più celebrare.

In questo frangente Anastasio convinto di avere un comandante fedele in VITALIANO che comandava delle legioni in Tracia, lo mandò a chiamare per rinforzare l'esercito in città, ma poco mancò che lo stesso VITALIANO non conquistasse Costantinopoli, deponendo proprio Anastasio, che gli aveva chiesto aiuto.

PATRIZIO che allora era il magister militum di Anastasio, prima che si andasse oltre volle conferire con VITALIANO; gli propose alcune concessioni. Gli offrì 5000 libbre d'oro, il governatorato della Tracia e la promessa di soddisfazione circa la questione religiosa che avrebbe -disse- rimesso all'autorevolezza del Papa.
Poi si ritirò e lasciò libero il generale, rifiutandosi però di sciogliere l'esercito. Qui era chiaro che nessuno avrebbe rispettato i patti in futuro, e così fu, ma, ci arriveremo in seguito.

ANNO 512

TEODORICO CONTROLLA L' ITALIA
LA DISPUTA MONOFISITA DI ANASTASIO


Il territorio che controlla Teodorico (pur non essendo imperatore) ormai comprende tutta la penisola, Sicilia, la Dalmazia, la Svevia (Baviera), gran parte della Rezia (Alto Adige-Tirolo) il Norico (Austria Viennese), la Pannonia (Alta Jugoslavia), la Provenza francese fino ad Arles, e come reggente di Amalarico ancora minorenne anche la Spagna dei Visigoti.
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Se con i cristiani cattolici Teodorico in Italia va molto d'accordo, con quelli dell'imperatore ANASTASIO a Costantinopoli (ortodossi) è in continuo contrasto; anche se Teodorico finora è rimasto sempre distaccato dalle dispute teologiche.
La forte contrapposizione tra i due era semplicemente dovuta al fatto che ANASTASIO e il suo clero (monofisita) con delle dispute con i cristiani di Roma, rischiava di spaccare con una guerra di religione quell'equilibrio che si stava invece creando (così credeva) al di quà di Costantinopoli. (Ma come vedremo più avanti, il grosso problema l'aveva in casa)

Questa disputa teologica che ANASTASIO voleva evitare, per Teodorico che era barbaro e ariano non era certamente comprensibile; ma anche il migliore filosofo e il migliore teologo del tempo (e per altri 1400 anni), si affaticavano inutilmente per trovare una soluzione soddisfacente al problema che travagliava tutti, in oriente come in occidente, che provocava liti furibonde, alle volte sommosse strumentalizzate, non di rado con morti dentro le stesse chiese che si combattevano tra di loro per portarsi via reciprocamente i fedeli, che di queste diatribe non ci capivano proprio nulla; figuriamoci il barbaro Teodorico.
Ma non dimentichiamo che in queste liti c'era una forte componente politica. Veniva dal clero l'approvazione per l'elezione dell'imperatore. E Anastasio era proprio debitore ai monofisiti.

La disputa era sulla natura del Cristo. Il monosifismo del clero vicino ad ANASTASIO negava la natura umana del Cristo riconoscendogli la sola natura divina (e le difese erano sempre di più cavillose come argomentazioni), mentre in Occidente con l' incrollabile dogma di Agostino si manteneva ben saldo il pensiero trinitario-cristologico (triteiste) che voleva Cristo anche umano, alla quale il suo moralismo era interessato anche per l' intento di fare di lui un modello. Il problema quindi consisteva nella nascita di queste due formule "ortodosse" dell' unica persona e delle due nature. (non termineranno qui, perché queste dispute continueranno fino alla ortodossia protestante del 1529, che non seguirà il cattolicesimo romano ma neppure la Chiesa greco-ortodossa; quest' ultima si attesterà (per l'influenza delle idee umanistiche e poi idealistiche e romantiche), sui principi umani della ragione, della libertà e della cultura; che derivarono poi mescolanze assai varie fra una religiosità e spiritualità rigorosamente cristiano-riformatoria e un orientamento umanitario e idealistico; in seguito anche all'interno delle singole chiese protestanti.


Con queste precedenti liti in atto, il 6 Novembre a Costantinopoli scoppiano drammatici tumulti; i rivoltosi uccidono i monofisiti, abbattono le statue dell' Imperatore ANASTASIO, e cercano di proclamare imperatore AREOBINDO la cui moglie GIULIANA rappresentava la casa di TEODOSIO.


