MUORE PAPA GIOVANNI
LA SINGOLARE FINE DI TEODORICO
AMALASUNTA EREDITA IL TRONO
GIUSTINIANO E LA BALLERINA TEODORA
Rientrato da Costantinopoli a Ravenna, dopo aver fatto l'ambasceria di Teodorico, e non avendo portato con se' un nuovo editto dai contenuti desiderati dal re ostrogoto, soprattutto sul punto chiave (la non espulsione degli Ariani), Papa Giovanni fece infuriare Teodorico.
Se la prese con lui sbattendolo in prigione. Anziano, stanco e malaticcio il papa ci rimase pochi giorni, il 18 maggio usciva dalla galera, ma ne usciva cadavere.
Teodorico coglie subito l'occasione per far eleggere un papa di suo gradimento. Il 12 LUGLIO sale sul soglio FELICE IV, di origine sannita.
Poi si scatena, furente del fallimento.
Teodorico ha ormai 72 anni, ma vuole dare il colpo di coda. Osa contrapporsi all'editto di Giustino.
Prepara un editto e in questo è lui a mettere al bando tutti i cattolici; l'ordine è quello di cacciare da tutte le loro chiese i cattolici.
L'ordine porta una data: il 7 SETTEMBRE. E' il giorno che lui e il suo ministro tale esecuzione del bando doveva venire applicato.
Ma anche il destino ha fissato una data per la sua morte. Ed è la stessa il 7 SETTEMBRE.
Le sorti dell' Impero Romano e dell' Impero d' Oriente, subiscono un'altra volta una deviazione per un attacco di dissenteria a un suo protagonista, cosi come tanti altri, da Alessandro Magno in poi.
Una morte singolare, e la dominazione Ostrogota viene scossa dalle fondamenta.
I suoi fedeli cercano un successore. Tra i tanti parenti, resta solo la figlia Amalasunta, che ha un figlio avuto dal Visigoto di Spagna Eutarico, ATALARICO che sembra Teodorico prima di morire abbia indicato come suo successore.
Ma è ancora piccolo, e la reggente è la madre. Una gota di sangue ma di cultura ormai latina; è nata, cresciuta, educata, in un ambiente romano e sa cosa rappresenta Roma. Vorrebbe fare come il padre quando espresse la sua parte migliore.
Purtroppo deve fare i conti con i veri goti. Gli uomini di Teodorico in tutti questi anni si erano sottomessi al loro re, e come lui aveva insegnato, li aveva abituati a coesistere col mondo romano. Lo abbiamo letto più di una volta, Teodorico era un barbaro, ma aveva conservato le tradizioni romane; e nel mettere mano alle leggi, pur adeguandole alla sua gente, si era sempre avvalso di valenti magistrati del diritto romano; aveva portato rispetto alle istituzioni, e al Senato. Favorì perfino le passioni dei romani, come i giochi, gli spettacoli, le pantomine. Ma la cosa più sorprendente della sua personalità, singolare in un barbaro, fu quella di essere anche un uomo di buon gusto, amante dei monumenti, delle architetture degli edifici pubblici, e promosse anche molti restauri di quelli esistenti.
Gli storici Cassiodoro e l'Anonimo (lasciamo perdere Ennodio che usa troppa enfasi "Ringiovanì Roma e l'Italia, orrende nella loro vetustà"), ci elencano un numero incredibile di opere, erette a Roma, Verona, oltre a Ravenna. Era Teodorico stesso a ricercare con competenza marmi, marmisti, mosaicisti e architetti che hanno dato origine alle opere pregevoli che sono giunte fino a noi.
I suoi goti invece erano e rimasero barbari, e con la forza avrebbero voluto farsi valere di più. E fin quando Teodorico era vissuto li tenne a bada, ma ora salita una donna al trono, ritennero che era giunto il loro momento. Per prima cosa gli portarono via il bambino, che in seguito poi mori. La donna in difficoltà, anche perchè sollecitata a farlo, sperando di associare al trono un uomo fidato, scelse il male minore, quello di sposare il cugino TEODATO.
Che fidato non era, ma piuttosto perverso. Infatti si sbarazzò presto della donna relegandola su un isola del lago di Bolsena.
Amalasunta, eludendo la sorveglianza, riuscì a chiedere aiuto proprio a Giustiniano. Teodato avutone notizia la fece strangolare.
Ma a Giustiniano quell'invocazione gli arrivò comunque.
(ne riparliamo il prossimo anno)
GIUSTINIANO E LA BALLERINA
GIUSTINIANO compie quest'anno 42 anni. Abbiamo già letto nelle pagine precedenti che è un bell'uomo, almeno così è stato descritto e così ci appare in un ritratto ufficiale conservato nel mosaico di San Vitale a Ravenna; ma anche nel Dittico Barberini in avorio, che si trova oggi al Louvre.
Di carattere cordiale, non avvezzo alla mondanità di corte, oltre che avere la passione per il lavoro, aveva anche la passione di vivere una vita libera, consona alle sue origini contadine. Quindi non esitava a unirsi con amici quando voleva trascorrere allegre serate in compagnia, nè tralasciava di frequentare locali animati, pieni di vita godereccia. E fra questi locali non mancavano quelli dove si faceva musica, si ballava, dove c'erano ballerine; locali famosi con belle ballerine.
Giustiniano nel frequentarne uno, iniziò ad avere un debole per una ballerina che era fuori dal comune, avvenente, giovane, ammaliante da fare impazzire più di un uomo.
In breve divenne la sua stregata amante di cui non ne poteva fare più a meno.
La ballerina era TEODORA, figlia di un allevatore di orsi da circo, 18 enne. Tutte le sere si esibiva in un locale dell'ippodromo, affascinando ma anche scandalizzando la capitale, perché si esibiva in vestiti succinti, ballava e si adoperava in pantomime con scene audaci da far impazzire tutti i presenti.
La moltitudine dei suoi amanti, si sussurrava in giro, era enorme, ma una seccante avventura dicono i biografi maligni la fece sparire per qualche tempo da Costantinopoli (forse perché rimase incinta).
Ritornata dall'Egitto dopo un anno, più matura e più saggia, quando riapparve all'uomo che non l'aveva dimenticata, riuscì nuovamente a riconquistarlo. E quell'uomo era GIUSTINIANO che ben presto si trovò disperatamente innamorato di questa donna.
Giustiniano pur avendo (anche se sapeva controllarlo) un temperamento violento, e quel carattere decisamente autocratico (che poi esercitò), nei rapporti con Teodora si trasformò in un suo umile servo, non rifiutandogli nulla, colmandolo di ricchezze, facendosi distruggere dal suo odio-amore.
Il suo era un amore passionale possessivo, mentre l'altro era l'amore affettivo di una donna calcolatrice.
Ma lui non ne poteva fare a meno, e quest'anno, geloso e possessivo com'era, aveva deciso di averla tutta per sé, cioè di sposarla.
Ma c'erano le leggi costantine e ancora più severe quelle teodosiane, che non permettevano a uno di rango imperiale (ma anche a nessun cattolico) di unirsi in matrimonio con una attrice, fra l'altro dal comportamento non proprio irreprensibile.
Ma le leggi non le fanno gli uomini? E non c'era il vecchio zio GIUSTINO imperatore? E Giustino le faceva lui le leggi? Ma nemmeno per sogno! Fin da quando era arrivato il nipote non è stato altro che un suo subordinato; le leggi che il nipote gli prepara, Giustino prende il "nomografo" che gli hanno preparato in una sottile tavoletta e "firma" il suo nome seguendo la scanalatura.
Ma restiamo nelle apparenze formali. Giustino per compiacere il nipote prese le leggi in mano, ne abrogò la parte in questione che proibiva legami di senatori e alti funzionari con attrici e saltimbanchi, e permise al carissimo nipote ufficialmente di sposare la sua amante.
