mercoledì 25 giugno 2014
TEODORICO
Il regno di Teodorico durò dal 494 al 526 e fu caratterizzato dal tentativo di creare una collaborazione tra goti e romani: i primi formavano l'esercito, i secondi si occupavano dell'amministrazione civile.
Nel 488 Teodorico, re ostrogoto, entrò in Italia, sconfisse Odoacre in varie battaglie e lo obbligò a rifugiarsi a Ravenna, dopo la resa Odoacre venne ucciso a tradimento e Teodorico assunse il pieno potere in Italia.
L'esercito tuttavia resta esclusivo privilegio dei Goti; solo per eccezione vi sono immessi ufficiali romani e bizantini. Come in tutte le monarchie stabilite su territorio romano, anche in questa il re si studia di estendere sul suo popolo le prerogative e i diritti di successione, e ciò allo scopo di ingabbiare l'indomita tendenza centrifuga, propria all'individualismo germanico. L'assemblea popolare infatti, organo principale dell'antica costituzione, a poco a poco viene sostituita dal sistema burocratico romano, il cui centro è il palatium o corte del re. In un primo momento, sembrò che questo schema funzionasse, tanto che tra i più fidati collaboratori del re si contano alcune delle più eminenti e colte personalità dell'aristocrazia latina, quali Cassiodoro, che divenne segretario di Teodorico, e i senatori Boezio e Simmaco. In realtà goti e romani coesistevano come due comunità separate: ciascuno conserva infatti il duo diritto, la sua lingua e le sue tradizioni. Eventuali controversie tra le due popolazioni erano regolate da tribunali misti e inoltre i goti erano ariani e i romani cattolici.
In politica estera, Teodorico mirò ad elevare la monarchia ostrogota sovra le altre; all'uopo gli giovarono i legami di parentela stretti col re dei Franchi, dei Visigoti, dei Vandali, dei Turingi, onde, a un certo momento, la sua parve la monarchia egemonica per eccellenza dell'orbe barbaro occidentale. Al popolo assegnò il terzo delle terre, ma in modo da non turbare la piccola proprietà, nè disperdere troppo le sue forze militari.
Sognando la fusione delle due stirpi, delimitò la barbarie dei suoi con un editto, Edictum Theodorici, in cui i costumi nazionali sono corretti dal giure romano; nei processi misti al conte goto associò un giudice romano; e, quantunque ariano, tollerò benevolmente la chiesa e la religione cattolica ; innalzò edifici pubblici in Roma e altrove; fece dissodare e bonificare terre deserte o malariche. Ma il conflitto tra Goti e Romani, nonostante tante provvidenze, doveva nascere proprio dal contrasto delle due religioni. Quando infatti Giustiniano, ligio alla Chiesa romana, ebbe dichiarato guerra all'Arianesimo, gli Italiani volsero le loro speranze di liberazione all'Oriente; e il Senato e i maggiorenti di Roma ripresero segrete ed intime corrispondenze con Bisanzio.
Invano Teodorico mandò papa Giovanni a far fede della sua tolleranza verso i Cattolici; la missione ebbe esito negativo. Il Papa fu gettato in carcere, i principali membri dell'aristocrazia senatoria, sospettati di dare vita a congiure a favore dei bizantini, furono perseguitati: tra le vittime di Teodorico vi furono i suoi antichi collaboratori Simmaco e Boezio, che nel 525 vennero giustiziati.
Poco dopo Teodorico morì, avendo sostanzialmente visto fallire il suo progetto. Gli succedette il nipote Atalarico, un bambino posto sotto la tutela di sua madre Amalasunta, figlia di Teodorico, nel 534, dopo la morte di Atalarico, Amalasunta sposò il cugino Teodato, così i goti si trovarono in una situazione difficile.
martedì 24 giugno 2014
ANNO 500
L' ITALIA VERSO UNA CIVILTA' CONTADINA
Teodorico per la prima volta scende a Roma, accolto dalla popolazione con grande tripudio.
Sensibile alle richieste dei romani che temono scorrerie di altri barbari, Teodorico fa ripristinare le mura della città, ristrutturare alcuni palazzi dei Cesari che stavano andando in rovina, e promuove altri importanti lavori urbanistici.
E' però costretto anche ad intervenire sulla questione dell'elezione del papa. La disputa che stava provocando da tempo dei disordini era appunto quella dell'elezione di papa Simmaco contrapposta a quella di papa Lorenzo (antipapa). Il primo viene accusato da una fazione di alcuni delitti, che hanno già impegnato alcuni vescovi in un concilio nel 499. (e vi saranno nuovamente impegnati in altre tre convocazioni nel 501, 502, 504 per mettere fine ai contrasti).
Teodorico aveva confermato con la sua autorità Simmaco, ma finita la visita, appena uscito dalla città i disordini erano subito ricominciati tra le due fazioni.
Ma a parte queste dispute che sono essenzialmente condotte da patrizi interessati alle prebende e ai tanti benefici che dall'elezione del loro beniamino ricevono, la questione interessava relativamente la popolazione, che si sta avviando verso un degrado totale. Molte attività sono cessate, i commerci quasi inesistenti, la città patisce di queste carenze economiche e produttive, con la conseguenza di far emigrare ricchi e poveri all'interno, verso le campagne, dove oltre a essere meno esposti ai saccheggi, quel poco che dava la terra era sufficiente almeno per campare.
Infatti con la temporanea assenza di una autorità statale centrale e di un traffico commerciale ormai quasi scomparso, si accresce la tendenza all'indipendenza economica delle grandi proprietà fondiarie e si allarga sempre di più una economia autarchica di carattere sempre più agrario localizzato in centri piccolissimi che non hanno nessun rapporto non solo con la grande città ma anche con altri centri molto vicini.
Per queste ragioni la moneta circolante diventa sempre più rara, sostituita da una economia del baratto.
Come si è detto con la fine della societa' romana e la sovrapposizione a questa delle strutture giuridico-sociali della società dei barbari, soprattutto quella germanica, inizia un periodo che porterà presto a una disgregazione sociale completa, anche perchè è incapace a reagire e di compattarsi.
Passeranno pochi decenni, poi con le grandi invasioni persino la moneta scomparirà dalla circolazione per oltre trecento anni.
Non ci sono più centri con grandi nuclei di popolazione, perchè ormai da anni molte strutture e infrastrutture comprese quelle stradali hanno subito erosioni, i fiumi da anni non sono piu' vigilati nè si sono fatte opere di manutenzione; cosicchè i corsi d'acqua invadono terreni urbani rompendo ponti e precari argini; altrettanto gli acquedotti, che da tempo non più riparati cessano l'erogazione di acqua potabile in interi quartieri.
Gli insediamenti si spostano ora nelle colline, nelle valli, sui crinali; la pianura è diventata pericolosa sia per le piene dei torrenti che per le apocalittiche alluvioni dei grandi fiumi, che distruggono raccolti e armenti, ma soprattutto per gli attacchi di plebaglia randagia, di banditi, ma anche di signorotti che vorrebbero con colpi di mano impadronirsi di alcuni territori confinanti abbandonati o lasciati allo sfascio da altrettanti signorotti o nobili decaduti.
Ci si organizza in un modo completamente diverso nelle difese, si fanno centinaia di castelli (col sistema dei castri bellici romani) con mura perimetrali dove i coloni, dopo i lavori dei campi, all'interno dormono e si riparano dalle scorrerie di bande affamate, che sono peggiori dei barbari.
Le poche attività che si svolgono non danno piu' a nessuno la possibilità di emergere, si nasce coloni e se si fanno figli non hanno altra scelta che fare i coloni: per diritto del proprietario terriero, del militare padrone che ha ricevuto un appezzamento per i suoi servigi resi, o di un prelato cui è stato affidato il territorio. Leggi di comodo comminano la confisca dei beni a qualche ribelle, o per aver fatto qualche congiura, qualche imprudenza, o dimostrato insofferenza ad adattarsi a queste nuove regole delle nuove pagus, che non sono nè fattorie nè tanto meno sono villaggi.
INSOMMA NON VI E' PIU' UNA VIA D' USCITA
Sparisce anche ogni tipo di insegnamento; per questo c'è ora solo la famiglia. A parte la plebe, anche dentro la popolazione artigiana e dei commerci, che si era sempre evoluta con i rudimenti delle lettere e dei numeri, dopo una sola generazione -non esercitandosi ne usando queste doti- gia' vediamo l'analfabetismo salire a vette altissime. Nemmeno parlarne fra le classi più umili. Gli stessi padroni, nell'analfabetismo registrano percentuale altissime, oltre il 70 per cento di loro ritengono ormai superfluo dedicarsi allo studio, anche perchè di precettori non se ne vedono più, anche questi per sbarcare il lunario sono costretti a fare i contadini o i servi.
A queste condizioni la vita diventa difficile, la demografia ne risente fino al punto piu' basso di tutto i nostri 2000 anni di cui stiamo parlando. Dal 500 al 540 l'Italia tocca i minimi storici, scende a 4 milioni di abitanti e Roma dal milione che aveva, ridurrà la sua popolazione a circa 40.000 anime, fra l'altro maldestri, inabili o anziani, incapaci a reagire o andarsene. Insomma una civiltà in sfacelo, con una economia sempre di più a carattere agrario, definito "eroico" (che è poi quello di sfruttare ogni metro di terreno anche in luoghi impossibili).
ANNO 499
GLI INETTI EREDI DI GENSERICO IL VANDALO
IL REGNO D'AFRICA IN DISFACIMENTO
Dopo la scomparsa del grande re Vandalo, la successione era passata a UNERICO, poi era salito sul trono il fratello GUNTAMONDO, scomparso anche lui quest'anno gli succede l'ultimo dei fratelli, TRASAMONDO. Tutti figli di GENSERICO il Vandalo che abbiamo conosciuto re e dominatore di tutte le coste del basso Mediterraneo per ben 48 anni, assistendo così a dozzine di successioni di imperatori grandi, piccoli e alcuni anche bambocci.
Lo abbiamo conosciuto Genserico nelle sue gesta, nelle sue bizzarrie, nella sua umanità. Che avesse degli indiscutibili meriti in campo militare, lo troviamo tale riconoscimento presso tutti i suoi contemporanei, anche se più severamente si deve giudicare il suo operato politico di uomo di governo, monarca di un grande regno.
Si dice che uno stato così eterogeneo come quello che lui si era creato, fondato dal nulla e che era riuscito a mantenere in tutti quegli anni, cosa che non era mai accaduto in cinque secoli a nessuno, conteneva in sè fin dalla nascita il germe della decadenza e della distruzione.
Tenendo sempre separati i vari gruppi etnici GENSERICO precluse loro la possibilità di amalgamarsi. Queste unioni che nell'arco di un paio di generazioni sono possibili (e Genserico regnò cinquant'anni) sono i presupposti per la costituzione di un forte organismo politico. E una integrazione per giungere a questi obiettivi, in quel periodo era ancora fattibile. Tanto più che Genserico in Africa non venne mai disturbato nè dai romani nè dai bizantini.
Ci stanno riuscendo in questi anni i Franchi, che stanno con Clodoveo creando la Francia; fra non molto ci riusciranno anche i Germani a crearsi il loro regno; ci sono già riusciti gli Angli e i Sassoni che possiamo già fin da quest'anno considerare un popolo unito e indipendente con una unità già consolidata e con una coscienza già nazionale.
Costantinopoli che era subentrata al periodo di dominazione romana in Africa, più che influenzare con la sua cultura le ex province romane, con il suo "bizantismo" imperiale essenzialmente di facciata (la sua cultura era tutta qui), completamente diverso da quello romano, al capo vandalo con i compromessi fatti (temendolo) aveva sì dato una certa tranquillità all'Africa, ma nello stesso tempo l'aveva fatta uscire da quel circolo romano-latino che da alcuni secoli cultura latina e diritto romano queste province stava già infuenzando. In alcuni casi come in Libia e in Egitto, Roma aveva fatto tornare questi due paesi all'antico splendore di un tempo.