Non solo a Costantinopoli accaddero incidenti gravi, ma anche in Arabia, che era poi il centro del cristianesimo monofisita; sempre in lotta con gli ortodossi dell' Etiopia. Ci furono incendi di chiese da entrambi le parti, con l'intervento dell'esercito arabo contro quello etiope.

ANNO 511

ULTIME GESTA DI CLODOVEO - MORTE
L'EREDITA' MAL RIPOSTA
FIGLI E PADRI ASSASSINI PER IL POTERE

CLODOVEO aveva come abbiamo visto riportato grandi vittorie, ma in ognuna di queste il suo metodo per sbarazzarsi degli avversari - i piccoli re che lo contrastavano era molto sbrigativo.

Con una serie di assassini Clodoveo si era liberato dei re salici CARARICO e RACAGNARO, due fratelli che erano succeduti a RICARIO, e RIGNOMERO, ed era entrato in possesso dei loro territori.

A Clodoveo non gli bastava, aveva sete di conquiste; ma restava il regno dei Ripuari. Prima mise CLODERICO contro il padre SIGIBERTO promettendogli a lui sul trono, ed infatti costui si sbarazzò del padre, poi si sbarazzò dell'inesperto giovane che fu a sua volta ucciso.
"Così giorno per giorno Iddio prostrò i suoi nemici davanti a lui, perchè gli si sottomettessero, e accrebbe il suo regno poichè egli camminava davanti a lui con cuore onesto e faceva quello che era gradito alla Sua vista"

Così GREGORIO DI TOURS ci tramanda la singolare cronaca che conclude la narrazione di tutti questi delitti.

Indubbiamente c'è da ammetterlo aveva bene governato e con audacia combattuto (aveva Dio davanti a lui!) facendo molto assegnamento sull'appoggio dell' episcopato. Ma per ingraziarselo ancora di più, convoca quest'anno un concilio a ORLEANS, dove però è lui a voler discutere come dare una disciplina al clero, e come offrire il diritto di asilo agli infedeli nei luoghi sacri.

Volle discutere anche sulla successioni dinastiche, volendo lasciare ai figli il trono e i privilegi del comando del suo esercito (prima queste successioni non erano in uso nei barbari, la successione andava al più degno, al più forte, al più audace e ovviamente al più prestante del gruppo. Ma già con i Franchi si inizia a dire che era una loro consuetudine il diritto ereditario privato

Clodoveo nel regolare la successione, fu quasi preveggente, fece appena in tempo, perché proprio quest'anno morì.

Ora dopo quelle disposizioni impartite e suggellate dal clero a Orleans, considerando il regno una eredità familiare la spartizione alla sua morte avvenne fra i quattro figli TEODORICO I, CLODIMIRO, CHILDEBERTO, CLOTARIO I.

Ciascuno di essi ebbe una parte di regno. Come capitali del loro territorio scelsero, rispettivamente Reims, Orleans, Parigi, Soissons.
Purtroppo accadde quello che era già avvenuto con GENSERICO in Africa. Furono - quelle ricevute dai figli- eredità molto difficili, lasciate a uomini incapaci che non avevano né carisma né il carattere dei genitori; ma solo invidia l'un l'altro.

Entrambi i due singolari monarchi avevano molto lottato, avevano fatto grandi conquiste, ma non avevano costruito nulla di solido per il futuro; soprattutto non avevano insegnato ai figli cos'era un regno. Altro errore grave quello di dividere il regni, mettendo gli stessi figli uno contro l'altro per l'ingordigia di voler tutto.

Infatti anche quelli di Clodeoveo si uccisero fra di loro spinti dall' avidità di accrescere il proprio territorio; iniziarono i primi due, sbarazzandosi dei due fratelli, poi uccisero anche i figli di questi; infine si scontarono gli ultimi due Childelberto e Clotario, e il primo rimase ucciso.
Nel 558 di tutti i discendenti di Clodoveo restava solo più CLOTARIO, che divenne l'unico erede con un figlio degenere anche lui: CRAMNO. Il sangue che scorreva in quest' ultimo non era diverso dagli altri, era anch'esso marcio. Tentò di uccidere il padre per impossessarsi di tutto il regno dei Franchi. Clotario nel 559 inizia a dare la caccia al figlio ribelle, fin quando lo fece prigioniero. La vendetta fu tremenda: mise lui, la moglie e i suoi figli dentro una capanna di legno e per sbarazzarsi con un colpo solo di tutti i discendenti gli diede fuoco bruciandoli vivi.