Quando il prossimo anno - dopo la morte dello zio- Giustiniano verrà incoronato imperatore, la stessa TEODORA fu incoronata Augusta imperatrice. Un fatto questo che ebbe parte determinante nell'indirizzare o nell'opporsi al corso degli eventi (politici e religiosi) di tutto l' impero.
Occorrerebbero molte pagine per illustrare la biografia di questa singolare donna che influenzò Giustiniano e l'impero per i restanti 22 anni di regno, tante sono i suoi interventi sulla politica, sulla religione, sulla cultura, sulla ricostruzione delle città, sui monumenti che ci sono giunti fino a noi.
Molti di questi anche a Ravenna, Milano, Roma e ovviamente a Costantinopoli i più grandiosi.
Teodora voleva passare ad ogni costo ai posteri, e i posteri la ricordano con i grandi monumenti, le basiliche (S. Sofia ), gli edifici pubblici, le terme e... anche dentro le leggi Giustiniane. Perché in quelle del divorzio, sulla prostituzione, sull'adulterio, Teodora non mancò di dare il suo contributo di "esperta". Conosceva l'ambiente, le debolezze umane, e i paradisi o gli inferni di una donna.
GIUSTINIANO parlando di ogni cosa del suo governò iniziava sempre "Io Giustiniano con la onoratissima moglie che Dio mi ha dato", oppure nel propugnare una legge, nell'esporla premetteva "il suo dolcissimo incantesimo mi ha suggerito...."
I suoi contemporanei sono d'accordo nell'affermare che essa non si faceva scrupolo di servirsi del suo influsso illimitato e che la sua autorità era pari a quella del marito, se non più grande.
Anche perchè i suoi biografi, anche quelli che gli hanno tessuto le lodi, non mancano di sottolineare che Giustiniano oltre che le qualità positive, aveva una volontà debole, una vanità infantile, un'indole gelosa (non solo riferita a quella amorosa), e un attivismo confusionale. Era inflessibile ma anche spesso vacillante. E mutamenti repentini di umore, dalle passioni più avventate, a quelle depressive.
La fama di Belisario ad esempio lo rose d'invidia per tutta la vita.
Mentre questa donna ambiziosa, ma molto intelligente, costante nella sua forza, possedeva molte eccellenti qualità che giustificavano il grande potere da lei esercitato fin dal primo istante quando a 18 anni lo conobbe e lo rese schiavo. Era dotata di un coraggio incrollabile, come dimostrò nella difficile occasione dell'insurrezione di Nika (mentre il marito impaurito fuggiva), di una grande energia, di una risolutezza maschia, di una mente decisa e limpida e di una forte volontà di cui spesso si serviva per dominare l'indeciso GIUSTINIANO (che nel suo attivismo confusionale non aspettava altro per togliersi d'impaccio)
A queste doti Teodora univa senza dubbio difetti e perfino vizi, essendo dispotica e dura, amante del denaro e del potere. Per conservare il trono su cui era salita, sarebbe ricorsa all'inganno, alla violenza e alla crudeltà, implacabile com'era nelle sue antipatie. Appassionata nei suoi amori come nei suoi odi, favoriva i propri protetti, ma stroncava gli altri senza scrupolo.
Scaltra e ambiziosa, voleva avere sempre lei l'ultima parola, e in genere si dice che ci riusciva. Mise mano a ogni questione politica e religiosa; in diplomazia GIUSTINIANO non decideva mai nulla senza il suo parere. Essa faceva e disfaceva a proprio piacimento Papi e Patriarchi, ministri e generali, e non temeva neppure suo marito, qualora lei non era d'accordo (come a Nika).
Nelle questioni femminili, lo abbiamo detto, intervenne di persona a mettere nelle riforme dei "Codici Giustiniani" le questioni che interessavano le donne, quindi misure sul divorzio, l'adulterio, la santità del vincolo matrimoniale; e quelle intese ad assistere le attrici (!) e le prostitute. Dotata per natura di istinto politico comprese perfettamente l'importanza che andava assumendo la "questione religiosa". Giustiniano se ne interessava studiando i problemi teologici, e gli piaceva parlare ai sinodi e ai concili dove interveniva di persona per pontificare con un estremo piacere le sue astratte teorie sulla unità delle due "nature" del Cristo, mentre invece TEODORA sapeva scorgervi in quei disaccordi gli aspetti essenziali dei problemi politici.
Seguace del monofisismo Teodora non riuscì a farlo trionfare. Ma non è tutto merito di Giustiniano se le cose andarono diversamente. Nel 533 al concilio di Calcedonia, Giustiniano fece condannare i Tre Capitoli, cercando di accontentare i monofisiti: in realtà la sua azione non portò ai risultati sperati perché creò uno scontento generale che aumentò la tensione preesistente.
Insomma per chiudere questa breve biografia, che occuperebbe cento pagine, e sarebbero ancora riduttive, basterà dire che se GIUSTINO ebbe bisogno di suo nipote per governare.
GIUSTINIANO ebbe bisogno di sua moglie TEODORA per fare altrettanto. E non sapremo mai se fu lui grande o se fu la moglie ad essere tale, o a ispirare o a sostituirsi a lui perché lo diventasse.
lunedì 11 agosto 2014
domenica 10 agosto 2014
ANNO 525
PAPA GIOVANNI A COSTANTINOPOLI
UN FALLIMENTO -E UNA VITTORIA
Come abbiamo anticipato lo scorso anno, TEODORICO, dopo l'editto di Giustino (la messa al bando degli ariani) sentendosi perso e quasi condannato non vuole finire così una carriera, ne vuole vedere la soppressione della sua religione nel suo regno:
Lui come sappiamo è stato sempre tollerante, ha permesso come ai tempi di Marco Aurelio che ognuno si occupasse della sua religione senza ostacolare quella degli altri, per il convivere civile, per la tranquillità del regno.
E che tale tolleranza dal popolo e dal clero di entrambi le due religioni, fosse ben accetta ce lo conferma un periodo di relativa tranquillità nel resto di tutta Italia.
Gli incidenti nell'arco di venticinque anni non sono in certi casi mancati, ma sempre circoscritti in alcuni territori; ovviamente Roma era quello più irrequieto, sia perchè c'era il papato, e sia perché convivevano due fazioni (l'aristocratica e la plebea) che si contrastavano fortemente soprattutto quando avvenivano le elezioni del pontefice. Ognuno voleva l'elezione del suo rappresentante.
I campioni nell'accendere la miccia nelle dispute, anche pretestuose, erano sempre gli ariani (la milizia barbara a Roma era notevole), gli ebrei (per altre ragioni), e i cristiani; quest'ultimi divisi fra l'altro in due correnti di pensiero, quella bizantina e quella cattolica.
E' dunque a Roma che scoppiavano continuamente liti violente, turbative nelle funzioni, incendio di basiliche, sinagoghe o chiese ariane. I tumulti spesso sconfinavano in vere e proprie battaglie cittadine con vittime da entrambi le parti. Lo abbiamo già letto, Teodorico si era sempre destreggiato nell'appianare questi contrasti, meritandosi anche molte lodi di saggio moderatore.
Del resto questi intralci venivano da personaggi ininfluenti, quindi le preoccupazioni erano realative. Era lui ad avere in mano lo stato, l'esercito, l'autorità.
Ma con l'editto, ora era tutto diverso. TEODORICO, ebbe la netta impressione che il mondo gli stava crollando addosso, non sapendo cosa fare, convinto che con l'editto sarebbe venuta meno anche la sua autorità, si rimette a Papa GIOVANNI per un intervento a favore di questa tolleranza che invece lui - questo voleva sottolineare- aveva sempre praticata. Ecco perchè invia proprio dei cristiani per intercedere presso l'imperatore.