Una dominazione barbara era quella a sud nel basso Mediterraneo, e dominazione barbara era quella a nord dell'Italia al di là delle Alpi. Eppure questi primi autonomi regni romano-barbarici, pur smembrandosi dall'autorità imperiale romana, come abbiamo visto finora e vedremo in seguito, non si sono proprio per nulla distaccati dal mondo latino, ma ne hanno preso il modello; come cultura, leggi, religione. Conserveranno ognuno le proprie tradizioni, ma il passaggio degli eserciti e i castri di Cesare, Druso, Marco Aurelio ecc. hanno lasciato e dato l'imprinting latino-romano a tutta l'Europa, .
Influenze che per alcuni secoli resteranno latenti, ma all'uscita dal basso Medioevo, chi più chi meno, scopriremo - malgrado le tante questioni dinastiche di alcuni potenti che hanno fatto scempio dei confini- che sono questi popoli tutti uniti nell'umanesimo sorto nella penisola italica, nella cultura rinascimentale, poi in quella illuministica, mercantile e fino alla rivoluzione industriale. A questi Paesi vicini o lontani, era rimasta indubbiamente la "romanità e la latinità". E anche se ostinatamente l'avevano rifiutata, da Roma avevano mutuato la civiltà.
Invece le province Africane pur quasi tutte più vicine rispetto alle altre al bacino dell'influenza latino-romano, non riuscirono, nonostante quelle comunicazioni che la tecnologia navale via via rendeva sempre più possibili e anche sempre più facili, a raccogliere alcune di quelle preziose eredità che Roma aveva già iniziato nell'opposta riva del suo "lago" (qual'era allora il Mediterraneo) a far approdare e riversare da più di sei secoli.
Abbiamo aperto con i tre figli di GENSERICO perchè sono passati soli pochi anni dalla sua morte. In due decenni si sono succeduti al trono ben tre suoi figli, ma nessuno è riuscito a fare un solo passo in avanti nella politica delle buone relazioni con i confinanti; si sono intromessi persino nelle dispute religiose di cui non capivano proprio nulla. Eppure tutti e tre i fratelli, sul territorio -causando delle ulteriori lacerazioni- hanno dato inizio a persecuzioni ora ai cristiani, ora agli ebrei, e alle volte anche agli stessi ariani.
E come Teodorico in Italia, invece di integrare le popolazioni, sono riusciti i tre fratelli a dividerle ancora di più, risvegliando rancori secolari, dispute religiose quasi placate, e persino ostilità tribali.
Infatti hanno iniziato a perseguitare i diversi gruppi etnici locali, come se fossero loro i nativi del posto.
Volevamo concludere con questo grande capo vandalo dicendo semplicemente che le sorti di un grande impero nato da una conquista (come quella fatta da Genserico, quasi casuale) restano legate queste sorti e sono accomunate solo fin quando sopravvive il suo fondatore, a meno che questi riesca a costruire su solide basi nazionali, istituzionali o economiche un popolo unito, una nazione, dove la tolleranza deve nascere e seguitare a dimorare, altrimenti si deve considerare quella nazione un'isola di corsari, dove resta a dominare uno, fino a quando non ne arriva un altro.
E' la brutta fine che farà questo vastissimo territorio, che credevamo ormai unito dall'Egitto all'Algeria, solo perchè il regno di Genserico era durato 48 anni; e proprio in un periodo dove invece avevamo visto crollare nella corruzione, nella vergogna e l' inettitudine di una dozzina di imperatori, antichi solidi regni e prestigiose dinastie nell'Impero d'Occidente come in quello d'Oriente.
Insomma per qualche anno ci era sembrato che l'unico ad avere le idee chiare sull'intero scenario dei due imperi in lite e allo sfascio, era Genserico; l'unico a non scatenare grandi conflitti, a non spaccare i territori ma semmai a unirli. Ma alla fine abbiamo visto che anche lui non aveva creato null'altro che un paese del terrore; non aveva creato neppure una misera classe politica nemmeno nell'ambito della sua stessa famiglia; e che alla fine con lui moriva anche quel regno nato da un gruppo di pirati vandali scesi dalla Spagna. E che Genserico per quasi cinquant'anni era stato il capo indiscusso di questi pirati, anzi un vero e proprio "vandalo". Altro non era!
Fra poco più di un secolo assisteremo a qualcosa di simile. Ma all'incontrario. Un anonimo schiavo degli arabi, Gibil, dall'Africa, con un manipolo di uomini attraverserà Gibil-terrhà (gli dà perfino il suo nome) per fare una singolare vendetta (d'amore) in Spagna. La facilità dell'impresa e la conquista delle città una dietro l'altra, farà poi riversare nella penisola iberica i suoi padroni; gli Arabi. (Una lunga storia che affronteremmo molto più avanti).
ANNO 498
Muore a Roma il 19 novembre PAPA ANASTASIO muore il 19, viene eletto dopo pochi giorni, il 22, Papa SIMMACO un sardo (vedi in fondo). Ma da un'altra fazione (che osteggia il re barbaro Teodorico, e a Roma sono tanti) viene proclamato papa LORENZO (antipapa nella tradizionale cronologia). Scoppiano tumulti. Viene accusato il primo di molti delitti e di non rispettare alcune ricorrenze religiose come la Pasqua.
Scenderà Teodorico in persona per riconfermare (dopo una specie di processo per accertare i fatti) l'uomo che lui aveva indicato a salire sul soglio pontificio.
Ma appena lasciato Roma scoppiano altre manifestazioni ostili. Ci sono sommosse. Girano libelli diffamatori con le accuse circostanziate nei confronti di Simmaco.
Inizia per tutti questi motivi, con il prossimo anno una serie di concili (4 in 5 anni) per mettere fine ai contrasti religiosi, ma anche per evitare che Teodorico possa nominare un laico, magari anche ariano.
Si stabilì infatti dall'elezione papale l'esclusione dei laici.
Ma fra le altre cose discusse nei concili, forse dopo aver visto Teodorico requisire e distribuire ai suoi soldati anche quelle le terre non conquistate -perchè ormai si comportava da re assoluto su tutto il territorio disponendo di terre e beni- si cercò subito di correre ai ripari per preservare da ogni requisizione le grandi proprietà che la Chiesa possedeva. E anche qui si stabilì che nessun bene della Chiesa poteva essere alienato.
Forse un allarmismo eccessivo, e non sappiamo per quale motivi alcuni storici del tempo ci tramandano queste numerose requisizioni di terreni e di beni fatti da Teodorico (anche ai privati) per donarne un terzo ai propri soldati. Questi per quanto numerosi, non erano poi così tanti da poter occupare un terzo di tutte le proprietà terriere che invece vengono elencate.
Probabilmente erano solo tassazioni, o obbligo di fornire all'esercito una parte del raccolto. Esercito che nei suoi spostamenti di volta in volta occupava alcuni territori, ma non tutti contemporaneamente e stabilmente.
Insomma in questo caso le accuse a Teodorico ci sembrano infondate. Anzi sappiamo che alcuni territori requisiti in precedenza, dopo alcune petizioni che facevano presente che gli abitanti che avevano subito la requisizione non avevano più nulla da mangiare, Teodorico fece restituire i terreni.
La popolazione che ora viveva nelle campagne con piccoli raccolti, negli ultimi decenni con le tante disavventura e le spoliazioni delle grandi città fatte dalle orde barbariche, era diventata numerosa. Molti avevano abbandonato le città perchè la carenza di derrate alimentari rappresentavano una delle più gravi preoccupazioni. Non arrivava più nulla. Del resto le campagne si erano svuotate di coltivatori e di manodopera molti decenni prima, quando nei porti arrivavano navi cariche di cereali molto più convenienti di quelli che si producevano all'interno. E in queste fattorie molti avevano abbandonato la campagna e lasciato i terreni incolti non essendo più competitivi.
Ricordiamoci che solo cento anni fa, qualcuno andava vantandosi che guadagnava più con un solo cargo di grano fatto arrivare dall'Egitto che non con diecimila carri fatti arrivare dall'interno.
Con questa situazione da un po' di tempo, da quando Genserico aveva dominato in Africa e bloccato le forniture di grano a Roma, molti erano ritornati alla campagna. In un modo o nell'altro almeno si campava.
Perfino nel porto di Ostia e nei vari scali in prossimità di Roma, non essendoci più traffico la manutenzione non la si faceva nemmeno più. Navi ferme a marcire e portuali e mercantili a spasso disoccupati. E così tutto l'indotto.
E invece di esserci la solita inflazione (che aveva sempre creato problemi nella vecchia Roma opulenta) ora c'era la deflazione pur essendoci poca merce in giro. E questo perchè anche se c'erano pochi i prodotti a disposizione questi non avevano un collocamento sulla piazza; la popolazione carente di lavoro e non avendo soldi, non li comprava.
Paolo Diacono e Cassiodoro, forse per fare un panegirico a Teodorico, ci narrano che nella sua visita a Roma, il capo ostrogoto diede disposizione di fare una distribuzione di 20.000 misure di grano, e che Roma con simile regalo giubilò per giorni e giorni nei confronti del barbaro. Esultanza che divenne allegrezza quando fece ripristinare anche i giochi dei gladiatori, le pantomine nei teatri, e tanti altri spettacoli da tempo a Roma assenti, quasi dimenticati.
Purtroppo fu una brevissima parentesi. Presto ritornerà sulla grande capitale nuovamente lo spettro della fame, il grigiore dei giorni senza vita, e una costante fuga dalla città, sempre più vuota, fino a trasformarsi Roma in un piccolo paese di 30.000 abitanti randagi, in mezzo a 50.000 case, monumenti, archi di trionfo, teatri, terme, basiliche, e con 86.000 chilometri di strade nelle province vuote, inanimate che per anni e poi per secoli non serviranno più a nulla.
PAPA SIMMACO, sardo (498-514)
Il 22 novembre 498, in una frenetica corsa contro il tempo furono eletti due papi. Nella basilica di San Giovanni in Laterano fu proclamato il diacono di origine sarde Simmaco, mentre qualche ora dopo , nella Chiesa di Santa Maria Maggiore in Transtevere fu eletto l'arcidiacono Lorenzo.
Nell' eterna contrapposizione tra eresie, logoramenti tra le posizioni dei cristiani che facevano capo a Costantinopoli e quindi in particolar modo all'"arianesimo" e, quelle dei cristiani di Roma riuscì a prevalere Simmaco.
Ma la lotta fu estremamente dura, con climi sociali da "guerra civile".
Fu necessaria la convocazione di un ennesimo concilio di Roma, voluto dall'imperatore Teodorico e la sconfessione del proconsole "Festo" ed il conseguente esilio di Lorenzo a Nocera, prima di arrivare in qualche maniera a dirimere le questioni popolari con la conseguente scongiura di un'ulteriore scisma.
Il 1° marzo 499 Simmaco proclamò il concilio in San Pietro, al quale parteciparono 72 vescovi, compreso Lorenzo.
Prima di tutto fu votata la regola d'elezione papale in caso di morte improvvisa e quindi senza che il "de cuius" avesse avuto la possibilità di nominare un successore, al fine di evitare trattative elettorali e soprattutto brogli, (regola che fu sottoscritta anche da Lorenzo) e quindi si passò alla definizione dei ruoli del ruolo di Simmaco e quello di Lorenzo, il risultato finale fu che Simmaco rimase pontefice e Lorenzo vescovo di Nocera di Campania.
Ma le lotte intestine non terminarono immediatamente anche perchè Lorenzo non si addattò a quelle risoluzioni conciliari e continuò a fomentare i movimenti antipapali.