L'anno dopo, nel 561 si ammalò gravemente anche Clotario; sul letto di morte fu preso dallo sconforto, e al prete che lo assisteva gli chiese "Che cosa pensate del Re del Cielo che abbatte in questo misero modo i re della terra?"
Non riuscì a udire neppure la risposta, perché il Re del Cielo aveva abbattuto anche lui, fulminato; e certamente non gli risparmiò neppure le fiamme dell'inferno, anche se la Francia lui - come suo padre- aveva contribuito a formarla.
Lasciò quattro figli; ma la storia si ripeté, tale e quale. I primi pensieri dei quattro eredi furono quelli di sgozzarsi a vicenda l'un l'altro (ci arriveremo a suo tempo).

ANNO 510

SPUNTA UN FIGLIO DI ALARICO II

Avanzando delle pretese alla successione, viene fuori un figlio bastardo di Alarico II: GISELICO.
Dopo la morte del re Visigoto, a succedergli era stato il figlio Amalarico, che essendo minorenne la reggenza l'aveva presa lo stesso Teodorico; ed era lui a guidare l'esercito visigoto. Giselico dopo aver riunito dei suoi fedeli in Spagna, ha la malaugurata idea volersi di battersi con TEODORICO per la riconquista della corona che ha solo virtualmente il fratellastro.

Nello suo tentativo viene sconfitto, anche se riesce a mettersi in salvo. Non soddisfatto, il prossimo anno, rimettendo insieme un esercito in Africa, tenterà ancora una volta la sortita. Purtroppo in quest'altra impresa oltre che essere un'altra volta fallimentare, ci rimette anche la vita.

LONGOBARDI ALL'ESTERO : Nel 510 circa il Longobardo Tatone, vincitore degli Eruli, viene spodestato e ucciso dal figlio di suo fratello Zuchilone, il grande Vacone che creerà un impero che si estende dalla Boemia dove confina coi Turingi all'Ungheria dove si trova di fronte i Gepidi. Nonostante la sua potenza dovrà confrontarsi con i discendenti di Tatone: prima il figlio Risiulfo fuggito fra i Varni che riuscirà a far uccidere e poi il figlio di Risiulfo Ildechi scappato prima fra gli Slavi e poi fra i Gepidi (da qui l'aspra inimicizia fra Gepidi e Longobardi). Per rafforzare la sua posizione internazionale fra i popoli germanici Vacone passò attraverso ben tre matrimoni: il primo con la turingia Ranicunda, il secondo con la gepida Austrigosa e l'ultimo con Silinga, la figlia del defunto re erulo Rodolfo (con quest'ultimo si voleva andare incontro agli eruli che si erano sottomessi ai Longobardi).

ANNO 509

TEODORICO CONTRO I BURGUNDI






L'attrito causato dall' attacco di CLODOVEO e la sconfitta e l'uccisione di ALARICO re dei Visigoti -che ricordiamo è anche suocero di TEODORICO- fa prendere a quest'ultimo la decisione di inviare il generale IBBA contro i Burgundi in Provenza.
Il timore di Teodorico - dopo il successo a Vouillè- è quello che il re Franco voglia estendere il suo regno verso sud, verso la costa mediterranea. Ma è anche spinto a dare una punizione ai Borgundi per aver aiutato Clodoveo a sconfiggere i Visigoti e di avergli ucciso il suocero.
Dopo la morte di Alarico II, a succedergli nel regno visigoto di Spagna è il piccolo AMALARICO, ma proprio perché minorenne ne assume la reggenza proprio Teodorico.
E' dunque Teodorico questa volta a sconfiggere i Borgundi prima in Provenza fino ad Arles, poi a riconquistare la regione costiera tra il Rodano ed i Pirenei (Settimania).
Teodorico durante questa campagna prende anche accordi con le popolazioni della Turingia e con quella dei germani insediata alle spalle dei Franchi, oltre fare anche alleanze con gli Eruli stanziati lungo il Danubio.