Convinse così il Papa, cinque vescovi e quattro senatori a recarsi da GIUSTINO a Costantinopoli.
Abbiamo già letto lo scorso anno, che genere di complicità c'era nell'appoggiare questa nuova politica religiosa improvvisamente sortita da Costantinopoli. Teodorico era andato in collera, mandando al patibolo per tradimento presunto alcuni suoi stimati collaboratori. Che indubbiamente non agivano da soli (Oltre Boezio, quest'anno manda al patibolo anche suo suocero il senatore Simmaco).
In questo terrore seminato dalla collera di Teodorico, molti non si esposero più con i giudizi, si sottomisero al suo volere, soprattutto quelli che non erano dentro nell'ambiente del clero. Che quest'ultimo remasse contro il sovrano ostrogoto non era un mistero. La politica religiosa di Teodorico sulla penisola era sì stata tollerante, ma intanto le sue alleanze con i regni barbari iniziavano a preoccupare non poco. Ed alcuni storici giustificano i cattolici questo mettersi contro il sovrano, perché non dava a loro più nessuna garanzia. Come politicamente non le dava a Bisanzio. L'esercito in Italia era guidato da Teodorico, e lo stesso re ostrogoto aveva fatto di tutto per allearsi con gli eserciti dei regni barbari. Spesso dimenticandosi che era un delegato bizantino.
Teodorico mandò un suo esercito a dar man forte a Mundo un capo predone che dai Balcani seguitava a scendere con i suoi uomini a fare razzie a Bisanzio; il generale di Teodorico mise in fuga l'esercito bizantino che si era deciso ad attaccare il predone. Allo steso modo Teodorico si comportò quando una flotta di Anastasio volle attaccare le coste pugliesi e calabre; Teodorico schierò una sua flotta per contrastarla e metterla in fuga. Un delegato bizantino che si comportava così, con questa arrogante autonomia, e perfino con delle ostilità doveva eccome preoccupare Bisanzio!
La tesi che l'accordo (l'editto dell'espulsione degli ariani) sia stato fatto in complicità tra la chiesa Romana e Giustino viene abbastanza accreditata quando si legge dagli storici la cronaca dell'arrivo dell'ambasciata inviata da Teodorico a Bisanzio.
Papa Giovanni, all'arrivo a Costantinopoli, l'imperatore Giustino con una processione lunga 12 chilometri fuori dalle mura della città lo attese e lo ricevette in grande sfarzosa pompa. Spese quasi 300.000 solidi in elargizioni alla popolazione e per organizzare feste in suo onore, attirandosi la popolarità dei cittadini, dell'aristocrazia, del clero; tutti osannanti.
Il Papa illustrò, non sappiamo se con solerzia o con fastidio, la richiesta ambasciatoria che faceva TEODORICO; che era quella di riaccogliere nell'ambito della chiesa gli ariani che ne erano stati espulsi. Ma GIUSTINO (a parlare è sempre e comunque GIUSTINIANO ) confermò la propria intransigenza nei confronti dell'arianesimo. Alla fine gli ambasciatori lasciarono Costantinopoli senza aver cambiato proprio nulla dell'editto imperiale che quindi rimaneva in vigore in tutto l' impero. Teodorico al ritorno, avvenuto nei primi mesi del prossimo anno, infuriato se la prese con papa Giovanni; lo scaraventò in prigione. L'età, gli strapazzi del viaggio, più la galera gli furono fatali, il 18 maggio il papa moriva.
La tensione religiosa da questo momento si fa ancora più acuta. TEODORICO si scatena; ma non andrà molto lontano, come vedremo.
UN FALLIMENTO -E UNA VITTORIA
Come abbiamo anticipato lo scorso anno, TEODORICO, dopo l'editto di Giustino (la messa al bando degli ariani) sentendosi perso e quasi condannato non vuole finire così una carriera, ne vuole vedere la soppressione della sua religione nel suo regno:
Lui come sappiamo è stato sempre tollerante, ha permesso come ai tempi di Marco Aurelio che ognuno si occupasse della sua religione senza ostacolare quella degli altri, per il convivere civile, per la tranquillità del regno.
E che tale tolleranza dal popolo e dal clero di entrambi le due religioni, fosse ben accetta ce lo conferma un periodo di relativa tranquillità nel resto di tutta Italia.
Gli incidenti nell'arco di venticinque anni non sono in certi casi mancati, ma sempre circoscritti in alcuni territori; ovviamente Roma era quello più irrequieto, sia perchè c'era il papato, e sia perché convivevano due fazioni (l'aristocratica e la plebea) che si contrastavano fortemente soprattutto quando avvenivano le elezioni del pontefice. Ognuno voleva l'elezione del suo rappresentante.
I campioni nell'accendere la miccia nelle dispute, anche pretestuose, erano sempre gli ariani (la milizia barbara a Roma era notevole), gli ebrei (per altre ragioni), e i cristiani; quest'ultimi divisi fra l'altro in due correnti di pensiero, quella bizantina e quella cattolica.
E' dunque a Roma che scoppiavano continuamente liti violente, turbative nelle funzioni, incendio di basiliche, sinagoghe o chiese ariane. I tumulti spesso sconfinavano in vere e proprie battaglie cittadine con vittime da entrambi le parti. Lo abbiamo già letto, Teodorico si era sempre destreggiato nell'appianare questi contrasti, meritandosi anche molte lodi di saggio moderatore.
Del resto questi intralci venivano da personaggi ininfluenti, quindi le preoccupazioni erano realative. Era lui ad avere in mano lo stato, l'esercito, l'autorità.
Ma con l'editto, ora era tutto diverso. TEODORICO, ebbe la netta impressione che il mondo gli stava crollando addosso, non sapendo cosa fare, convinto che con l'editto sarebbe venuta meno anche la sua autorità, si rimette a Papa GIOVANNI per un intervento a favore di questa tolleranza che invece lui - questo voleva sottolineare- aveva sempre praticata. Ecco perchè invia proprio dei cristiani per intercedere presso l'imperatore.
Convinse così il Papa, cinque vescovi e quattro senatori a recarsi da GIUSTINO a Costantinopoli.
Abbiamo già letto lo scorso anno, che genere di complicità c'era nell'appoggiare questa nuova politica religiosa improvvisamente sortita da Costantinopoli. Teodorico era andato in collera, mandando al patibolo per tradimento presunto alcuni suoi stimati collaboratori. Che indubbiamente non agivano da soli (Oltre Boezio, quest'anno manda al patibolo anche suo suocero il senatore Simmaco).
In questo terrore seminato dalla collera di Teodorico, molti non si esposero più con i giudizi, si sottomisero al suo volere, soprattutto quelli che non erano dentro nell'ambiente del clero. Che quest'ultimo remasse contro il sovrano ostrogoto non era un mistero. La politica religiosa di Teodorico sulla penisola era sì stata tollerante, ma intanto le sue alleanze con i regni barbari iniziavano a preoccupare non poco. Ed alcuni storici giustificano i cattolici questo mettersi contro il sovrano, perché non dava a loro più nessuna garanzia. Come politicamente non le dava a Bisanzio. L'esercito in Italia era guidato da Teodorico, e lo stesso re ostrogoto aveva fatto di tutto per allearsi con gli eserciti dei regni barbari. Spesso dimenticandosi che era un delegato bizantino.
Teodorico mandò un suo esercito a dar man forte a Mundo un capo predone che dai Balcani seguitava a scendere con i suoi uomini a fare razzie a Bisanzio; il generale di Teodorico mise in fuga l'esercito bizantino che si era deciso ad attaccare il predone. Allo steso modo Teodorico si comportò quando una flotta di Anastasio volle attaccare le coste pugliesi e calabre; Teodorico schierò una sua flotta per contrastarla e metterla in fuga. Un delegato bizantino che si comportava così, con questa arrogante autonomia, e perfino con delle ostilità doveva eccome preoccupare Bisanzio!