Comunque, il concilio di Roma del 499 fu particolarmente importante non solo per le diatribe ai massimi vertici ma soprattutto per la spartizione del potere in Roma stessa ovvero: là dove i lasciti e le ricchezze erano presenti lì era la competenza del "vescovo di Roma". Queste pertinenze furono definite "delle sette chiese" :
1- S. Giovanni in Laterano,
2- S. Pietro,
3- S. Paolo,
4- S. Lorenzo fuori le mura,
5- S. Maria Maggiore di Transtevere,
6- S. Sebastiano,
7- S. Croce in Gerusalemme.
(nda: ancor oggi viatico di penitenza per i cristiani alla ricerca dell' assoluzione dei propri peccati; ovvero modo di dire laico per definire il giro, attraverso il quale una persona estromessa tenta di riconquistarsi fiducia nell'ambito della propria professione, noto come "farsi il giro delle sette chiese")
Attraverso il mecenatismo di Simmaco, Roma iniziò nuovamente a riscoprire antichi splendori.
Nel maggio del 501 però, per il pontefice le cose si involsero nuovamente. Il senato consolare ostile al pontefice fece pervenire a Teodorico l'accusa di aver violato il calendario alessandrino a causa della data di celebrazione della Pasqua e di aver violato la fede cristiana con lo sperpero di non precisati beni della Chiesa, nonchè non precisate relazioni con donne di malaffare.
Teodorico, eludendo ogni regola canonica, convocò un ulteriore concilio in Roma. "Visitator" , ovvero reggente fu nominato il vescovo Pietro d' Altino, vescovo di Venezia che si schierò contro Simmaco.
Alla fine, per la sopravvivenza dell'unità cristiana prevalse il buon senso ed il clero chiamato a giudicare si espresse unanimemente a favore della regola fondamentale, sancita nel concilio del 499, che vietava (nda: come vieta) di poter giudicare l'operato del pontefice da parte di chicchessia.
Le lotte terminarono solo nel 505, nel frattempo Pietro d' Altino fu rispedito a Venezia e Lorenzo a Nocera, in una delle ville di proprietà del proconsole Festo.
Simmaco, dopo aver proseguito nell'opera di proselitismo, mecenatismo e costruzione di nuove chiese morì il 19 luglio del 514. Le sue spoglie furono sepolte nel sagrato di San Pietro.
Il suo nome non figura nel calendario universale ma risulta ancora una ricorrenza nel giorno della sua morte.
ANNO 497
IN IRAN LA RIVOLUZIONE RELIGIOSA COMUNISTA
LA RIVOLTA DI MAZDAK FINISCE IN UN MASSACRO
Sul territorio iraniano, da alcuni anni è comparso una figura molto singolare; il popolo ha il suo profeta, il suo messia, il suo "Gesù Cristo", ha la sua setta di seguaci di una religione di origine manichea (Mani, il fondatore della omonima setta religiosa teosofica più che profetica).
Il nuovo messia che aspettavano i diseredati è MAZDAK, che ha fondato con la sua dottrina il MAZDAKISMO.
Il suo "vangelo" è l'amore fraterno universale che dovrebbe condurre a una ripartizione uniforme di tutti i beni; suddivisione voluta da Dio ma impedita dal diavolo (che poi secondo Mazdak sono i ricchi capitalisti, i latifondisti, i principi e i regnanti; loro sono loro le armi di Satana).
Già nel 491 Mazdak aveva fatto scatenare una grande insurrezione dei suoi seguaci contro i proprietari terrieri per l'abolizione della proprietà (come Prudhomn 1400 anni dopo) che Mazdak considera un furto. Seminò il panico nel territorio e iniziò a inquietare i grandi proprietari terrieri, quando accanto ai seguaci iniziarono ad aggregarsi i contadini delle loro terre ribellandosi e pretendendo una parte delle stesse. Una rivoluzione sociale stava per iniziare e allarmò anche il sovrano quando le predicazioni del monaco non erano più sermoni ma erano un incitamento alla rivolta, una esortazione a scatenare una guerra civile (oggi diremmo di classe).
Quest'anno Mazdak assume una tale importanza dentro questo movimento e ha un seguito così nutrito che il re Kavadh, molto preoccupato degli sviluppi, è costretto a scendere con lui a patti e ad elevare questo santone al grado di consigliere personale, insediandolo a palazzo come un ministro, cercando di capire le sue rivendicazioni e possibilmente poi attenuare quei disagi che il profeta ha con la protesta dei diseredati portato in superficie e a conoscenza del sovrano.
L'influenza del santone nelle questioni amministrative e nella gestione del territorio si fanno subito sentire e ovviamente alcune leggi che promulga il re vanno a colpire le classi privilegiate, che subito iniziano ad allarmarsi. Cercano pure, convincendo il figlio del re sasanide, Cosroe, di opporsi al padre.
La nobiltà terriera molto irritata da queste prime riforme comuniste del Palazzo, che portano via a loro i beni e le terre, oltre che seminare il terrore nei loro dorati palazzi, si riunisce e sancisce di non riconoscere più il proprio monarca che ha promulgato quelle leggi di esproprio.
Kavadh viene deposto, e al consiglio dei nobili si decide di organizzare un esercito di mercenari per sbarazzarsi in un modo molto spiccio di tutta la setta e dei loro seguaci.
Inutile dire che il breve esperimento fatto dal governo fallì prima ancora di iniziare.
Finì nel 524 con un massacro: di gran parte dei suoi seguaci, del profeta e del re che l'appoggiava.
Mentre i contadini che già si erano illusi che era giunto il tempo del riscatto delle angherie, piegando la testa e la schiena ancor più di prima tornarono zitti zitti nei campi. Anche se le idee del profeta continuarono a vivere in alcune tarde sette persiane.
Insomma Mazdak finì come Mani (215-273) l'altro propugnatore di dottrine molto simili (MANICHEISMO) e che abbiamo già conosciuto, anche lui lapidato e finito in croce dai sacerdoti zarathustriani a lui nemici, per aver predicato l'eguaglianza e l'equa distribuzione delle proprietà.
Utopie che erano già iniziate a Babilona, a Samarcanda e si afferma arrivate fino in Cina.
Seguace di Mani fu anche S. Agostino, che ci ha lasciato un buon studio sul manicheismo, ma ulteriori luci ci sono venute dai ritrovamenti di Turfan e dai papiri delle tombe in rovina della città di Medinet Madi, nel Fuyyum ("I Capitoli", Colloqui di Mani, oggi a Berlino).
Non dimentichiamo che fu moltissima l'influenza che esercitò indirettamente il Manicheismo sulle sette cristiane e islamiche, per cui non senza ragione lo si può definire il Manicheismo una corrente facente parte della religione universale.
ANNO 496
CLODOVEO RE DI FRANCIA SI CONVERTE
A Reims assieme a 3000 soldati con una grande spettacolarizzazione della cerimonia il giorno di Natale CLODOVEO si converte alla religione cattolica davanti al Vescovo REMIGIO, facendosi battezzare lui e i tutti i suoi uomini.
La conversione del re dei Franchi produsse una vasta e profonda impressione. In Gallia, nel regno dei Borgundi e perfino nel regno Visigoti; entrambi legati alla religione ariana.
CLODOVEO dopo le battaglie contro gli Alamanni (che sconfisse ma non riuscì a sottomettere) aveva capito che i vescovi cristiani avevano una grande influenza nella popolazione e che si sarebbero schierati dalla sua parte, che lo avrebbero sostenuto tanto nella lotta contro tribune pagane quanto in quelle ariane. In entrambi i raggruppamenti di ogni esercito convivevano all'interno sia le une che le altre. E spesso avvenivano nell'ambito di uno stessa raggruppamento dei dissidi, liti e perfino ostilità.
Clodoveo capì che le guerre andavano sempre di più prendendo il carattere di guerre di religione e indubbiamente con queste considerazioni politiche, piuttosto che per profonda convinzione, egli decise di abbracciare la religione cristiana e di farsi battezzare. Arriva a questo passo sotto l' influenza della moglie CLOTILDE che era figlia del re dei Borgundi CHILPERICO e nipote dei successivi re CHILPERICO, GODIGISELO, GUNDOBADO, che il re dei Franchi aveva combattuto per il possesso dei territori della Senna e della Loira.
Ma poi anche i tre fratelli aprirono tra di loro le ostilità con l'ambizione di essere unico re di tutto quel territorio che il padre prima di morire aveva diviso; al primo Lione, al secondo Ginevra e al terzo Vienne.
A soccombere fu subito Chilperico in uno scontro con Gundobado, mentre Godisgelo, Gundobado non ebbe nemmeno il fastidio di doverlo lui affrontare. Clodoveo invece di sfidare l'uomo più forte si rivolse contro quello più debole; e in uno scontro fu proprio Clodoveo ad ucciderlo.
Gundobado con questo "favore" si trovò così unico sovrano dei tre territori.
Clodoveo aveva già risolto la questione di Siagro a Soissons (il romano ribelle che si era creato un proprio regno minando l'espansionismo di Clodoveo verso la Senna e la Loira). Liquidato il ribelle era poi arrivato a Parigi. A questo ambito territorio mirava soprattutto Clodoveo, quindi di scontrarsi con Gundobao nel lontano est non era nelle sue intenzioni. Preferì fare un alleanza parentale. Infatti sposò la principessa burgunda CLOTILDE, nipote di Gundobao, che viveva da alcuni anni a Vienne.
Nella capitale borgunda vescovo suddito di re Gundobao era AVITO. Fu lui a iniziare fin da giovinetta la giovane principessa al cristianesimo. E la donna poi andata in sposa a Clodoveo iniziò a dedicarsi alla conversione del marito, che non voleva abiurare la fede dei suoi antenati (lui non era nemmeno ariano ma pagano), ma non si oppose quando la moglie alla nascita dei figli volle battezzarli.
La sua influenza e la sua mediazione fu enorme, e quelle considerazioni politiche dette sopra le potè fare proprio perchè incominciò nel talamo nuziale a scoprire le strutture religiose, le loro influenze nella gente, la organizzazione capillare che si era estesa nei territori, ampliata nelle comunità che comprendevano non solo poveri ma anche i ricchi che vedevano nella chiesa un ordine, un'alta autorità morale nel vescovo, che era dalla popolazione accettata senza discussione, le sue prescrizioni erano seguite e ascoltate, con riverenza con soggezione, ma per il timore dei castighi divini che sottintendeva ubbidienza ai comandamenti canonici esortati.
Capì con la moglie che questa ubbidienza e una sua umile sottomissione spettacolare avrebbe portato ancora di più il prestigio sia a chi indossava l'abito talare ma anche alla sua stessa persona, e che entrambi questo prestigio avrebbe condizionato anche gli scettici e avrebbe ingrossato di conseguenza le proprie file di sudditi in un modo meno violento come invece era sempre accaduto. La moglie lo convinse!
Sarebbe interessante studiare l'influenza delle donne in molte grandi conversioni che ebbero importanti conseguenze politiche. Soprattutto nella religione cristiana, dove la donna trova in quella spirituale dottrina l'espressione della sua natura di madre, disposta a sacrificarsi per il bene di ogni singolo, dividerne in parti uguali i beni, distribuire l'affetto in un modo meno egoistico dell' uomo. Per la donna i figli sono tutti uguali, l'uomo invece ha delle preferenze. Le rintracciamo queste caratteristiche quando vediamo nelle forme testamentarie (un regno o un orticello) che la donna è sempre portata a fare parti uguali, l' uomo invece a concedere il bene a un unico figlio, lasciando spesso gli altri senza nulla.
A Roma viene eletto papa ANASTASIO II (pontificato 496-498)
Non si conoscono le origini della famiglia, probabilmente greca (nda: anastasìs significa resurrezione in greco) stabilitasi a Roma. Anastasio II fu consacrato papa il 24 novembre del 496.
Così come non risultano molte altre notizie sul suo pontificato, del resto di breve durata se non quelle nefaste per aver tentato una sorta di riconciliazione con gli eretici monofistici con la riammissione alle sue funzioni il diacono di Tessalonico Fotino, fervido seguace dell'idea monofisita.