ANNO 508

LA LEGGENDA DI RE ARTU'
IL MANIERO INGLESE - INIZIO DI UNA CIVILTA' FEUDALE
LONDRA GIA' METROPOLI DI SASSONI
LOTTE FRA CELTI E SASSONI
ITALIA -
LOMBOBARDI CONTRO ERULI



"I Sassoni, gli Iuti e gli Angli che abbiamo già conosciuto e che sono ormai i dominatori su gran parte di quello che sarà l'Inghilterra, subiscono qualche anno prima o dopo del 500 una dura sconfitta a Mons Badonicus (località non meglio identificata, ricordata dal contemporaneo Gildas nel 'De excidio Britanniae') da parte dei britanni; li comanda un certo RE ARTU' (lo scontro a Caer Faddon, nel Galles) il nome viene fornito dalla 'Historia Brittonum' dello storico gallese Nennius, che scrive nel nono secolo; un'altra fonte molto antica che lo cita é la poesia gallese 'Goddodin' di un certo Aneirin). Per Nennius questa sarebbe l'ultima delle dodici battaglie che gli attribuisce (La battaglia di Camlan...l'ultima...e fatale...di Re Artù...località Afon Gamlan...monti Rhinog nel Galles) e che parla anche della sua morte per mano degli Scoti, ma Nennius é uno storico notoriamente inaffidabile.


E su queste tracce che ci si basa per affermare la storicità di ARTU, nel mito il famoso eroe della Tavola Rotonda, grande cavaliere in lotta insieme ai suoi paladini per il dominio dell'isola, fino alla tragica morte nella sanguinosa battaglia contro suo figlio Mordred, che aveva usurpato il potere mentre Artù era con un potente esercito a dare la caccia a Lancillotto a causa del suo amore per Ginevra.
Il mito in area gallese trova il suo sviluppo nel 'Mabinogion', una collezione di racconti che costituisce uno dei monumenti più grandi della letteratura gallese; da lì passerà a Goffredo di Monmouth, scrittore latino pure lui gallese il cui 'Historiae regum Britanniae' del 1136 avrà un successo incredibile e darà origine al ciclo bretone della letteratura francese medievale.
E' certo che dopo Mons Badonicus vi fu quasi mezzo secolo di relativa pace in cui l'avanzata anglosassone fu bloccata; questo sembra confermato sia da Gildas (che all'inizio parla di "invasori" che avevano razziato fino al Galles) sia indirettamente dalla 'Cronaca Anglosassone'. Gildas però, che non era uno storico ma un moralista, parla soprattutto di cinque re britanni locali disonesti e malvagi che litigavano e lottavano fra loro. Va ricordato però che proprio sotto l'anno 508 la 'Cronaca Anglosassone' scrive: "Cerdic e Cynric uccisero un re britanno di nome Natanleod e 5000 suoi uomini. La terra fu da allora chiamata Natan leaga fino a Cerdices ford". Cerdic é il primo re del Wessex (cioé dei West Saxons, i sassoni occidentali), mentre Cynric é suo figlio.
Dove siano i due luoghi indicati non é certo.

Anni di pace quindi non proprio perchè sembra che questi disordini interni e l'allontanamento dell'isola dalle rotte commerciali portarono gli abitanti ad abbandonare e fuggire dai paesi e dalle città. Che vanno ormai abbandonate in rovina, fino a trasformarsi in miseri villaggi, che i nuovi arrivati nemmeno occuparono, nè mai presero d'assalto perchè ridotte in ruderi, come dimostrano gli scavi e pure la testimonianza di Gildas il quale lamenta che le città hanno perso molti abitanti. Si vive ormai in una società rurale in cui é assente il denaro sostituito dal baratto, dalla parte germanica come da quella celtica, e diffusi sono i piccoli paesi fortificati che talvolta hanno il nome di ceaster (castelli o campi fortificati). Cose da poco, e locali. Le invasioni non c'entravano.

L'unica vera città dove si credeva avvenuta una battaglia di Artù, cioè Bath, era già da tempo un rudere; una città già in macerie e nessuno ricordava quand'era avvenuta la distruzione o l'abbandono.
Bath, famosa per i bagni caldi, era antichissima. Dedicata alla dea Sulis, la sua fondazione e l'abbandono si perdeva nella notte dei tempi; forse quando arrivarono i primi romani sull'isola, e sappiamo che loro erano amanti dei bagni e delle terme. Gli scavi oggi lo confermano.

La città di Londinium (Londra), ormai in territorio sassone, si trova nelle medesime condizioni di Bath; infatti in età romana Londra doveva la sua prosperità -che ne aveva fatto la prima città della provincia- al suo ruolo di intermediario fra l'isola e la Gallia (non é certo un caso che fosse stata nel quarto secolo la capitale dell'amministrazione civile della Britannia), e proprio questo ruolo era venuto a mancare a causa dell'anarchia imperante e della crisi urbana che aveva colpito, sia pure in misura minore, la Gallia settentrionale.