La tesi che l'accordo (l'editto dell'espulsione degli ariani) sia stato fatto in complicità tra la chiesa Romana e Giustino viene abbastanza accreditata quando si legge dagli storici la cronaca dell'arrivo dell'ambasciata inviata da Teodorico a Bisanzio.
Papa Giovanni, all'arrivo a Costantinopoli, l'imperatore Giustino con una processione lunga 12 chilometri fuori dalle mura della città lo attese e lo ricevette in grande sfarzosa pompa. Spese quasi 300.000 solidi in elargizioni alla popolazione e per organizzare feste in suo onore, attirandosi la popolarità dei cittadini, dell'aristocrazia, del clero; tutti osannanti.
Il Papa illustrò, non sappiamo se con solerzia o con fastidio, la richiesta ambasciatoria che faceva TEODORICO; che era quella di riaccogliere nell'ambito della chiesa gli ariani che ne erano stati espulsi. Ma GIUSTINO (a parlare è sempre e comunque GIUSTINIANO ) confermò la propria intransigenza nei confronti dell'arianesimo. Alla fine gli ambasciatori lasciarono Costantinopoli senza aver cambiato proprio nulla dell'editto imperiale che quindi rimaneva in vigore in tutto l' impero. Teodorico al ritorno, avvenuto nei primi mesi del prossimo anno, infuriato se la prese con papa Giovanni; lo scaraventò in prigione. L'età, gli strapazzi del viaggio, più la galera gli furono fatali, il 18 maggio il papa moriva.
La tensione religiosa da questo momento si fa ancora più acuta. TEODORICO si scatena; ma non andrà molto lontano, come vedremo.
ANNO 524
TEODORICO - VERSO LA ROVINA
L'EDITTO ANTIARIANO DI GIUSTINO
I FRANCHI - COSA SI FA PER IL POTERE!
PERSIA - L'ELIMINAZIONE DEL "COMUNISTA"
Vecchio e malato (ha 70 anni) Teodorico è diventato diffidente con tutti i suoi collaboratori, sta attraversando un periodo di decadenza senile che lo porta a prendere decisioni tipiche di colui che ha l'impressione di essere esautorato o di essere oggetto di atti persecutori.
Ma ne aveva le ragioni, perché anche in occidente è piombato l'editto dello scorso anno di Giustino che mette al bando su tutto l' impero l'Arianesimo.
A Teodorico sembrò molto chiaro il provvedimento: prendeva di mira lui, i suoi ostrogoti, il suo governo. Cioè veniva messa in discussione tutta la sua politica religiosa in occidente. Che però come nella politica estera (i famosi matrimoni) era stata la sua sempre tollerante ma piuttosto ambigua.
Quantunque ariano aveva comunque accordato la sua protezione alla chiesa cattolica. Un atteggiamento questo -diranno i suoi denigratori- solo per conciliarsi le simpatie dei vescovi soprattutto nell'Italia settentrionale. Che a loro volta accettarono questa situazione, o perché temevano le conseguenze, o perchè attendevano con pazienza tempi migliori
E anche a Roma Teodorico più di tanto non s'ingerì nelle agitate elezioni dei pontefici; e quando lo fece, come nel 498, nella disputa fra Simmaco e Lorenzo, con una singolare risoluzione, diede ragioni ad entrambe le due fazioni, e i due furono eletti contemporaneamente. Non accontentando così nessuno, che ripresero a scannarsi l'un l'altro.
Di sinodi, concili, congressi religiosi ce ne furono a iosa, di dibattiti violenti pure, e lotte, sommosse e scontri tra le due fazioni non mancarono di insanguinare le vie e le piazze.
Ma Teodorico si destreggiava (e fu anche ammirato per questo), scantonava, consigliando solo di sistemare al meglio le dispute, e che era compito del clero porre fine ai contrasti religiosi, e non la "missione" di un soldato. Insomma sembrava dar prova di imparzialità e nello stesso tempo di fermezza. Di casi a favore dei cristiani se ne contano molti, a favore degli ebrei pure. Proprio quest'anno, a Verona, i cristiani incendiarono le sinagoghe degli ebrei; intervenne Teodorico ingiungendo ai cristiani di riedificarle a proprie spese.
Ma anche i danni inferti a un cattolico, un certo Aureliano, Teodorico intervenne per farlo rientrare in possesso quanto gli era stato sottratto. Nelle distruzioni fatte dai suoi soldati alle chiese, chiamò un vescovo a quantificare i danni e a rimborsarli.
Stabilì anche norme che le vertenze ecclesiastiche venissero riservate a giudici ecclesiastici.
Ma sulle tribù barbariche di frontiera e oltre queste, all'origine tutte ariane, seguitò ad esercitare una sorta di protettorato ariano. Che in alcuni casi fallì, nonostante i matrimoni, come nel caso dei Franchi convertiti al cristianesimo, o dei Borgundi. " Il suo obiettivo - scrive l'Anonimo- nel fare i più singolari matrimoni, era di estendere la sua sfera d'azione nelle popolazioni barbare anche con la religione, per vie indirette voleva ingraziarsi tutti i popoli". Poi, prima con i Franchi, e ora anche in quell'Italia che fino ad ora lui aveva usato una certa calcolata tolleranza di riguardo, non raccolse i frutti sperati.
Quando giunse il provvedimento di Giustino, si sentì profondamente ferito. Crollava tutta la sua opera. Ci vide un complotto, e chi anche se non palesemente l'appoggiava questo editto, lo considerò un traditore da mandare a morte. Una denuncia di Cipriano verso ALBINO incolpato di intrighi con Bisanzio, pur essendo un suo fidato collaboratore, Teodorico lo accusò di tradimento e lo fece giustiziare lasciando sconcertati un po' tutti, amici e nemici.
Che ci fosse un appoggio senatoriale e una macchinazione anche del Papa non è stato dimostrato, ma un altro patrizio SEVERINO BOEZIO, magister aofficiorum, sconvolto per la morte di Albino, si è permesso quest'anno di accusare Teodorico di assassinio con una dichiarazione quasi ostentata affermando pubblicamente "se Albino ha scritto a Costantinopoli lo ha fatto con il consenso mio e dell'intero Senato." (e se parlava così, vuol dire che si sentiva protetto - ma questa protezione poi venne a mancare)
Infatti questa audacia autoaccusatoria provoca Teodorico che fa mettere in carcere anche lui. Boezio nella sua prigionia scriverà una delle sue più belle opere (De consolatione) ma poi dopo uno sbrigativo processo viene condannato a morte in un modo perfino sadico.
Teodorico sta insomma perdendo le staffe e sta accelerando la dissoluzione del regno ostrogoto da lui fondato in Italia in un quarto di secolo.
In questa crisi cercò di trovare una via d'uscita, ma fallì anche in questo tentativo. Inviò a Costantinopoli (ne parleremo ancora il prossimo anno) una delegazione addirittura con a capo Papa Giovanni e cinque vescovi cristiani per evitare l'espulsione degli ariani alla corte di Ravenna; ma a Bisanzio era cambiata tutta la politica dei compromessi, Giustino (meglio dire Giustiniano) confermò la propria intransigenza nei confronti dell'arianesimo.
Il prossimo anno dopo il ritorno della fallimentare ambasciata Teodorico perse il controllo della situazione e di sé; preparò un editto in base al quale tutti i cristiani cattolici avrebbero dovuto essere cacciati dalle chiese il settimo giorno delle calende di settembre del 526.
Ma prima della pubblicazione dell'editto Teodorico moriva per un attacco di dissenteria.