La tradizione volle che questo papa fosse così impopolare, diversamente dal suo predecessore che fosse stato colpito dalla "maledizione divina" "nutu divinu percussus est"
Lo stesso Dante Alighieri, molti secoli dopo, finì per collocarlo nel canto XI, 6-9 dell' Inferno della Divina Commedia:
" ci racostammo, in dietro, ad un coperchio
d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta
che dice: "Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin della via dritta".
Sempre secondo la tradizione la sua morte sarebbe stata simile a quella di Ario il quale, mentre era intento alle sue funzioni corporali e fisiologiche perse tutte le viscere che si sparsero sul terreno.
Questo sarebbe accaduto il 19 novembre del 498. Le sue spoglie furono sepolte sul sagrato di San Pietro ma il suo nome non comparì mai nè sul martirologio nè sul calendario universale.
ARIANESIMO
Importante movimento eretico, che si sviluppò in Oriente nel corso del sec. 4° e dalla metà dello stesso secolo coinvolse l'Occidente, protraendosi qui, a causa delle invasioni dei barbari, fino a tutto il sec. 6° e oltre, con alterne vicende. Trae nome da Ario, prete di Alessandria d'Egitto, che intorno al 320 diffuse una dottrina trinitaria, secondo la quale Cristo non sarebbe Figlio di Dio in senso proprio - come voleva la tradizione - ma soltanto la più eccellente delle sue creature, definita Figlio solo in senso accomodato, diversa dal Padre per natura e radicalmente a lui inferiore per autorità e dignità. Subito combattuta, questa dottrina fu condannata nel concilio di Nicea del 325 e Ario fu inviato in esilio. Ma il radicalismo di certe affermazioni antiariane del concilio, coniugandosi con motivazioni di carattere politico o anche soltanto personale, favorì una reazione antinicena, di cui si giovarono, morto Ario nel 336, i suoi seguaci, attestati ormai dottrinalmente su una linea molto più cauta rispetto all'insegnamento del maestro. Dopo un complicato succedersi di vicende politiche e di polemiche teologiche, l'imperatore Costanzo II impose una soluzione moderata del contrasto dottrinale, fondata sull'affermazione che Cristo è simile al Padre secondo le Scritture (concilio di Rimini del 359 e di Costantinopoli del 360). Pur non specificamente ariana, questa proposizione fu allora sentita come tale e a essa si sarebbero in seguito costantemente richiamati gli ariani di ogni osservanza.Dopo il 360 l'a. perdette rapidamente vitalità in Occidente, dove restò vivace quasi solo in qualche città dell'Illirico. Fu più vitale in Oriente, in forma sia temperata sia radicale (anomei, capeggiati da Eunomio), dando origine, in questa seconda forma, a una vera e propria Chiesa separata da quella ufficiale. Solo con il concilio di Costantinopoli del 381 l'a. si poté considerare debellato in Oriente, dove comunque continuarono a sussistere piccole comunità ariane, in alcune delle quali la coerenza dottrinale giunse fino a far modificare la prassi battesimale: una sola immersione in nome della morte del Signore, in luogo di tre con formula trinitaria. Ma già da tempo il goto Ulfila, cristiano di radicale fede ariana, aveva diffuso questa sua fede fra i Goti ancora pagani, che gradatamente perciò si stavano convertendo a un cristianesimo di stampo ariano, diffusosi in breve tempo anche fra altri barbari (Vandali, Svevi, Burgundi). Così, a mano a mano che queste popolazioni germaniche si stabilivano nell'impero, prima in veste di federati e poi di conquistatori, vi importavano anche la loro fede religiosa, cui erano attaccate soprattutto come segno di specificità razziale nei confronti dei Romani, ch'erano cristiani cattolici. Questo contrasto dette esiti diversi da regione a regione: in Africa si ebbero forti attriti fra la popolazione locale e i Vandali invasori, in Spagna e in Italia i Visigoti e gli Ostrogoti riuscirono a convivere più pacificamente con la popolazione cattolica; ma ovunque gli invasori dettero vita a una comunità ariana separata da quella cattolica, con propri edifici di culto. Lo stesso accadde in Italia quando, dopo la brevissima parentesi della riconquista bizantina, sopravvennero i Longobardi, anch'essi di fede ariana. Solo gradualmente, fra il sec. 6° e il 7°, si ebbe dovunque la conversione degli ariani alla fede cattolica. Come abbiamo accennato, già sporadicamente nel corso del tardo sec. 4° e soprattutto dopo, in Africa, Italia e Spagna, al tempo delle invasioni barbariche, gli ariani si dettero un'organizzazione ecclesiastica propria, affiancata a quella cattolica e in contrasto con essa. Sappiamo anche di proprie specificazioni, ancorché sporadiche, in campo liturgico, rispetto alla prassi cattolica. Questa constatazione ha spinto più di uno studioso a chiedersi se anche in altri ambiti dell'attività ecclesiale gli ariani non abbiano dato vita a espressioni loro peculiari rispetto a quelle omologhe in uso fra i cattolici. In tale contesto ci si è anche chiesti se sia possibile ravvisare, nel materiale non certo abbondante oggi a disposizione, espressioni distintive di un'arte ariana coscientemente diversificate rispetto alle corrispondenti espressioni artistiche d'impronta cattolica. Due sono state le proposte più significative in argomento. Demougeot (1965) ha attirato l'attenzione in questo senso su una serie di sarcofagi paleocristiani di Aquitania, databili fra il sec. 5° e il 7°, cioè in un'epoca in cui la regione era sotto il controllo e il dominio degli ariani Visigoti. Tali sarcofagi sono caratterizzati, rispetto a quelli coevi di provenienza italiana, da un'evidente tendenza aniconica. Anche nei più antichi scarseggiano le scene figurate, bibliche o evangeliche: ci si limita alla rappresentazione di tre personaggi, Cristo e due apostoli, quello al centro e questi alle estremità, stilizzati e separati da larghe zone riempite di motivi vegetali o geometrici. Gradualmente la tendenza aniconica s'intensifica fino alla completa sparizione della figura umana, a beneficio di un'ornamentazione vegetale o geometrica, dal simbolismo più o meno trasparente (tralci di vite, foglie d'acanto, rose, margherite, palme con ali d'uccello, stelle a sei e otto raggi). Tale tendenza aniconica è collegata da Demougeot con un'analoga tendenza ben conosciuta del cristianesimo più antico e ancora rappresentata, nel corso del sec. 4°, da Eusebio di Cesarea ed Epifanio di Salamina, e addirittura alla fine del sec. 5° da Xenia di Ierapoli. Quest'ultimo fu monofisita, mentre Eusebio fu, sempre secondo Demougeot, abbastanza abile da sembrare ortodosso, ma amico degli ariani: di qui la studiosa deduce che l'aniconismo, sorpassato in ambiente cattolico, sarebbe rimasto vivace in quelli eterodossi; connette inoltre Ulfila con l'ambiente siriaco, in cui tale tendenza sarebbe stata assai forte e che rappresentò un focolaio di arianesimo. La tendenza aniconica sarebbe rimasta dunque operante in ambiente ariano, da cui l'avrebbe ereditata Ulfila che la trasmise agli ariani Goti. Questi nei loro monumenti pubblici avrebbero imitato l'arte ufficiale dell'impero, a tendenza iconica, mentre la loro arte funeraria avrebbe espresso più da vicino le convinzioni della loro fede: di qui l'aniconismo dei sarcofagi.Sui monumenti pubblici ariani di Ravenna, che Demougeot si limita a definire di imitazione imperiale, e specificamente sui mosaici d'età teodoriciana di S. Apollinare Nuovo e del battistero degli Ariani, ha fermato la sua attenzione Sörries (1983), riconoscendo che questi non possono essere interpretati come una vera e propria confessione di fede ariana, ma piuttosto come un monumento del cristianesimo germanico, appunto di fede ariana, in quanto centrato su alcuni tratti distintivi che lo caratterizzerebbero rispetto al cristianesimo cattolico dei Romani. Tali tratti sarebbero rappresentati, oltre che dalla rilevanza, tipicamente ariana, della subordinazione di Cristo al Padre, da una sensibilità accentuatamente scritturistica e dalla presentazione di Cristo come maestro che chiede ai discepoli una rigida sequela caratterizzata da forti esigenze di carattere morale, piuttosto che dalla proclamazione della sua divinità a mezzo dei miracoli e dal valore redentivo della sua passione. Sulla base di questo modulo ermeneutico Sörries esamina i ventisei riquadri cristologici che adornano le due pareti di S. Apollinare Nuovo a Ravenna. Nel Miracolo della resurrezione di Lazzaro, per es., l'interesse della scena sarebbe non tanto nella rappresentazione del prodigio, quanto nella descrizione del rapporto degli uomini con Gesù e di Gesù con il Padre. La Guarigione del paralitico presso la piscina di Bethesda (Gv. 5, 1-19) rappresenta in questo contesto un compendio dell'idea di Cristo germanico-ariana: Cristo è colui che con la sua parola e il suo insegnamento dà la vita a coloro che lo seguono. Nel Battesimo di Gesù al Giordano, che orna la volta della cupola del battistero degli Ariani (ricalcata, con qualche variante, sulla scena che adorna il battistero Neoniano), lo specifico ariano sarebbe rappresentato dal trono gemmato che sta al punto d'incontro delle due schiere di apostoli sottostanti alla scena del battesimo e che non compare nella raffigurazione dell'altro battistero. Il trono, simbolo del Cristo sempre presente fra i suoi seguaci, accentuerebbe il carattere meramente storico della scena cristologica, che invece, senza questo complemento, nell'altro battistero rileverebbe la divinità di Cristo in modo inaccettabile per gli ariani.Nessuna delle due interpretazioni risulta convincente. Quella di Demougeot (1965), fondata su un presunto aniconismo degli ariani, continuazione di quello paleocristiano - abbandonato dalla Chiesa cattolica ma ancora in onore presso comunità di cristiani dissidenti -, si basa su una documentazione priva di alcun valore: Eusebio, anche se amico degli ariani, non può certamente essere definito un ariano; Xenia non ha con l'a. alcun rapporto; e invece un altro importante avversario delle immagini nel sec. 4°, Epifanio di Salamina, fu anche acceso avversario degli ariani. In effetti questi tre personaggi dicono soltanto che anche quando l'immagine sacra si era ormai imposta nella Chiesa, non mancava chi, in nome della tradizione, l'osteggiava, pur senza una specifica implicazione dottrinale in un senso o nell'altro. Del resto, le raffigurazioni ariane di Ravenna testimoniano contro Demougeot, che deve postulare un'improbabile distinzione fra arte ufficiale degli ariani e manifestazioni artistiche sepolcrali, di carattere più personale. Inoltre, viene postulata fra Ulfila e la Siria una serie di rapporti dei quali non esiste la minima traccia documentaria: risulta infatti che Ulfila, fuori della sua regione, fu in contatto soltanto con Costantinopoli.Quanto a Sörries (1983), egli prende le mosse da una presentazione dei caratteri distintivi del cristianesimo germanico di fede ariana altamente improbabile, perché priva di ogni effettivo sostegno documentario, come del resto altri tentativi similari fatti prima di lui. E anche se diamo per buono questo fondamento, le raffigurazioni prese in esame rifuggono dall'essere interpretate secondo schemi precostituiti così precisi: si tratta infatti di rappresentazioni che mirano soltanto a presentare il dato evangelico nella sua immediata semplicità e nelle quali sarebbe arduo ravvisare un qualunque criterio dottrinale che avrebbe condizionato la scelta degli episodi e la loro rappresentazione. Di contro, proprio la fedeltà con cui nel battistero degli Ariani è stata riprodotta la raffigurazione del battistero Neoniano sta a significare un effettivo disinteresse per l'interpretazione teologica della scena. Infatti l'episodio del battesimo di Gesù era di quelli che, per intrinseco significato, si prestavano alla presentazione in un senso che