Perché rinasca la città si dovrà attendere la fine del secolo quando i mercanti frisoni inizieranno ad affluire nella città e pure faranno ripartire la circolazione delle monete d'argento nell'isola; ma allora si tratterà di una città con una cultura pagana molto radicata (come prova la cacciata del primo vescovo Mellitus nel 616). Un altro indizio che va contro la continuità é la rete stradale della città: non vi é nessun rapporto fra quella romana e quella medievale.
Londra aveva ricoperto in età romana fra le sue mura (che in parte ancora sussistono) circa 135 ettari, ossia l'attuale City; inoltre si estendeva in parte anche sull'altra riva del Tamigi e fra i suoi monumenti aveva un grande tempio dedicato al dio del sole Mitra.
Sorgeva su una estensione di circa oltre 3 km quadrati (oggi 1580 km quadrati).
(Nota di Alexander Ducci)

Abbandonata dalle legioni romane (ma non dai quei romani o discendenti che vi avevano impiantato attività commerciali e attività varie) come abbiamo letto negli anni precedenti, diventata indipendente, le lotte ora le faranno i locali o con quelli che giungono dal mare fondando i villaggi sassoni.
I nomi delle città e dei paesi iniziano ad essere germanici, l'antica designazione romano-britanna compare sempre meno.
Gli scavi dimostrano che i Sassoni fissarono le loro sedi lontano dei luoghi dove erano le città e gli agglomerati romano-britanni. La stessa Londra, va espandendosi tutto intorno di villaggi sassoni che sono divenuti oggi, i quartieri di Islington Tottenham, Clapham ecc. L'importante città romana Lindum viene completamente abbandonata, costruendo i nuovi villaggi a circa dieci chilometri di distanza.

Questo riprova che le città non vennero prese d'assalto dagli invasori, e che la popolazione celtica non venne completamente distrutta dagli stessi; o era scomparsa del tutto per conto suo o era cosi povera come villaggi e come economia, che gli invasori preferirono fondare ex novo i loro villaggi.
Infatti inizia da questi nuovi villaggi quell'organismo economico dell'Inghilterra medioevale: cioè il "maniero", che è poi sopravvissuto fino a tempi recenti.


Simile alla "villa" romana, solo in parte (forse) da questa derivata (semifeudale, campi, contadini, colonnato, schiavitù della gleba, e proprietario con funzioni amministrative e giuridiche).
A questo precedente organismo si sovrappone in continuazione l'economia agraria celtica, e quella germanica.
Gli storici romani fanno polemica con quelli germanici su chi ha avuto più diretta incidenza sullo spirito inglese. E se il maniero era un prodotto romano o germanico.
Altri storici più distaccati sostengono invece che l'economia del maniero inglese è una creazione tarda, una esigenza più che una tradizione. E che in questo periodo non esiste ancora. La romana era già scomparsa, e quella germanica era se non proprio primitiva tutta ancora da inventare. Che entrambe le due tradizioni erano vaghe.

L'economia feudale inglese insomma inizia ora, ed avviene e avverrà in un momento in cui l'Inghilterra vive un periodo separato dal resto del mondo, che alcuni storici definiscono la, vera, unica epoca insulare dell'Inghilterra, dovuta agli insediamenti germanici sulla costa prospiciente l'Europa. Anche se i rapporti con il continente continuarono, l'unico elemento esterno che andrà influire sulla formazione e l'evoluzione dell'Inghilterra anglosassone, e quindi dell'Inghilterra moderna, è la conversione -ma solo alla fine del 600- al Cristianesimo, quello che andrà a influire decisamente sull'Inghilterra celtica. Solo dopo tale data le Chiese celtiche finiranno per ammettere la supremazia papale.