A Costantinopoli ne furono felici. Se Giustiniano aveva già iniziato a dare una svolta alla politica imperiale, la morte di Teodorico accelerava il disfacimento di tutta la ultradecennale dominazione ostrogota, da molto tempo in Italia e a Costantinopoli tollerata, prima da Zenone poi da Anastasio.
Ma non fu semplice. L'eliminazione di un vassallo che aveva spadroneggiato, se contribuirono a sollecitare un intervento di Giustiniano in Italia, aprirono anche quel conflitto che andò poi a insanguinare l'Italia dal 536 al 553. Una caotica situazione che permise una nuova invasione di barbari, piuttosto consistente, e questa volta permanente: quella dei Longobardi.
I FRANCHI - COSA SI FA PER IL POTERE!
IN FRANCIA i quattro figli di Clodoveo, in una nuova campagna contro i Burgundi, in uno scontro rimane ucciso CLODIMIRO. Gli altri due CLOTARIO e CHILDEBERTO fanno uccidere i suoi figli la moglie e il loro seguito, evitando così la successione e si spartiscono il regno del fratello. Il regno di Orleans.
Dai generali romani hanno imparato anche questo! E non finisce qui!
L'ELIMINAZIONE DEL COMUNISTA MAZDAK
IN PERSIA, COSROE che è figlio di Re Kavadah, il sovrano che aveva preso come consigliere quel MAZDAK con dottrine comuniste che abbiamo già illustrato nel 497 (vedi), si stacca dal padre e dalla sua politica sociale. Appoggiato da tutta la borghesia terriera in fermento, che stava assistendo alla disgregazione del proprio potere oligarchico, organizza un confronto con i teologi persiani con questo rivoluzionario per capire e approfondire meglio le sue rivendicazioni.
Mazdak viene convocato a palazzo, ma prima ancora di essere ascoltato, viene subito proditoriamente ucciso. E contemporaneamente si scatena il massacro dei suoi seguaci intervenuti alla conferenza.
Si instaura una politica del terrore peggiore di prima, che riconduce nell'alveo di un'accettazione passiva delle nuove angherie. Erano state questi i motivi che avevano scatenato le ribellioni sociali di tanti poveri contadini sfruttati.
Perdenti e sfiduciati dopo aver perso il loro grande capo carismatico, quelli scampati al massacro debbono ritornare con la testa china a riprendere in silenzio i lavori sotto il potere feudale, pena la morte.
Un'idea comunista fallita nel sangue , ovviamente per aver predicato l'eguaglianza, l'equa distribuzione delle proprietà, la distribuzione delle terre incolte, migliori salari e meno sfruttamento.
Insomma un Marx in miniatura con un'ideologia molto simile.
Kavadah, quasi uscito esautorato da questa rivoluzione dello stato, governerà con moderazione nei confronti della borghesia fino al 531 (vedi), ma salito sul trono il figlio, Cosroe cambia radicalmente lo stato sasanide.
L'EDITTO ANTIARIANO DI GIUSTINO
I FRANCHI - COSA SI FA PER IL POTERE!
PERSIA - L'ELIMINAZIONE DEL "COMUNISTA"
Vecchio e malato (ha 70 anni) Teodorico è diventato diffidente con tutti i suoi collaboratori, sta attraversando un periodo di decadenza senile che lo porta a prendere decisioni tipiche di colui che ha l'impressione di essere esautorato o di essere oggetto di atti persecutori.
Ma ne aveva le ragioni, perché anche in occidente è piombato l'editto dello scorso anno di Giustino che mette al bando su tutto l' impero l'Arianesimo.
A Teodorico sembrò molto chiaro il provvedimento: prendeva di mira lui, i suoi ostrogoti, il suo governo. Cioè veniva messa in discussione tutta la sua politica religiosa in occidente. Che però come nella politica estera (i famosi matrimoni) era stata la sua sempre tollerante ma piuttosto ambigua.
Quantunque ariano aveva comunque accordato la sua protezione alla chiesa cattolica. Un atteggiamento questo -diranno i suoi denigratori- solo per conciliarsi le simpatie dei vescovi soprattutto nell'Italia settentrionale. Che a loro volta accettarono questa situazione, o perché temevano le conseguenze, o perchè attendevano con pazienza tempi migliori
E anche a Roma Teodorico più di tanto non s'ingerì nelle agitate elezioni dei pontefici; e quando lo fece, come nel 498, nella disputa fra Simmaco e Lorenzo, con una singolare risoluzione, diede ragioni ad entrambe le due fazioni, e i due furono eletti contemporaneamente. Non accontentando così nessuno, che ripresero a scannarsi l'un l'altro.
Di sinodi, concili, congressi religiosi ce ne furono a iosa, di dibattiti violenti pure, e lotte, sommosse e scontri tra le due fazioni non mancarono di insanguinare le vie e le piazze.
Ma Teodorico si destreggiava (e fu anche ammirato per questo), scantonava, consigliando solo di sistemare al meglio le dispute, e che era compito del clero porre fine ai contrasti religiosi, e non la "missione" di un soldato. Insomma sembrava dar prova di imparzialità e nello stesso tempo di fermezza. Di casi a favore dei cristiani se ne contano molti, a favore degli ebrei pure. Proprio quest'anno, a Verona, i cristiani incendiarono le sinagoghe degli ebrei; intervenne Teodorico ingiungendo ai cristiani di riedificarle a proprie spese.
Ma anche i danni inferti a un cattolico, un certo Aureliano, Teodorico intervenne per farlo rientrare in possesso quanto gli era stato sottratto. Nelle distruzioni fatte dai suoi soldati alle chiese, chiamò un vescovo a quantificare i danni e a rimborsarli.
Stabilì anche norme che le vertenze ecclesiastiche venissero riservate a giudici ecclesiastici.
Ma sulle tribù barbariche di frontiera e oltre queste, all'origine tutte ariane, seguitò ad esercitare una sorta di protettorato ariano. Che in alcuni casi fallì, nonostante i matrimoni, come nel caso dei Franchi convertiti al cristianesimo, o dei Borgundi. " Il suo obiettivo - scrive l'Anonimo- nel fare i più singolari matrimoni, era di estendere la sua sfera d'azione nelle popolazioni barbare anche con la religione, per vie indirette voleva ingraziarsi tutti i popoli". Poi, prima con i Franchi, e ora anche in quell'Italia che fino ad ora lui aveva usato una certa calcolata tolleranza di riguardo, non raccolse i frutti sperati.
Quando giunse il provvedimento di Giustino, si sentì profondamente ferito. Crollava tutta la sua opera. Ci vide un complotto, e chi anche se non palesemente l'appoggiava questo editto, lo considerò un traditore da mandare a morte. Una denuncia di Cipriano verso ALBINO incolpato di intrighi con Bisanzio, pur essendo un suo fidato collaboratore, Teodorico lo accusò di tradimento e lo fece giustiziare lasciando sconcertati un po' tutti, amici e nemici.
Che ci fosse un appoggio senatoriale e una macchinazione anche del Papa non è stato dimostrato, ma un altro patrizio SEVERINO BOEZIO, magister aofficiorum, sconvolto per la morte di Albino, si è permesso quest'anno di accusare Teodorico di assassinio con una dichiarazione quasi ostentata affermando pubblicamente "se Albino ha scritto a Costantinopoli lo ha fatto con il consenso mio e dell'intero Senato." (e se parlava così, vuol dire che si sentiva protetto - ma questa protezione poi venne a mancare)
Infatti questa audacia autoaccusatoria provoca Teodorico che fa mettere in carcere anche lui. Boezio nella sua prigionia scriverà una delle sue più belle opere (De consolatione) ma poi dopo uno sbrigativo processo viene condannato a morte in un modo perfino sadico.