potesse favorire l'interpretazione ariana; e invece nulla è stato fatto, nel battistero degli Ariani, in questa direzione e ci si è limitati a ricopiare la figura del battistero dei cattolici.Rilevata l'inconsistenza delle proposte più impegnative al fine di individuare documenti artistici di impronta specificamente ariana, non si vuole però generalizzare questo risultato fino al punto di negare in linea assoluta l'eventualità che gli ariani abbiano potuto esprimere anche nell'arte le loro convinzioni religiose, ma soltanto constatare che la documentazione a disposizione non è a tutt'oggi tale da permettere una valida verifica in re di tale teorica possibilità. Sono giunti vari testi letterari ariani, soprattutto in lingua latina, d'argomento esegetico: da essi non soltanto non si riesce a rilevare alcuna apprezzabile differenza, nel modo di interpretare il testo sacro, rispetto a ciò che si faceva nello stesso momento in ambito cattolico, ma nemmeno a cogliere qualche significativa preferenza, che pure in linea teorica si può facilmente ipotizzare, per certi testi da proporre, anche nella predicazione, in luogo di altri, per certi episodi evangelici piuttosto che per altri. Questa constatazione fa apparire ancora più illusoria la pretesa di Sörries di specificare in senso ariano le raffigurazioni evangeliche di S. Apollinare Nuovo e mette in guardia circa l'opportunità di continuare su tale pista di ricerca.Dà invece risultati meno aleatori la ricerca di segno contrario, volta cioè a ravvisare nell'iconografia cristiana dal sec. 4° al 6° tratti di significato antiariano. Il famoso mosaico di S. Vitale a Ravenna raffigurante l'Apparizione di Dio ad Abramo presso la quercia di Mambre (Gn. 18, 1-6) ha certamente significato antiariano nella presentazione trinitaria di Dio, secondo un'esegesi che fu elaborata, appunto in contesto antiariano, verso la fine del sec. 4°, in sostituzione della precedente tradizionale interpretazione che aveva ravvisato nei tre personaggi che appaiono al patriarca il Logos divino accompagnato da due angeli. Quasi certamente ha lo stesso significato la raffigurazione trinitaria di Dio che crea Eva nel celebre sarcofago 'dogmatico' (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano, nr. 104; Giordani, 1978a). Ma se la polemica cattolica contro gli ariani ha lasciato tracce nelle raffigurazioni dei monumenti, non è arbitrario ipotizzare che anche gli ariani si comportassero allo stesso modo, là dove la situazione politica permettesse loro libertà di espressione. Così a Castelseprio i fenomeni di cultura 'ellenistica' di derivazione costantinopolitana, e perciò della più stretta ortodossia cattolica, in contesto figurativo, propri "della corrente cattolica riaffermatasi al comando del regno longobardo [...] dopo la ripresa ariana di Grimoaldo" (Romanini, 1978), possono anche far pensare a una reazione contro una precedente attività figurativa di contenuto ariano. Ma è chiaro che più in là non è possibile spingersi.Risulta evidente a questo punto che non possiamo più parlare di un'arte tout court ariana, cioè contraddistinta da contenuti specificamente ariani, e si deve, più modestamente, parlare di edifici di culto fatti costruire da committenti ariani, in concorrenza con edifici in uso per il culto cattolico. E anche in questa ben più modesta dimensione non è possibile andare molto oltre i famosi edifici sacri di Ravenna. Da Gregorio Magno e da altre fonti è noto che a Roma erano chiese di culto ariano: S. Severino iuxta domum Merulanam, oggi scomparsa, e S. Agata dei Goti, alle pendici del Quirinale, che allo stato attuale non tradisce alcuna traccia dell'antica dedicazione ariana. Il Liber Pontificalis della chiesa di Ravenna, compilato nel sec. 9° dal vescovo Agnello, dà notizia di varie chiese che l'omonimo vescovo del sec. 6° aveva riconciliato alla fede cattolica dopo la riconquista bizantina: S. Eusebio, S. Sergio in Classe, S. Zenone in Cesarea (Cecchelli, 1960).La documentazione letteraria in argomento è molto scarsa e in sua assenza la documentazione archeologica difficilmente permette precisazioni così specifiche, proprio perché l'edificio di culto ariano non differiva affatto, nella forma, da quello di culto cattolico. Cecchelli (1960) ha svolto una ricerca su questo argomento. Una traccia che potrebbe permettere di individuare un antico edificio di culto ariano è costituita dalla presenza, in una medesima località, di resti di due edifici di culto più o meno coevi, non lontani l'uno dall'altro: le due comunità si servivano infatti di distinti edifici di culto. È questo per es. il caso dei due battisteri di Ravenna. Qualcosa di analogo è stato ipotizzato per Grado, dove a poca distanza dalla basilica di S. Eufemia e dal relativo battistero, insistenti su più antichi edifici di culto risalenti al tardo sec. 5°, sono stati rinvenuti i resti di un'altra basilica con battistero, gruppo che risale al 5° secolo.Anche a Salona si sono trovate tracce di due centri di culto più o meno dello stesso tipo, sì che si è pensato a edifici rispettivamente cattolici e ariani, anche se le tipologie di questi edifici non differiscono affatto fra loro. In un sobborgo di Aquileia sono stati scavati i resti di una chiesa piuttosto grande, di destinazione non cimiteriale, collocata fuori delle mura della città. Potrebbe essere stato il centro di culto di un gruppo minoritario non ortodosso, perciò probabilmente ariano. Diverso è il caso di S. Lorenzo a Milano; le ricerche qui condotte hanno messo in evidenza un laborioso processo di edificazione, con interruzioni e cambiamenti di programma rispetto al primitivo intendimento. Si tratta di una chiesa che stava fuori delle mura della città ma non era una basilica cimiteriale. Inoltre lo scavo non ha permesso di rinvenire alcuna epigrafe risalente all'epoca paleocristiana, né si ha alcuna traccia di essa in trascrizioni o sillogi. Alcuni mosaici riportano alla seconda metà del 4° secolo. Tenuto conto che dal 356 al 373 il seggio episcopale di Milano fu occupato da un vescovo ariano, Aussenzio, e che anche successivamente, grazie all'appoggio dell'imperatrice Giustina e nonostante l'ostilità di Ambrogio, gli ariani riuscirono a ottenere a Milano spazi riconosciuti per il loro culto, ci si può chiedere se la laboriosa edificazione di S. Lorenzo non sia da mettere in rapporto con queste vicende politiche e se la chiesa non sia stata per qualche tempo in mano degli ariani.Questa serie di esempi, senza alcuna pretesa di esaustività, ha inteso soltanto mettere in chiaro la laboriosità dei procedimenti archeologico-filologici di cui si deve far uso per cercare di rintracciare la presenza degli ariani nei resti monumentali e l'aleatorietà dei risultati di tale tipo d'indagine. Infatti, anche ad ammettere che la duplicazione degli edifici di culto possa indicare con buona probabilità la presenza di una comunità non ortodossa a fianco di quella cattolica (Cecchelli, 1960), ciò non significa tout court che essa debba essere considerata ariana. Indubbiamente dal sec. 4° al 6° in Italia e in altre regioni mediterranee gli eretici più importanti furono gli ariani; ma accanto a loro ce ne furono altri, sì che, anche se il caso sopra riportato può essere indicativo della presenza di una comunità eretica, questa non deve essere necessariamente considerata ariana. Insomma, ancora una volta ci si trova di fronte a possibilità, a probabilità, ma non a certezze. Gli ariani furono una presenza molto importante nella storia della Chiesa dal sec. 4° al 6° e come tali, nonostante la damnatio memoriae che fece seguito alla loro emarginazione dalla comunità, hanno lasciato documenti e tracce cospicue in sede letteraria, in ambito sia dottrinale sia esegetico; ma a tutto ciò nulla di certo fa riscontro in sede artistica.
ANNO 495
Non solo sulle leggi, sulla giustizia e nell'amministrazione Teodorico mantenne alcune norme e seguì la tradizione romana, ma anche nelle libertà di culto in questo primo periodo di regno romano-barbarico fu (si racconta) di una liberalità straordinaria.
Teodorico fin dal primo momento che si era insediato a Ravenna, aveva fatto a tutti buon viso, ma in effetti più che dettato da un calcolo politico era perchè non voleva eccessi di intolleranza, e non voleva compromettere il suo iniziale progetto. Anzi cercò - pur costruendo uno stato sul modello di Bisanzio ed aggiungendovi l'influenza di quello latino - di perseguire l'obiettivo di far convivere pacificamente il popolo romano e quello degli ostrogoti.
Ma come abbiamo già accennato nelle altre pagine, fece (si racconta) moltissimo ma ottenne pochi risultati (questo non fu raccontato; ma la realtà fu poi quest'ultima).
Pur raccomandando a tutti questa pacificazione, evitò sempre di affrontare il problema, in certi casi lo ignorò mentre in altri, quando alcuni di questi problemi divennero ancora più difficili, ricorse alle repressioni e alle persecuzioni, perfino mettendosi contro i suoi migliori consiglieri, alcuni mandandoli in galera e altri caddero vittima di queste persecuzioni.
I contrasti fra le varie fazioni erano all'ordine del giorno, e tutti erano incapaci di giungere a una composizione dei dissidi, che scatenarono dibattiti roventi, e in certi casi non esitarono a scendere in piazza con sommosse.
Fra i molti consiglieri buoni ascoltò anche quelli cattivi; ed alcuni di questi lo spronarono -pur sapendo che era di fede ariana- ad intervenire in questioni religiose fra cristiani e ariani. Un compito difficile perchè Teodorico non afferrava la sostanza del problema non avendo mai approfondito la questione religiosa.
Mentre ognuno dei contendenti speravano che si schierasse col il loro credo e la loro dottrina, invece TEODORICO - li mise davanti (e questo dimostra che non era all'altezza di poter giudicare) alle loro responsabilità con una pseudo imparzialità unita a fermezza. Scrupolosamente evitò di esprimere un suo punto di vista personale in questioni di carattere etico-religiose, ma però mise due goti GUDILA e BEDCULPHAS ad accertarsi nei sinodi ecclesiastici cristiani se rispettavano le sue direttive.
E non prese nemmeno posizioni di parte (lui si considerava ateo) in una scabrosa circostanza, quando avendo dato un parere sottinteso sugli ebrei ma non bene interpretato dai cristiani che lo ascoltavano, questi ultimi si sentirono autorizzati a cacciare gli ebrei e a dare l'ordine di bruciare le sinagoghe. Teodorico infuriato ordinò di ricostruirle immediatamente a loro spese, perchè la tolleranza era la sua legge; nelle questioni di regno era lui a doversene interessare, ma nelle questioni di anime erano i preti a doversene occupare, che non poteva intervenire lui ateo. Se loro avevano un Dio che chiamassero lui a decidere e non l' imperatore che deve essere invece impegnato a occuparsi di cose terrene; "se Dio vi ha dato l'ordine di occuparvi di anime, obbedite al comando di Dio, che non vi ha detto di distruggere palazzi ma di costruire anime".
Ma questa tolleranza agli ebrei, agli ariani, il non torcere un capello ai cristiani di altre correnti considerate eretiche, non doveva piacere a qualcuno che lo aveva inizialmente aiutato ad arrivare dove era arrivato. Bisognava fargli pagare il conto, e il conto doveva essere uno solo, quello di applicare gli editti che già c'erano, quelli di Teodosio, di Costantino, eliminare dall'impero l'arianesimo, e prima di tutti proprio Teodorico.
Non sappiamo di "cos'altro" si parlò nei 4 concili che si tennero a Roma nel 499, 501, 502, 504 per dirimere i contrasti su l'elezione del pontefice (dopo il "caso Simmaco"- vedi sotto). Ma sappiamo che si stabilì l'esclusione dei laici dall'elezione papale e l'inalienabilità dei beni della Chiesa. E se questi erano gli argomenti una ragione seria ci doveva pur essere.