Un mutamento avvenuto all'inizio con atti di pirateria, ma poi le massicce emigrazioni nell'isola nell'arco di due secoli (dalla partenza delle legioni - Onorio nel 410 autorizzò i Britanni e i romani che c'erano a fare da sè), vanno a far perdere spiritualmente ogni contatto sia col mondo celtico che con quello romano. L'Europa dimentica l'Isola.
(Abbiamo detto spiritualmente, ma non commercialmente)
Sia Belisario, Giustiniano e lo Storico Procopio, quando parlano della Britannia in questo periodo è come se parlassero dell'antico Egitto, ricordano un "muro" (il Vallo di Antonino e Adriano) come una cosa "costruita dagli antichi". Il "dominio"? una cosa da tempo tramontato e dimenticato.
Ma è curioso (mentre i commerci ci sono e prosperano) che di questo distacco-isolamento, si parli (politicamente) delle invasioni di Juti, Angli (dalla odierna Danimarca) e Sassoni (dalla germanica Elba), come dei distruttori delle popolazioni dell'isola. Ombre oscure che devastano l'isola, trasformandola in un'isola dei morti. Cioè un'idea erronea degli avvenimenti.
Le invasioni erano avvenute dal 410 in poi (Beda ne elenca un notevole numero) ed erano state anche facili; lo stanziamento un po' meno facile, ma questa serie di infiltrazioni o di conquiste non erano avvenute come le narra Gilda (gallese): con un massacro completo di tutta la popolazione britanno-romana.

La verità è che nel vuoto politico assoluto i nuovi occupanti si insediarono agevolmente. E se venne a mancare quella spina dorsale dell'organizzazione militare, questa fu in breve sostituita, anche se all'inizio con meno forza, da milizie civiche contadine, per dare sicurezza alle proprietà, ai traffici dei locali, insieme ai nuovi arrivati; ecco una delle ragioni dell'economia del "maniero" e la nascita dell'economia feudale. Non decadenza e ritorno allo stato tribale (come scrivono i contemporanei sul continente) ma piccole autonomie, che comprensibilmente non esitarono a combattersi tra di loro, con i mezzi che disponevano; i locali (con dentro qualche membro dell'antico esercito) con una certa superiorità tecnica terricola ereditata dai romani (compresi i cavalli), i nuovi arrivati piuttosto con qualche difficoltà essendo la loro seconda professione quella di corsari del nord europeo (che mantennero - Vichinghi, Normanni, Danesi ecc), ma che non era la prima professione e la base dell'esistenza. Capi pirati o no - Sassoni, Angli e Juti- erano signori benestanti, ricchi di bestiame e di terreno. Avevano uno sfondo culturale già sviluppato, una lingua dalla grammatica complicata; soprattutto erano già quello che gli inglesi sono ancora oggi: "singolari" poeti.
Avevano già (alcune opere sono di questi tempi) una lunga abitudine alla creazione lirica, rivolta alla natura, a dei atavici (come il dio Wotan), agli eroi caduti in battaglia, cantando la gioia della mischia, l'onore del guerriero, la devozione al capo, tutte virtù che attraverso i secoli accompagnano il grande brigantaggio, una poetica morale che sorge "naturalmente" dalla rapina.
Gloria del resto voleva dire partire e tornare a casa con ricchi bottini razziati.
Dopo nacque un'altra gloria, quella di stanziarsi in un punto, e lì chiamare gli amici. Lasciando perfino spopolate le loro sedi di originarie.

La città di Londra conosce un ulteriore sviluppo molto particolare grazie a queste capacità, soprattutto marittime dei suoi nuovi abitanti. E qui l'apporto delle ex maestranze romane si fece sentire molto.

Creano strutture nel campo cantieristico navale tali, che presto quella di Londra diventa la più grande flotta commerciale; le sue navi sono quelle che sempre di più vanno a sviluppare gli scambi fra i porti della Francia, della Germania, dei Paesi del nord e che a loro volta insediando nel capace e naturale porto altre numerose colonie commerciali, vanno ad aumentare in crescendo la prosperità della popolazione. Dando vita a quel fenomeno storico e decisivo per le sorti dell'Inghilterra: al rapido formarsi -tra il sec VI e l' VIII- di Stati e la tendenza ad una unione confederale tra essi.
Tra il 577 e il 606, i piccoli duci, i piccoli re che menziona Beda, la chiesa celtica, fanno le ultime lotte per resistere all'accerchiamento, ma poi con gli anglosassoni andranno a coagularsi.

Non avverrà in un modo uniforme su tutta l'isola, nel nord e nell'ovest gli sbarchi e le infiltrazioni di Angli e Sassoni sono decisamente minori, mentre quelle massicce sono quasi tutte sulla costa della Manica o a oriente. Ed è qui che si sviluppano le antiche città, o ne vengono fondate delle altre per l'intenso commercio con le coste della madre patria.
A dominare la parte centro orientale, e proprio per questi motivi, Londra diventa l'epicentro.