Teodorico sta insomma perdendo le staffe e sta accelerando la dissoluzione del regno ostrogoto da lui fondato in Italia in un quarto di secolo.
In questa crisi cercò di trovare una via d'uscita, ma fallì anche in questo tentativo. Inviò a Costantinopoli (ne parleremo ancora il prossimo anno) una delegazione addirittura con a capo Papa Giovanni e cinque vescovi cristiani per evitare l'espulsione degli ariani alla corte di Ravenna; ma a Bisanzio era cambiata tutta la politica dei compromessi, Giustino (meglio dire Giustiniano) confermò la propria intransigenza nei confronti dell'arianesimo.
Il prossimo anno dopo il ritorno della fallimentare ambasciata Teodorico perse il controllo della situazione e di sé; preparò un editto in base al quale tutti i cristiani cattolici avrebbero dovuto essere cacciati dalle chiese il settimo giorno delle calende di settembre del 526.
Ma prima della pubblicazione dell'editto Teodorico moriva per un attacco di dissenteria.
A Costantinopoli ne furono felici. Se Giustiniano aveva già iniziato a dare una svolta alla politica imperiale, la morte di Teodorico accelerava il disfacimento di tutta la ultradecennale dominazione ostrogota, da molto tempo in Italia e a Costantinopoli tollerata, prima da Zenone poi da Anastasio.
Ma non fu semplice. L'eliminazione di un vassallo che aveva spadroneggiato, se contribuirono a sollecitare un intervento di Giustiniano in Italia, aprirono anche quel conflitto che andò poi a insanguinare l'Italia dal 536 al 553. Una caotica situazione che permise una nuova invasione di barbari, piuttosto consistente, e questa volta permanente: quella dei Longobardi.
I FRANCHI - COSA SI FA PER IL POTERE!
IN FRANCIA i quattro figli di Clodoveo, in una nuova campagna contro i Burgundi, in uno scontro rimane ucciso CLODIMIRO. Gli altri due CLOTARIO e CHILDEBERTO fanno uccidere i suoi figli la moglie e il loro seguito, evitando così la successione e si spartiscono il regno del fratello. Il regno di Orleans.
Dai generali romani hanno imparato anche questo! E non finisce qui!
L'ELIMINAZIONE DEL COMUNISTA MAZDAK
IN PERSIA, COSROE che è figlio di Re Kavadah, il sovrano che aveva preso come consigliere quel MAZDAK con dottrine comuniste che abbiamo già illustrato nel 497 (vedi), si stacca dal padre e dalla sua politica sociale. Appoggiato da tutta la borghesia terriera in fermento, che stava assistendo alla disgregazione del proprio potere oligarchico, organizza un confronto con i teologi persiani con questo rivoluzionario per capire e approfondire meglio le sue rivendicazioni.
Mazdak viene convocato a palazzo, ma prima ancora di essere ascoltato, viene subito proditoriamente ucciso. E contemporaneamente si scatena il massacro dei suoi seguaci intervenuti alla conferenza.
Si instaura una politica del terrore peggiore di prima, che riconduce nell'alveo di un'accettazione passiva delle nuove angherie. Erano state questi i motivi che avevano scatenato le ribellioni sociali di tanti poveri contadini sfruttati.
Perdenti e sfiduciati dopo aver perso il loro grande capo carismatico, quelli scampati al massacro debbono ritornare con la testa china a riprendere in silenzio i lavori sotto il potere feudale, pena la morte.
Un'idea comunista fallita nel sangue , ovviamente per aver predicato l'eguaglianza, l'equa distribuzione delle proprietà, la distribuzione delle terre incolte, migliori salari e meno sfruttamento.
Insomma un Marx in miniatura con un'ideologia molto simile.
Kavadah, quasi uscito esautorato da questa rivoluzione dello stato, governerà con moderazione nei confronti della borghesia fino al 531 (vedi), ma salito sul trono il figlio, Cosroe cambia radicalmente lo stato sasanide.
ANNO 523
I FIGLI DI CLODOVEO
ALTRO ASSALTO ALLA BORGUNDIA
Nonostante i matrimoni, nonostante le buone intenzioni, la conversione, e l'accettazione di una protezione dei Franchi, il giovane re dei Borgundi, Sigismondo, piuttosto ribelle a tutte queste imposizioni, che significa la perdita di una autonomia nel proprio regno, provoca intenzioni guerresche ai quattro fratelli Franchi, che anche se stanno architettando fra di loro di farsi fuori l'un l'altro per allargare il loro frammento di regno ereditato dal padre Clodoveo, questa volta si uniscono per sottomettere definitivamente la Borgundia. Che però sono deboli come re, ma come soldati sono una forza considerevole capace di respingere anche i Franchi.
Con varie campagne, i quattro fratelli, tentano più volte l'assalto, fin quando nel corso di uno dei tanti scontri, sconfiggono uno dei reparti guidati dal re borgundo, e catturano proprio Sigismondo. Nella fuga si era rifugiato in uno di quei monasteri che Clodoveo al concilio di Orleans aveva creato come "luogo sacri" inviolabili, quindi stabilito il diritto di dare asilo politico ai perseguitati di ogni genere.
I figli non rispettano questo diritto, irrompono nel monastero, catturano Sigismondo, e gli immergono la testa in una fontana, il tempo necessario per farlo affogare.
Ma nonostante la cattura e la morte di Sigismondo, i Franchi non hanno ancora vinto i Borgundi. A riprendere in mano l'esercito è il fratello GONDEMARO, che oltre che succedergli sul trono, con una offensiva riesce nuovamente a respingere i franchi. Dopo questa guiderà poi egregiamente i suoi uomini per altri dieci anni, e sempre a spese dei Franchi
Come vedremo nei prossimi anni, questa alleanza dei quattro fratelli franchi durerà molto poco; forse lo scopo della cooperazione militare era quello di allargare prima il regno, per poi assassinarsi a vicenda per impossessarsene.
Se in occidente la situazione è ancora quella dove spadroneggiano regni barbari vassalli più o meno di Teodorico, lo stesso Teodorico come vassallo bizantino spadroneggia in Italia. Ma a Costantinopoli ragioni politiche e religiose sotto la regia di Giustiniano (anche se gli editti sono di Giustino) stanno concorrendo a sollecitare un intervento imperiale non più disposto a tollerare in Italia nè l'ostrogoto, nè la sua politica religiosa ariana.
Esce l'editto di Giustino che mette al bando l'arianesimo in tutto l'impero.
(ne parliamo il prossimo anno)
ALTRO ASSALTO ALLA BORGUNDIA
Nonostante i matrimoni, nonostante le buone intenzioni, la conversione, e l'accettazione di una protezione dei Franchi, il giovane re dei Borgundi, Sigismondo, piuttosto ribelle a tutte queste imposizioni, che significa la perdita di una autonomia nel proprio regno, provoca intenzioni guerresche ai quattro fratelli Franchi, che anche se stanno architettando fra di loro di farsi fuori l'un l'altro per allargare il loro frammento di regno ereditato dal padre Clodoveo, questa volta si uniscono per sottomettere definitivamente la Borgundia. Che però sono deboli come re, ma come soldati sono una forza considerevole capace di respingere anche i Franchi.
Con varie campagne, i quattro fratelli, tentano più volte l'assalto, fin quando nel corso di uno dei tanti scontri, sconfiggono uno dei reparti guidati dal re borgundo, e catturano proprio Sigismondo. Nella fuga si era rifugiato in uno di quei monasteri che Clodoveo al concilio di Orleans aveva creato come "luogo sacri" inviolabili, quindi stabilito il diritto di dare asilo politico ai perseguitati di ogni genere.