L'operato del re ostrogoto finora -l'abbiamo già letto- anche se ambiguo aveva fatto sperare i vescovi cristiani di poter convertire prima o poi l'ostinato ariano. Gli autorevoli prelati che abbiamo già citato nutrendo grande simpatia per lui a questo miravano; ma poi iniziarono a cambiare molte cose, i rapporti iniziarono a essere difficili; e Teodorico inizia ad essere non più il tollerante, o il pacificatore, ma inizia a prendere una posizione netta. E con il suo carattere e adottando quest'altro atteggiamento non poteva che alienarsi quelle amicizie che - per quanto fosse ariano- l'avevano fatto salire in alto.
Nessuno può darci un quadro più sincero e storicamente vero nei suoi confronti come lo storico PROCOPIO che notoriamente era un suo personale oppositore e quindi il suo giudizio semmai dovrebbe essere negativo. Invece proprio lui - parlandoci del primo periodo di Teodorico, ne dà un giudizio altamente positivo quando dice "Il suo modo di governare i sudditi era degno di un grande imperatore; salvaguardò la giustizia, emanò buone leggi, preservò il suo paese dalle invasioni, diede prova di straordinario senno e valore".
Anche Cassiodoro lascia un buon ritratto del sovrano barbaro. "Non procedeva mai a nessuna nomina, di grande o scarso rilievo che fosse, senza darne immediata comunicazione ai senatori, sollecitando il loro parere e la loro approvazione".
Tutto questo nei primi anni, poi Teodorico iniziò a essere sospettoso, crudele, intransigente. Cominciò a prendere drastiche misure contro qualche senatore e talune famiglie quando iniziò la questione dello scisma ariano (*), che diede vita a Roma in seno al senato a una forte opposizione. Fino a diventare ostilità che andò ad aggiungersi a quella che cominciò ad arrivare da Costantinopoli quando sul trono d'Oriente (nel 518) salirà Giustino con patricius e console (nel 521) suo nipote Giustiniano.
*) Alcuni storici affermano che il dissidio religioso e le ostilità verso il cristianesimo vennero solo in tarda età a causa della sua senilità, e che Teodorico non si intromise mai nelle discussioni religiose.
Invece sappiamo che già nel 495 (era da appena un anno sul trono) volle erigere a Ravenna il Battistero degli ariani. L'intromissione nei sinodi romani di due funzionari goti perchè venissero applicate le sue direttive fu un vero e proprio atto d'autorità altezzoso e sprezzante. Nell'anno 500 per la questione dell'elezione a papa di Simmaco o di Lorenzo (di due fazioni rivali) scese lo stesso Teodorico a Roma per confermare il primo. Ma appena Teodorico lasciò Roma scoppiarono discordie, sommosse di piazza e infamanti accuse verso Simmaco: di essere un ladro delle proprietà della Chiesa, un corruttore, che non celebrava la Pasqua con le date giuste e accuse di molti altri delitti. Ma Teodorico (dopo un processo affidato a una commissione e a cinque roventi sinodi) riconfermò l'incarico.
Ora in base al concetto che lui era un eretico; che potessero i suoi poteri vantare questa autorità in campo ecclesiastico, ci appare quanto mai singolare. La sua influenza (arrogante e perentoria) in questa storica disputa si fece eccome sentire! Non provocò lo scisma vero e proprio -ancora lontano- ma fu l'inizio. Il dissidio e le ostilità erano già iniziate fin dal primo momento, anche se furono storicamente mimetizzate con gli atti disinteressati che i panegiristi di Teodorico ci hanno tramandato (Ennodio in prima fila).
ANNO 494
UN REGNO EUROPEO TUTTO BARBARO?
INIZIA A NASCERE UNA COSCIENZA TEDESCA?
Lo abbiamo già accennato, Teodorico -il barbaro ostrogoto sceso dall'Illiria- con la sua educazione conformata alla corte di Costantinopoli (per quasi dieci anni in ostaggio nel periodo giovanile), era di una discreta formazione intellettuale; e oltre che essere attratto da quella militare la tradizione culturale romana l'aveva sempre affascinato. Ora era in Italia, dov'era nata questa tradizione.
Mantenne infatti intatte le leggi e le istituzioni romane ed accettò volentieri alcuni prestigiosi consiglieri romani quali SIMMACO, SEVERINO BOEZIO, CASSIODORO.
Si comporta insomma non certo come un ribelle, nè tanto meno come un monarca indipendente. Da Costantinopoli accetta suggerimenti e a sua volta si rivolge all'imperatore come un vero e proprio subalterno. Quando gli scrive usa alternativamente il termine regnare, e il termine governare. Quindi non desta allarmismi.
Come politica interna divide nettamente i compiti dei Romani e dei suoi Ostrogoti. Ai primi affida l'amministrazione dello Stato (anche perchè non ha uomini capaci di esercitare queste mansioni) mentre ai secondi (ai suoi uomini) affida l'esercito; cioè la "forza".
Teodorico non disdegna neppure la mondanità tipica della vecchia corte; la ravennate come quella romana. Il suo nuovo palazzo a Ravenna adornato di splendidi giardini e lussuose stanze era sempre affollato di nobili romani che lo intrattenevano; e proprio a loro di preferenza dava le cariche amministrative. L'aristocrazia romana gli faceva proprio per questo motivo la ronda attorno, sempre pronta a lusingarlo della sua grande cultura, della grande diversità rispetto a quelli che erano della sua stirpe; insomma ipocritamente andavano a caccia di promozioni, questuavano gli incarichi, facevano la fila davanti alle sue stanze. Anche quelli - ed erano tanti- che poi a Roma si dimostravano ostili a qualsiasi conciliazione con i barbari.
Il palazzo diventò un misto fra il bizantinismo dell'Oriente, il diritto romano, e quello sfarzo ozioso che Onorio aveva lasciato. Nelle stesse leggi e negli editti che Teodorico emana (e lo fa in latino) offre lo spettacolo di un governo schiettamente di tradizione romana. Ma sulla questione della sicurezza sia interna che delle frontiere cercava di attirare gruppi di barbari da utilizzare a questo scopo, quasi ma mai dimenticandosi che era lui stesso barbaro. Era insomma entrato nella parte di imperatore. Era lui a stabilire intese con altri regni da un po' di tempo non più romani e tanto meno bizantini.
Perfino nella tolleranza religiosa alcune sue disposizioni riportano (lui che è ariano) una paradossale tolleranza per gli ariani come se lui fosse cristiano (poi alla fine della sua vita, per i motivi che in seguito vedremo, farà l'incontrario).
La corte di Ravenna con i suoi suntuosi interni si trasformò in un centro di affari politici, fonte di illuminazione culturale, scuola di comportamento, palestra dell'amministrazione pubblica e infine centro religioso. Fu un momento magico che diede l'impressione a molti di un ritorno alla grande romanità. Inoltre era lì che si ricevevano gli incarichi.
Già circolava a Roma la frase che "se non vai almeno una volta a Ravenna da TEODORICO, sei totalmente tagliato fuori da ogni incarico; diventi nessuno, un nulla".
Le opere che fece ripristinare, quelle che fece costruire mandando a chiedere marmi pregiati in tutta Europa stava del resto a dimostrare la sua volontà di restaurare lo splendore nella capitale di un regnante; la bellezza di una reggia ha sempre rappresentato anche l'autorità. E lui che era vissuto alla sfarzosa corte bizantina ne era ben cosciente.
Nella città di Ravenna fa giungere numerosi artisti romani e bizantini abbellendo la città con edifici sacri e profani. Furono eretti il nuovo Palazzo Reale, il Mausoleo, Sant'Apollinare Nuovo, il Battistero degli Ariani ecc.
Ma non si limito solo a monumenti ma fu intensa l'attività anche nelle opere pubbliche e culturali nella stessa Ravenna, poi a Milano a Verona e infine a Roma dove ripristina perfino i giochi e gli spettacoli con le aurighe. Ennodio (suo panegirista) scriveva "Teodorico ha ringiovanito l'Italia e Roma"
TEODORICO è dinamico in ogni ambiente della vita politica e pubblica del territorio; vuole dominare per diventare sempre più grande, per il solito ambito obiettivo: quello di mettersi una corona in testa. Ma una corona di un regno barbaro però; infatti i buoni rapporti con i romani si ruppero proprio quando nel suo secondo periodo iniziarono dei dissidi insanabili con la popolazione italica prima, poi con quella religiosa.
Si ergeva a difesa della civilitas latina, voleva la pacifica intesa dei due popoli, ma poi corrispondeva invece un rapporto di inimicizia che era poi quello di una minoranza di soldati dominatori nei confronti di una moltitudine di vinti.
La distribuzione di terre al suo popolo -appena insediatosi a Ravenna- avvenne secondo la consuetudine barbarica, concedendo ai suoi uomini un terzo delle zone occupate. Ma poi accadde questo: dapprima furono confiscate quelle che erano state donate da Odoacre ai suoi barbari (Eruli e Sciri), ma poi venne assegnata anche la terza parte dei terreni dei privati, latini. Con questi ultimi criteri - e l'amministrazione romana creata da lui avallava questi criteri- si stabilì all'interno del Paese due società dai caratteri nettamente distinti e dagli interessi contrastanti.
All'inizio i latini erano convinti di poter rientrare in possesso dei vecchi possedimenti, mentre furono subito delusi dall'atteggiamento di Teodorico, preoccupato solo ad allargare sempre di più il territorio della sua conquista. E per far questo impose che solo i suoi ostrogoti dovevano prestare il servizio militare. Non era di certo un regalo fatto ai latini. Lo scopo era ben chiaro: avere una "forza" a lui fedele e sempre a sua disposizione per controllare la massa; la plebea come quella dei ricchi proprietari di fondi; che era poi a questa che lui sottraeva le terre.
Una dominazione sempre più autonoma, e anche se dava l'impressione di essere subordinato a Costantinopoli, Teodorico cercava in ogni modo di allontanarsene. Fino al punto che iniziò a stabilire con gli altri regni barbarici delle intese; con i Visigoti, con i Burgundi e con i Franchi. Con questi ultimi -che invece hanno ben altri progetti, autonomi quanto i suoi- quest'anno non fa solo un'alleanza militare, ma anche parentale (che non durò a lungo, anzi iniziarono delle ostilità).
Infatti a CLODOVEO da alcuni anni re dei Franchi con l'approvazione della corte ravennate Teodorico manda una ambasciata per chiedere in sposa sua sorella AUDOFLEDA.
Teodorico vuole allargarsi, pensa già a una parentela che un domani potrebbe aiutarlo nel suo grande progetto: quello di fare un grande impero composto non da latini.
Desiderava infatti a parole una buona convivenza tra l'elemento locale e quello barbaro, ma evitò sempre di affrontare il nocciolo del problema, quello di promuovere un'equa integrazione dei primi con i secondi e fece di tutto per tenerli rigidamenti divisi, perfino proibendo agli ostrogoti di contrarre matrimoni con i latini. Cosa che indignò anche i suoi più ipocriti amici romani.
TEODORICO ha solo 34 anni. Di queste alleanze a ovest e a nord, oltre a quelle interne ostili ai bizantini ne fece delle altre, moltissime, che però non durarono a lungo, perchè ribellioni e tradimenti lo costrinsero sempre a rompere i rapporti, soprattutto quando lo stesso Teodorico non ebbe più l'energia e la volontà di intervenire.
Non solo con CLODOVEO fece in questo primo periodo, passi di ingraziamenti, ma li fece un po' con tutti e nei più svariati modi, tanto che uno storico del tempo commentò: "per vie indirette si ingraziò tutti".
Ma non riuscì a mantenerli questi buoni rapporti.