Una occasione quella dei commerci che modificherà sempre di più l' urbanizzazione piuttosto caotica fino al 1136, quando la città -con le costruzioni quasi tutte in legno- fu quasi completamente distrutta da un colossale incendio.
Segnò il disastro, ma fu anche l'inizio della ricostruzione molto singolare. All'interno delle mura fortificate romane si fecero solo costruzioni in pietra, ma fu anche l' inizio della urbanizzazione fuori dalle mura (per non che si verificasse un altro simile disastro) che raggiungerà tali dimensioni da farla diventare subito la più grande città del mondo con un diametro di 140 chilometri, quindi con alcuni dei suoi abitanti - già allora- a circa 70 chilometri dal centro.
A parte la precauzione per gli incendi, la disposizione d'animo a voler vivere fuori dal centro città fu sempre forte, e lo è ancora oggi. (ma ne riparleremo).

Fu favorita in questo sviluppo da una ideale estensione di verde che ha avuto una bassissima utilizzazione rurale (allora erano macchie di foreste tra un villaggio e l'altro -oggi quartieri) e che ha permesso poi agli urbanisti di tutte le epoche di creare una città nel verde. Basti pensare che soli i suoi sei parchi reali all'interno della città hanno una superficie di 2360 ettari.



ITALIA - LONGOBARDI - Nell'anno 508 avviene la grane vittoria dei Longobardi contro gli Eruli, sotto ai quali erano stati fino ad allora sottomessi. Pare che i Longobardi sotto i successori di re Godeoc, cioè sotto il figlio Claffone (che regnò poco) e il nipote Tatone fossero costretti ad abbandonare la Rugilandia (che noi possiamo identificare con la Bassa Austria) e a trasferirsi più a oriente in una regione chiamata dallo storico longobardo Paolo Diacono "Feld" (da intendersi come l'odierno Marchfeld a est di Vienna). Solo che secondo Paolo Diacono questo trasferimento fu volontario e Longobardi ed Eruli erano confederati in un rapporto paritario, mentre sappiamo grazie al 'De bello Gothico' di Procopio di Cesarea che i Longobardi erano tenuti a pagare tributi agli Eruli (popolo insediato nel bacino del Tibisco), e dunque i Longobardi furono probabilmente messi in movimento dalla pressione dei loro potenti vicini.

Fu dunque la volontà di rendersi autonomi dei Longobardi che scatenò il conflitto che portò all'annientamento quasi completo degli Eruli e alla morte del loro re Rodolfo, rendendolo un evento che ancora secoli dopo era vivo nella memoria collettiva dei Longobardi come determinante. Infatti venne fatto un bottino straordinario e furono assoggettati molti Eruli che vennero fusi nel popolo dei Longobardi segnando l'inizio di una grande espansione. E il fatto non va visto come meramente locale: grazie a Cassiodoro sappiamo che Rodolfo era figlio adottivo di Teodorico e apparteneva alla sua rete di alleanze che includeva i Visigoti sbaragliati l'anno prima; faceva tutto parte del disegno bizantino di ridimensionare la potenza gotica attraverso alleanze strategiche con i nemici del grande re ostrogoto. Riguardo agli Eruli che non si sottomisero sappiamo da Procopio che una parte si rifugiò in Illirico sotto la protezione bizantina (dove chiesero e ottennero nel 545 un membro della loro famiglia reale come re) mentre i superstiti della famiglia reale insieme al loro seguito migrarono a "Thule" (così Procopio chiama la Scandinavia) e si insediarono vicino al popolo della Svezia meridionale dei Gauti. Esiste una considerevole documentazione archeologica che li collega allo sviluppo della cultura di Vendel, famosa per la ricchezza dei suoi sepolcri. Ad essi si tende ad attribuire lo sviluppo del culto di Odino in Svezia e forse addirittura la distinzione fra le divinità dei "Vani" portate dagli Eruli e quelle degli "Asi" dei primi abitanti.

A loro si dovrebbe anche l'introduzione di un'industria del ferro tipica delle culture germaniche più meridionali e la diffusione delle saghe gotiche. Di particolare importanza il loro collegamento nella nascita dell'alfabeto runico: tutta la Scandinavia é disseminata di iscrizioni runiche con scritto "erilaR" come associato agli incisori di rune (forse per la loro abilità "erulo" e "incisore di rune" erano diventati sinonimi).