I figli non rispettano questo diritto, irrompono nel monastero, catturano Sigismondo, e gli immergono la testa in una fontana, il tempo necessario per farlo affogare.
Ma nonostante la cattura e la morte di Sigismondo, i Franchi non hanno ancora vinto i Borgundi. A riprendere in mano l'esercito è il fratello GONDEMARO, che oltre che succedergli sul trono, con una offensiva riesce nuovamente a respingere i franchi. Dopo questa guiderà poi egregiamente i suoi uomini per altri dieci anni, e sempre a spese dei Franchi
Come vedremo nei prossimi anni, questa alleanza dei quattro fratelli franchi durerà molto poco; forse lo scopo della cooperazione militare era quello di allargare prima il regno, per poi assassinarsi a vicenda per impossessarsene.
Se in occidente la situazione è ancora quella dove spadroneggiano regni barbari vassalli più o meno di Teodorico, lo stesso Teodorico come vassallo bizantino spadroneggia in Italia. Ma a Costantinopoli ragioni politiche e religiose sotto la regia di Giustiniano (anche se gli editti sono di Giustino) stanno concorrendo a sollecitare un intervento imperiale non più disposto a tollerare in Italia nè l'ostrogoto, nè la sua politica religiosa ariana.
Esce l'editto di Giustino che mette al bando l'arianesimo in tutto l'impero.
(ne parliamo il prossimo anno)
ANNO 522
IN AFRICA MUORE TRASAMONDO RE DEI VANDALI
Sale sul trono dei Vandali che fu di Genserico, ILDERICO, un sovrano vandalo anomalo, con una formazione culturale tutta bizantina e non barbara. Fin da giovinetto, come era in uso allora, per far rispettare gli accordi tra Bizanzio e i Vandali, il bambino fu preso in ostaggio dai bizantini. Come era accaduto a Teodorico, quasi recluso alla corte di Costantinopoli, qui aveva studiato, qui ricevette la sua formazione culturale,
TRASAMONDO suo padre era salito sul trono nel 484, dopo la morte del figlio di Genserico, cioè Unerico, che si era rivelato appena salito sul trono prima un insofferente, poi nei successivi sei anni, fin quando visse, un accanito persecutore dei cattolici.
Trasamondo succedendogli non aveva proseguito questa suicdia politica, ma non è che aveva cambiato le idee nei confronti della religione cattolica. Non la perseguitava ma sempre insofferente ne era, abbastanza per andare d'accordo con la politica di Teodorico in Italia.
Nel giro di alleanze che Teodorico aveva impostato fra i barbari, al re vandalo Trasamondo per farselo alleato aveva dato in sposa la sorella. Quando nel 500, gli mandò in Africa AMALAFRIDA lo fece in gran pompa magna mettendo in mare una intera flotta. La fece scortare da 1000 notabili Goti, gli diede 5000 schiavi abili alle armi in dote, e in aggiunta gli diede quella Sicilia che aveva riscattato dopo aver sconfitto in Italia Odoacre.
Teodorico dandogli la sorella credeva di cementare quella costruzione che gli stava tanto a cuore: la unificazione dei barbari sotto un'unica bandiera. Dal Reno all'Africa, dalla Senna al Danubio.
Accarezzava il sogno di una grande coalizione con tutti i dinasti germanici di fede ariana, per fare un un grande impero occidentale di barbari. Con dentro Visigoti spagnoli, Vandali africani, Franchi, Germanici, Turingi, Eruli e Ostrogoti.
L' estensione di questo grande territorio che sognava, era notevole, comprendeva quasi tutta l'Europa, ad esclusione solo di Bisanzio.
Da quel matrimonio combinato, fra Vandali e Ostrogoti, era nato subito dopo Ilderico. Ma appena grandicello, come abbiamo accennato già sopra, come garanzie a certi patti, al piccolo fu riservato un soggiorno-ostaggio a Costantinopoli.
Anche se quasi recluso, studiando a corte, il ragazzo cresciuto in questo ambiente, ebbe modo di approfondire non solo la politica, le buone maniere, le istituzioni bizantine, ma anche i rapporti religiosi che da tempo dividevano i due mondi.
Cosicchè salito al trono, pur sostenendo la diffusione dell'arianesimo nell'ambito del regno vandalico, evitò di norma il ricorso a metodi violenti
Purtroppo pur con questa inclinazione alla moderatezza, pur dotato di fascino e garbo nei rapporti con i suoi ex educatori, che gli avevano insegnato l'assennatezza e il pregio di una vasta cultura, la sua nomina coincise con la salita al trono -anche se non ancora formalmente avvenuta- di Giustiniano, che inizia fin dalle prime battute a migliorare la posizione -oltre quella politica- dell'episcopato ortodosso, non solo sul suo territorio, ma anche in Africa, creando non pochi problemi al re vandalo.
Sale sul trono dei Vandali che fu di Genserico, ILDERICO, un sovrano vandalo anomalo, con una formazione culturale tutta bizantina e non barbara. Fin da giovinetto, come era in uso allora, per far rispettare gli accordi tra Bizanzio e i Vandali, il bambino fu preso in ostaggio dai bizantini. Come era accaduto a Teodorico, quasi recluso alla corte di Costantinopoli, qui aveva studiato, qui ricevette la sua formazione culturale,
TRASAMONDO suo padre era salito sul trono nel 484, dopo la morte del figlio di Genserico, cioè Unerico, che si era rivelato appena salito sul trono prima un insofferente, poi nei successivi sei anni, fin quando visse, un accanito persecutore dei cattolici.
Trasamondo succedendogli non aveva proseguito questa suicdia politica, ma non è che aveva cambiato le idee nei confronti della religione cattolica. Non la perseguitava ma sempre insofferente ne era, abbastanza per andare d'accordo con la politica di Teodorico in Italia.
Nel giro di alleanze che Teodorico aveva impostato fra i barbari, al re vandalo Trasamondo per farselo alleato aveva dato in sposa la sorella. Quando nel 500, gli mandò in Africa AMALAFRIDA lo fece in gran pompa magna mettendo in mare una intera flotta. La fece scortare da 1000 notabili Goti, gli diede 5000 schiavi abili alle armi in dote, e in aggiunta gli diede quella Sicilia che aveva riscattato dopo aver sconfitto in Italia Odoacre.
Teodorico dandogli la sorella credeva di cementare quella costruzione che gli stava tanto a cuore: la unificazione dei barbari sotto un'unica bandiera. Dal Reno all'Africa, dalla Senna al Danubio.
Accarezzava il sogno di una grande coalizione con tutti i dinasti germanici di fede ariana, per fare un un grande impero occidentale di barbari. Con dentro Visigoti spagnoli, Vandali africani, Franchi, Germanici, Turingi, Eruli e Ostrogoti.
L' estensione di questo grande territorio che sognava, era notevole, comprendeva quasi tutta l'Europa, ad esclusione solo di Bisanzio.
Da quel matrimonio combinato, fra Vandali e Ostrogoti, era nato subito dopo Ilderico. Ma appena grandicello, come abbiamo accennato già sopra, come garanzie a certi patti, al piccolo fu riservato un soggiorno-ostaggio a Costantinopoli.
Anche se quasi recluso, studiando a corte, il ragazzo cresciuto in questo ambiente, ebbe modo di approfondire non solo la politica, le buone maniere, le istituzioni bizantine, ma anche i rapporti religiosi che da tempo dividevano i due mondi.
Cosicchè salito al trono, pur sostenendo la diffusione dell'arianesimo nell'ambito del regno vandalico, evitò di norma il ricorso a metodi violenti
Purtroppo pur con questa inclinazione alla moderatezza, pur dotato di fascino e garbo nei rapporti con i suoi ex educatori, che gli avevano insegnato l'assennatezza e il pregio di una vasta cultura, la sua nomina coincise con la salita al trono -anche se non ancora formalmente avvenuta- di Giustiniano, che inizia fin dalle prime battute a migliorare la posizione -oltre quella politica- dell'episcopato ortodosso, non solo sul suo territorio, ma anche in Africa, creando non pochi problemi al re vandalo.