Infatti -come leggeremo nei prossimi anni- quando Teodorico morì, la sua politica si rivelerà totalmente fallimentare. Lasciò - dopo essere stato re degli Ostrogoti 54 anni, e re d'Italia 30 anni- erede un bambino di dieci anni, suo nipote ATALARICO, proprio mentre a Costantinopoli e sull'impero stava emergendo una figura discutibile ma possente: GIUSTINIANO!
In quanto al suo piano per la creazione di molteplici alleanze politiche con i barbari vogliamo brevemente ricordare i matrimoni che Teodorico combinò in un brevissimo periodo.
Oltre ad aver sposato lui stesso Audofleda sorella di Clodoveo re dei Franchi; la figlia maggiore Arevagni fu maritata ad Alarico, re dei Visigoti; la seconda figlia, Teudegota, andò sposa a Sigismondo, figlio di Gundobado, re dei Burgundi; la figlia minore, Amalasunta, venne data in moglie a un connazionale di Teodorico, l'amalo Eutarico. E completò questo piano di alleanze dando in sposa una sorella, Amalafrida a Trasamondo, re dei vandali; e all'altra sorella, Amalaberga a Ermanfredo, re dei Turingi. Insomma tutti barbari
Come abbiamo visto non un matrimonio nè con un romano nè con un bizantino. E tutti di religione ariana. Con le successioni in un modo o in un altro con questo vincolo di parentela, potenzialmente Teodorico stava creando una sorta di protettorato goto su quasi tutta l'intera Europa.
Prese perfino contatti con gli Estoni del Baltico; risulta infatti che questi pagavano a Teodorico un tributo in ambra. E che un principe scandinavo nel fuggire dal suo paese dopo una rivolta, trovò rifugio e protezione proprio nei palazzi di Teodorico a Ravenna.
Che Teodorico mirasse ad essere il difensore degli interessi barbarici, i dati storici e queste unioni coincidono perfettamente anche con le grandi leggende germaniche dove troviamo inserito Teodorico come il supremo paladino delle genti germaniche. Nella Saga dei Nibelunghi (che molti storici italiani non hanno mai letto) il capo degli ostrogoti ha un posto di rilievo, col nome Dietrich von Bern, alias Teodorico di Verona.
(E altrettanto "paladino" dei Germani vi figura Attila, mentre per gli italici è il "fragello di Dio" - nella saga Etzel con sua moglie HILDE, la famosa Crimilde, prima moglie di Sigfrido, tanto caro a Hitler).
Che TEODORICO volesse dimostrare indipendenza da Bisanzio (e perfino nutrisse qualche ostilità) ci viene in soccorso anche quest'altro episodio. Anastasio inviò in Calabria e in Puglia una flotta per ristabilire l'autorità bizantina nel sud della penisola; ma Teodorico con una sua flotta si oppose a questo sbarco considerandolo un ingerenza.
E altrettanto poi fece nel Norico e in Pannonia. Prestò aiuto a Mundo, il capo di una banda di predoni che durante una delle loro scorrerie nei due territori, furono attaccate dai bizantini.
In entrambi i casi gli ostrogoti di Teodorico aiutarono i nemici di Bisanzio e misero in fuga proprio i bizantini non i predoni. Irritando non poco Anastasio.
Ne approfittò ipocritamente Teodorico -a spese dei bizantini- per insediarsi definitivamente anche nell'intera Pannonia, nel Norico, nel resto della Dalmazia non ancora occupata, nella maggior parte dell'Ungheria di oggi e nelle due Rezie (Tirolo e Grigioni), oltre che della Bassa Germania fino a Ulm. E' per questo che divenne il paladino dei germani, ancora oggi rimpianto; quanto Attila e successivamente Carlo Magno iniziò anche lui (seguendo l'idea di Teodorico) a parlare di Impero Mondiale, lo pretendeva universale, ma tutto germanico, compreso i romani e i papi cristiani.
P. Taylor nella sua Storia della Germania, infatti scrive: "Non può capire i tedeschi chi non si renda conto della loro ansia di imparare dall'Occidente, di imitarlo (e Teodorico in questi anni fa proprio questo, ma intanto fa solo unioni con gli altri re barbari); ma parimenti non può capire i tedeschi chi non si renda conto della loro determinazione di sterminare l'Oriente. Lo stato nazionale tedesco è recente; ma la coscienza nazionale (costituito sempre dallo stesso genere di popolo) è antica. Il "Reich" l'espressione politica del popolo tedesco, è la più antica organizzazione politica in Europa, più antica dell'Inghilterra, della Francia, dell'Ungheria o della Polonia; e quindi la più antica di qualsiasi Stato europeo. Quando giunse Carlo Magno i tedeschi avevano già l'intelaiatura di un'organizzazione politica, lui aggiunse soltanto la denominazione Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca. Una contraddizione di termini che (e dava l'impressione solo agli occidentali) negava al tempo stesso ai tedeschi un'esistenza nazionale. Ma questa denominazione rimase nelle terre germaniche quasi ufficiale fino al XV secolo"
ANNO 493
Nel corso dell'anno ci fu una sortita di ODOACRE dalle mura di Ravenna per cercare di rompere l'assedio. Inizialmente questo uscita improvvisa si era risolta in un successo, ma l'arrivo di altri contingenti a rinforzo degli assedianti presto capovolse la situazione ricacciando dentro le mura della città i ravennati.
Erano ormai passati tre anni da quando gli ostrogoti avevano iniziato l'assedio; ma la città resisteva a oltranza. Il blocco era totale sulle vie d'accesso della terra ferma, ma Ravenna aveva però il mare e proprio tramite questa via d'acqua provvedeva a fare i suoi rifornimenti con la vicina Rimini.
TEODORICO sprovvisto di mezzi marittimi lo scorso anno rivolse alcuni contingenti delle sue truppe proprio a Rimini; sia per bloccare i rifornimenti e sia per impossessarsi delle medesime imbarcazioni per usarle e chiudere con uno sbarramento il porto della città circondata.
Quest'ultima idea di Teodorico non ebbe il grande successo sperato. Infatti la città non si arrendeva, seguitava a resistere all'assedio.
ODOACRE capitolò quest'anno, a marzo, ma non per aver ceduto all'assedio ma per le pressioni del vescovo GIOVANNI che stipulò per la resa un trattato onorevole per entrambi; cioè che i due regnassero insieme in Italia, come consoli e fratelli, addirittura nello stesso palazzo reale di Ravenna.
Come pegno ODOACRE dava il figlio TELANO in ostaggio a TEODORICO. Quest'ultimo malvolentieri accettò la mediazione di Giovanni. Ma poi il 5 Marzo di quest'anno fece ingresso a Ravenna per prendere possesso di metà degli appartamenti imperiali.
Qui Teodorico organizzò una sontuosa festa per l'avvenuto accordo. Vi parteciparono sia ODOACRE, suo figlio e tutti i suoi più alti ufficiali. Ma alla fine del banchetto, TEODORICO balzò in piedi, accusò padre e figlio di tramare contro di lui, si avventò contro ODOACRE e TELANO e li trafisse entrambi con la spada.
Seguendo il suo esempio gli ufficiali ostrogoti massacrarono i loro colleghi nella stessa sala. Nel palazzo e anche fuori, fino ai sobborghi di Ravenna le truppe ostrogote di TEODORICO fecero fuori tutta la soldataglia di ODOACRE. Un proditorio massacro.
Quando l'ultimo dei seguaci di Odoacre fu eliminato, nel palazzo si fece gran festa.
Teodorico pur con un'azione così bassa, sperava adesso che sia il clero, che ANASTASIO il nuovo imperatore -che da due anni temporeggiava come il suo predecessore Zenone- gli concedesse la porpora di Re d' Italia. Ma a Costantinopoli non ne volevano proprio sapere.
Teodorico l'aveva sollecitata la nomina già un anno prima durante l'assedio di Ravenna, mandando Festo a Costantinopoli, che ritornò però a mani vuote. Poi appena eliminato Odoacre inviò Fausto Nigro con la stessa richiesta, ma il risultato fu lo stesso.
Lo storico Valesiano narra che Anastasio in effetti inviò a Ravenna le insegne reali, ma non accenna minimamente che con tali insegne Teodorico doveva fregiarsene. Fu lui a prendersi quello che formalmente non gli era stato concesso.
Qualcuno malizioso rammentò a Teodorico un po' di Storia Romana, narrando che a Roma, una volta, ai consoli che avevano fatto imprese come la sua si celebravano i fasti dei trionfi seguito dal riconoscimento senatorile.
Teodorico prese al volo queste reminiscenze del passato dimenticando che a Roma non esisteva più da molto tempo questa autorità; ma nonostante questo, in mancanza del riconoscimento che gli si negava, smise la divisa militare indossò il manto regale e si auto-nominò non imperatore ma dominus cioè "Governatore dei Goti e dei Romani".
Non è del tutto sprovveduto, Teodorico sa anche che la sua è una ribellione al pari di quella di Cesare sul Rubicone (non distante) e sa anche che i metodi degli imperatori sono molto sbrigativi, spesso anche traumatici.
Ed infatti pur sollecitando Costantinopoli a concedere quello che chiede si rivolge all'imperatore sempre come un'ufficiale subalterno della corte bizantina. Del resto un ufficiale lui è, nient'altro. E Anastasio non è disposto a consegnare l'Italia a un barbaro anche se è a capo dell'esercito come militum magister, ha la onorificenza di patrizio, quella di console, ed è Re degli Ostrogoti..
A questo punto l' Italia ha un capo come prima: a Odoacre barbaro si è sostituito un Teodorico barbaro. Entrambi convinti e anche decisi a fare i re o i vicari bizantini. Insomma la situazione non è cambiata e persistono in Italia le due fazioni: una favorevole alla conciliazione fra Romani e barbari e l'altra ostile, pronta quest'ultima a scontrarsi per prevalere.
ANNO 492
CHIESA E TEODORICO
Già nella sua prima conquista di Milano, il vescovo di questa città, LORENZO, a Teodorico e ai suoi ostrogoti gli aveva aperto le porte e offrì sue garanzie nell'aiutarlo. Fu proprio lui quando sull'Adda ci fu il sotterfugio del luogotenente Rufa, a convincerlo di aggregare i reparti voltabandiera di Odoacre.
Anche il vescovo di Pavia EPIFANIO (lo stesso che aveva tenuto ottimi rapporti con Odoacre)un ambiguo lo accolse con adulazioni a non finire, e Teodorico non si risparmiò nel fare gli elogi a questo alto prelato; fece battute come questa "Posare lo sguardo su di lui è un privilegio, vivergli accanto una garanzia, ecco un' uomo che non ha uguali in oriente".
Gli affidò in seguito persino la madre e la sorella.
L'altro vescovo di Ravenna, GIOVANNI, anche lui all'improvviso diventato un ambiguo filo-ostrogoto, si adoprò invece con ODOACRE cercando di convincerlo ad arrendersi, o al limite di proporre a entrambi di dividersi il regno in parti uguali, compresa la corte ravennate.
Insomma TEODORICO, come sta facendo ora il franco Clodoveo, si rese perfettamente conto dei vantaggi che gli avrebbero assicurati i buoni uffici della chiesa; infatti improntò il suo massimo rispetto e si diede molto da fare per ingraziarsela.
Ma lui era un barbaro e barbaro dimostrò di esserlo quando Giovanni dopo avergli preparato come negoziatore e intermediario un trattato che non era disonorevole per tutti e due i contendenti, Teodorico con il vinto ritornò ad essere il "barbaro sanguinario" (come vedremo)
A Roma viene eletto papa Gelasio.
(pontificato 492-496)
Di origini africane, Gelasio I fu arcidiacono e segretario del suo predecessore prima di essere eletto papa il 1° marzo 492.
Il suo pontificato fu caratterizzato da parecchie questioni. La più importante fu sicuramente quella di convocare e presiedere il concilio di Roma del 494, cercando di dirimere lo "SCISMA D' ORIENTE" (provocato da Acacio, patriarca di Costantinopoli) e dal quale concilio scaturì il famoso decreto che porta il suo nome e che distinse i libri sacri accettati dalla Chiesa cattolica, da quelli che la Chiesa considerò come apocrifi.
In quello stesso concilio, venne affermata la supremazia della chiesa di Roma su tutte le altre. Gelasio I combatté i pelagiani di Dalmazia e ristabilì nelle loro sedi i vescovi ch'erano stati scacciati durante le guerre di Teodorico contro Odoacre. Sostenne inoltre una controversia con gli eretici Nestorio ed Eutiche. Gli viene attribuito il "sacramentario romano", un manoscritto del quale fu ritrovato e pubblicato, nel 1680. Lasciò parecchie lettere, importanti per la storia del suo tempo, tra le quali una indirizzata all'imperatore Teodorico che così recitava : "...due sono i poteri, augusto imperatore, che principalmente governano questo mondo: il potere sacro dei vescovi e quello temporale dei re. Di questi due poteri il ministero dei vescovi ha maggior peso perchè essi devono rendere conto al tribunale di Dio anche per i mortali re".
Dal punto di vista del mantenimento dell'ortdossia cristiana riuscì a far abolire i " Lupercali" ( festa che avveniva tra il 15 ed il 18 di febbraio - del calendario Gregoriano - e che culminavano con la Februatio - un retaggio dei festeggiamenti al dio februo contro le pestilenze ed i mali dei demoni); sostituendo il tutto con la festività della "Madonna Candelora" del 2 febbraio (nda: festa della purificazione dell'anima più che di quella corporea).
Anzichè continuare nell'opera di ricchezza delle chiese e dei sagrati preferì andare incontro alle sofferenze della popolazione dovute in particolar modo alla grande carestia che imperversò durante tutto il suo regno.
Gelasio I morì il 21 novembre 496 e fu sepolto nel sagrato di San Pietro.
Forse per descrivere questa figura umana, oltre che di pontefice, valse molto di più una citazione di "Dionigi il piccolo": "...morì povero dopo aver arricchito i poveri !". Il calendario universale ancor oggi lo ricorda nel giorno della sua morte.
ANNO 491
L'ASSEDIO DI RAVENNA
Teodorico lo abbiamo lasciato nella pineta ravennate. L'assedio a cui ha sottoposto Ravenna da circa un anno si è ormai trasformato in un blocco totale (e proseguirà per altri due anni!).
Pur insediandosi con i reparti in una forma fissa nella pineta, Teodorico si muove in altre direzioni. Con altri contingenti di uomini trovò il modo di impadronirsi di altre città vicine e lontane, e nello stesso tempo completate le occupazioni ebbe modo di allacciare varie alleanze.
Non dimentichiamo che Teodorico è un barbaro, è un ostrogoto, è un ariano; eppure in questi anni, mentre le sue truppe sempre di piu' rinforzate con nuovi arrivi tengono in trappola ODOACRE a Ravenna, lui si muove fra vescovi ed ecclesiastici in un modo consumato. Sappiamo che Teodorico aveva studiato alla corte di Costantinopoli, che non era a digiuno di filosofia, di teologia, che sapeva il latino, il greco, oltre ovviamente la sua lingua madre, quella gota che gli permette qui in occidente di avere contatti con altri barbari, che sono molti all'interno e appena fuori il confine.
Quindi nessuna meraviglia nei tantissimi contatti personali con i funzionari romani, con quelli bizantini in Italia e con i vari capi barbari lasciati in Italia un po' da tutti: Vandali. Visigoti, Burgundi ecc. Ma quello che meraviglia è di essere entrato nelle simpatie dei prelati cristiani, nonostante le sua fede ariana e la sua origine che dovrebbero condannarlo tre volte; come ateo, come eretico e come barbaro. Poca simpatia quindi nell'aristocratica e ecclesiastica Roma, dove i barbari sono da tempo oggetto di disprezzo. Ma lui si dimostra formalmente rispettoso riconoscendo la superiorità dello spirito della civiltà latina.
Alcuni storici del suo tempo lo definiscono il più colto e civilizzato tra i sovrani barbari, mentre altri lo considerano un barbaro ignorante, e che a Costantinopoli aveva imparto una sola cosa; fare la guerra. Dotato di pochissimo acume politico. Il dissidio senza via d'uscita (che scoppierà fra non molto) fra cristiani e ariani ce lo tramandano come un ostinato "barbaro"; un ostrogoto a tutto tondo. Arrivò perfino a ribaltare l'editto delle unioni con gli stranieri; non più i romani che non dovevano sposare i barbari, ma secondo Teodorico -che ci teneva a tenere rigidamente divisi i due popoli- a proibire ai suoi barbari di unirsi ai romani. Un mitomane affronto per i romani dopo quello che avevano visto in questi ultimi anni.
Teodorico ambiva a un impero composto tutto da pura razza ostrogota. E per farlo si mise proprio contro la chiesa; quella che inizialmente nel suo primo periodo (questi primi dieci anni) lo aiutò molto. Fu la sua rovina! Ma anche la fortuna dell'Italia.
Ma torniamo a questo anno 491.
Mentre Odoacre è in trappola Teodorico ha il tempo di muoversi e di creare e tessere opportunistici ottimi rapporti diplomatici, e sapendo quale appoggio sta dando da un po' di tempo la chiesa a CLODOVEO re dei Franchi per diventare regnante di una intera regione, pensa di poter fare la stessa cosa anche lui con l' Italia.
Inoltre c'è una grossa novità a Costantinopoli, quest'anno muore ZENONE, l'imperatore amico-nemico che lo ha mandato quì, e da quì Teodorico ora non ha nessuna intenzione di andarsene. Non vuole certo ritornare nella inospitale Illiria, dopo aver visto la pianura padana veneta, la lombarda e quella emiliana.
Prima ancora di aver del tutto risolto la situazione con Odoacre (sotto assedio), Teodorico sollecitò a Zenone la sanzione del titolo di vicario imperiale detenuto da Odoacre, ma l'imperatore a Costantinopoli nemmeno prima di morire gli concesse la tanto attesa investitura.
D'altra parte gli uomini di Teodorico lo avevano già acclamato legittimo sovrano del Paese conquistato, e lui si era dato da solo il titolo di dominus, cioè signore dei Goti e dei Romani.
A Bisanzio intanto come successore di Zenone viene eletto un certo ANASTASIO I, che ha la stessa linea di Zenone riguardo alla negata investitura. Però in quanto a religione appoggia i monofisiti e tollera appena i cristiani ortodossi. Il nuovo imperatore non è un grande militare ma è però un ottimo organizzatore amministrativo e sulla "questione Odoacre" lasciatagli in eredità da Zenone, vuole prima vedere i risultati, quindi anche lui si prende tempo. E non aveva tutti i torti. Primo perchè non era lui ad aver promossa la spedizione, e inoltre Teodorico Ravenna non l'aveva ancora conquistata.
lunedì 23 giugno 2014
ANNO 490
ODOACRE ASSEDIATO A RAVENNA
IL LUNGHISSIMO ASSEDIO DI TEODORICO
ODOACRE rifugiatosi a Ravenna - mentre Teodorico ha l'impressione di avere in mano la situazione - prepara una strenua difesa nella città adriatica tagliando ogni sorta di via di comunicazione. La città per la sua posizione strategica e la natura del terreno (che non esiste, è tutta circondata da paludi) si presta benissimo a una difesa a oltranza.
Odoacre prevedendo un lungo assedio ha provveduto a fare delle grandi provviste per mesi e mesi; ma -qualora si andasse oltre- anche a provvedere a una via d'acqua via mare con Rimini. Inoltre con il suo stratagemma, sa che quando Teodorico verrà ad assediarlo portandosi dietro Tufa, il luogotenente con il suo contingente al momento opportuno passerà dall'altra parte beffando Teodorico dopo avergli fatto credere di essere un sostenitore della sua stessa causa: cioè di voler spodestare Odoacre.
Preparata dunque la città con un unica via di accesso sulla laguna ( pronta ad essere distrutta in caso di ripiegamento), Odoacre va incontro a Teodorico.
Teodorico non sospettando di nulla da Milano a luglio si mette in marcia; a Tufa ha perfino affidato un contingente di ostrogoti. Oltrepassata Bologna, si dirigono su Faenza e qui ad attenderlo c'è proprio Odoacre.
Dovrebbe dunque verificarsi lo scontro, ma ecco che al momento decisivo gli uomini affidati a Tufa disertano e passano dall'altra parte; il luogotenente torna a schierarsi con Odoacre che riprese così lui l'iniziativa.
Per Teodorico sarebbe stata la fine se l'arrivo di un aiuto provvidenziale portato da Vidimiro con i suoi Visigoti e da gruppi di Borgundi non l'avessero salvato, consentendogli di incalzare Odoacre fino quasi alle mura di Ravenna.
Abbiamo detto quasi, perchè Odoacre aveva previsto anche questo; arretrando sulla città ha chiuso l'ultima impenetrabile via di comunicazione con la terra ferma e si è asserragliato dentro le ultraprotettive mura di Ravenna. Lui non aveva problemi a resistere, Teodorico invece sì.
Teodorico infatti è costretto a fermarsi accampandosi in quelle belle pinete della terra ferma che circondano ancora oggi Ravenna.
Più che un accampamento il luogo si trasformò in un vero e proprio insediamento di ostrogoti che con la deliberata ostinazione di Teodorico durerà quasi tre anni.
ANNO 489
SCONTRO ODOACRE-TEODORICO
TEODORICO svernato nei pressi del confine italiano alle spalle dell' Isonzo, a marzo scende in Italia e si accampa proprio sulla riva sinistra del fiume. Obiettivo: attaccare Aquileia dove crede - in base ad alcune informazioni- lo sta aspettando l'uomo da battere.
Invece ODOACRE che ha avuto tutto il tempo di organizzarsi si era prima chiuso dentro la fortezza di Aquileia, ma poi riscontrato che quella città dopo la distruzione di Attila non era più sicura come un tempo, ha arretrato nella pianura veneta e si è rifugiato nella fortezza di Verona, molto più protetta ma anche con tre vie di scampo in caso di necessità strategica.
Teodorico lo insegue, a sua volta Odoacre abbandona Verona e arretra su Milano, poi si sposta su Cremona, poi a Pavia.
Il capo dei Goti lo tallona, ma non lo aggancia mai, diventa una giostra infernale con spostamenti di centinaia di chilometri in pochi giorni, un carosello architettato da Odoacre forse per farlo stancare, rinunciare. Mentre Teodorico conquista Milano, l'altro è a Cremona, e mentre lo sta per raggiungere a Cremona Odoacre ritorna su Milano, bloccando Teodorico a Pavia e a Cremona.
Risalendo TEODORICO da Cremona verso Milano, sull' Adda l' 11 Aprile avviene l'aggancio e lo scontro; ma la manovra non è che riesce bene a entrambi, uno non vince, ma l'altro nemmeno.
Ci guadagna però ODOACRE che sfugge all'accerchiamento di TEODORICO e tenta di rifugiarsi nella sua Ravenna, che più che una fortezza è un'isola protetta da tre quarti di laguna e l'altro quarto dal mare. Quasi inespugnabile.
Una mossa che però permette all'ostrogoto di ritornare su Milano e impadronirsi della intera Lombardia.
Nello scontro sull'Adda qualcosa di anomalo è però accaduto. Mentre Odoacre si sganciava e si metteva in salvo rifugiandosi a Ravenna, il suo luogotenente TUFA con metà esercito passava dalla parte di Teodorico.
Sembrò un tradimento, invece il passaggio al nemico era uno stratagemma di Odoacre già concordato con Tufa.
Teodorico abboccò all'inganno e accolse Tufa a braccia aperte.
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