ANNO 521
GIUSTINIANO PATRICIUS
In questa data GIUSTINO conferisce a suo nipote il titolo di patricius e il titolo di console.
Anche se sono dello zio queste volontà formali, queste disposizioni che sembrano già una indicazione per la sua successione al nipote, l'autore del documento è lo stesso Giustiniano.
Al confusionario Giustino, inesperto in tutto ( a parte l'arte del soldato) che sapeva appena leggere, ma non scrivere, non parve vero di avere un nipote che era sceso nella capitale e gli si era presentato con un'intelligenza così matura.
A Giustino per firmare i documenti - raccontano gli storici- gli venne fabbricata un'asticella scanalata all'interno che lui con la penna percorreva (una specie di normografo).
Giustiniano non ha perso tempo dentro i suoi numerosi uffici del Palazzo, dove si aggira notte e giorno, rivolgendo attenzione a ogni cosa, anche nei dettagli. Dai funzionari lui vuole sapere tutto, conoscere ogni cosa, discutere di ogni argomento, esaminare le carte di ogni affare, così quelle diplomatiche, militari, amministrative. Ed essendo un grosso problema quello religioso, convoca a palazzo teologi delle due fazioni in lotta da anni; vuole capire.
Prende in mano subito lui l'intera amministrazione dello Stato. E' lui nell'ombra che sta già delineando il futuro del nuovo impero bizantino. Era ansioso di esercitare il potere imperiale -anche se di fatto lo esercita- e dovette anche soffrire, lui che sentiva il bisogno di far sapere a tutto il mondo, con quanto zelo si stava applicando per riportare l'impero all'antica dignità imperiale romana. Perché a questa guardava; la restaurazione del grande "Impero Romano". Il suo compito era quello di far ritornare l'impero alle antiche tradizioni dei Cesari.
Già si sentiva il successore e l'erede vivente di quegli uomini che avevano contribuito ad estendere la loro sovranità fino ai confini dei due oceani. E soffriva nel prendere coscienza che buona parte dei territori, erano caduti in mano a dei barbari ignoranti ed arroganti.
Proprio per questo suo impegno - poichè poi riuscì a ricoprire degnamente questo ruolo di restauratore- Giustiniano fu poi definito il meno bizantino dell'ultimo degli imperatori di Roma.
Insomma l'ex contadino di Skoplje (che a quanto pare sapeva già tutto della storia romana) si sta preparando come in una missione affidatagli da Dio, a riconquistare l'infallibilità attribuita alla funzione imperiale; vuole essere lui il riformatore, il legislatore; e come gli antichi Cesari vuole ritornare alla grandezza imperiale con l'uso delle leggi e il prestigio degli eserciti.
A Giustino non parve vero, il nipote ci sapeva fare. Da questo momento è lui ad essere il subordinato. E con l'assicella di legno firma, firma tutto.
In questa data GIUSTINO conferisce a suo nipote il titolo di patricius e il titolo di console.
Anche se sono dello zio queste volontà formali, queste disposizioni che sembrano già una indicazione per la sua successione al nipote, l'autore del documento è lo stesso Giustiniano.
Al confusionario Giustino, inesperto in tutto ( a parte l'arte del soldato) che sapeva appena leggere, ma non scrivere, non parve vero di avere un nipote che era sceso nella capitale e gli si era presentato con un'intelligenza così matura.
A Giustino per firmare i documenti - raccontano gli storici- gli venne fabbricata un'asticella scanalata all'interno che lui con la penna percorreva (una specie di normografo).
Giustiniano non ha perso tempo dentro i suoi numerosi uffici del Palazzo, dove si aggira notte e giorno, rivolgendo attenzione a ogni cosa, anche nei dettagli. Dai funzionari lui vuole sapere tutto, conoscere ogni cosa, discutere di ogni argomento, esaminare le carte di ogni affare, così quelle diplomatiche, militari, amministrative. Ed essendo un grosso problema quello religioso, convoca a palazzo teologi delle due fazioni in lotta da anni; vuole capire.
Prende in mano subito lui l'intera amministrazione dello Stato. E' lui nell'ombra che sta già delineando il futuro del nuovo impero bizantino. Era ansioso di esercitare il potere imperiale -anche se di fatto lo esercita- e dovette anche soffrire, lui che sentiva il bisogno di far sapere a tutto il mondo, con quanto zelo si stava applicando per riportare l'impero all'antica dignità imperiale romana. Perché a questa guardava; la restaurazione del grande "Impero Romano". Il suo compito era quello di far ritornare l'impero alle antiche tradizioni dei Cesari.
Già si sentiva il successore e l'erede vivente di quegli uomini che avevano contribuito ad estendere la loro sovranità fino ai confini dei due oceani. E soffriva nel prendere coscienza che buona parte dei territori, erano caduti in mano a dei barbari ignoranti ed arroganti.
Proprio per questo suo impegno - poichè poi riuscì a ricoprire degnamente questo ruolo di restauratore- Giustiniano fu poi definito il meno bizantino dell'ultimo degli imperatori di Roma.
Insomma l'ex contadino di Skoplje (che a quanto pare sapeva già tutto della storia romana) si sta preparando come in una missione affidatagli da Dio, a riconquistare l'infallibilità attribuita alla funzione imperiale; vuole essere lui il riformatore, il legislatore; e come gli antichi Cesari vuole ritornare alla grandezza imperiale con l'uso delle leggi e il prestigio degli eserciti.
A Giustino non parve vero, il nipote ci sapeva fare. Da questo momento è lui ad essere il subordinato. E con l'assicella di legno firma, firma tutto.
martedì 5 agosto 2014
Dies irae
Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.
Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.
Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit:
nil inultum remanebit.
Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?
Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.
Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.
Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
Judicandus homo reus.
huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.
Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.
Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit:
nil inultum remanebit.
Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?
Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.
Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.
Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
Judicandus homo reus.
huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.
Traduzione:
Il giorno dell'ira, quel giorno che
dissolverà il mondo terreno in cenere
come annunciato da Davide e dalla Sibilla.
Quanto terrore verrà
quando il giudice giungerà
a giudicare severamente ogni cosa.
La tromba diffondendo un suono mirabile
tra i sepolcri del mondo
spingerà tutti davanti al trono.
La Morte e la Natura si stupiranno
quando risorgerà ogni creatura
per rispondere al giudice.
Sarà presentato il libro scritto
nel quale è contenuto tutto,
dal quale si giudicherà il mondo.
E dunque quando il giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà svelata,
niente rimarrà invendicato.
In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?
Re di tremendo potere,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.
Ricorda, o pio Gesù,
che io sono la causa del tuo viaggio;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.
Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento con il supplizio della Croce:
che tanto sforzo non sia vano!
Giusto giudice di retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.
Comincio a gemere come un colpevole,
per la colpa è rosso il mio volto;
risparmia chi ti supplica, o Dio.
Tu che perdonasti Maria di Magdala,
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.
Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa'
che io non sia arso dal fuoco eterno.
Assicurami un posto fra le pecorelle,
e tienimi lontano dai caproni,
ponendomi alla tua destra.
Una volta smascherati i malvagi,
condannati alle fiamme feroci,
chiamami tra i benedetti.
Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto a cenere,
prenditi cura del mio destino.
Giorno di lacrime, quello,
quando risorgerà dalla cenere
Il peccatore per essere giudicato.
perdonalo, o Dio:
Pio Signore Gesù,
dona a loro la pace. Amen.
Iscriviti a:
Post (Atom)