martedì 25 febbraio 2014

ANNO 480

Mentre a Costantinopoli Zenone cerca di allontanare da sè Teodorico, suggerendogli di non occuparsi di Costantinopoli, ma di fare una spedizione in Italia per cacciarvi Odoacre; proprio l'uomo che gli ha "regalato" l'impero d'occidente trasformandolo nell'unica autorità imperiale, quasi continentale. Inoltre Odoacre non si sta proprio per nulla comportando male. Comunque di certo non si aspetta certamente questa ingratitudine da parte bizantina, anche perchè Odoacre aveva rinunciato a qualunque pretesa di cingere la corona imperiale.
L'unico macchia che forse ha preoccupato Zenone - è che nel corso di quest'anno avviene un fatto grave: l'uccisione di GIULIO NEPOTE - che non dimentichiamo fu scelto e mandato a fare l'imperatore a Ravenna, proprio da Zenone quando salì sul trono la prima volta nel '74.
Nepote si era reso responsabile di un ingenuo ma gravissimo errore quando arrivò a Ravenna, che pagò caro; aveva nominato patrizio e capo dell'esercito nientemeno che il capo dei barbari ORESTE. E proprio con queste funzioni di magister il barbaro subito dopo lo depose costringendolo ad abbandonare Ravenna e a rifugiarsi in Dalmazia.

Contemporaneamente nel '75 Basilisco con una congiura toglieva il potere a Zenone, e quindi nei successivi venti mesi -quando ci fu la discesa in Italia di Odoacre e l'uccisione di Oreste- sia Zenone che Giulio Nepote, erano fuori gioco; uno destituito, l'altro detronizzato.

Poi a fine anno (476) con l'aiuto di Teodorico, Zenone recuperò il trono. Proprio nel momento in cui Odoacre dopo essere sceso su Roma, gli rinviava le insegne imperiali dell'Impero d'Occidente.
Zenone tornò a governare (non uno ma due imperi), mentre Giulio Nepote, l'imperatore designato da lui per l'Occidente rimase confinato in Dalmazia. Del resto Odoacre -dopo averla conquistata a spese di Oreste- si era messo a governare lui l'Italia; aveva rinunciato al trono ma a comandare era lui.
Temeva forse Odoacre un rientro - con l'appoggio dei bizantini- di Giulio Nepote che era di stirpe e di casata bizantina?
Era forse d'intralcio a Teodorico che già sta pensando al suo futuro e non vuole rivali?
Forse Zenone prese contatti -per un'azione militare- con l'uomo che aveva già in precedenza designato?

GIULIO NEPOTE quest'anno morì assassinato da alcuni suoi ufficiali. E la sua eliminazione rimase un mistero. Ma teniamo presente che non lontano dalla Dalmazia c'erano gli uomini di Teodorico; ma nemmeno dobbiamo trascurare che subito dopo l'assassinio, Odoacre si precipitò a invadere la Dalmazia.

Tutto questo servì per allarmare ancora di più Zenone; i reciproci buoni rapporti tra l'imperatore e Odoacre iniziano ad essere difficili.

Nel frattempo in GALLIA, i Burgundi guidati da GONDEBALDO (nipote del diabolico Ricimero, che era rientrato dall'Italia, da Ravenna, cacciato proprio da Giulio Nepote) tentano di contendere alcuni territori ai Franchi e agli Allemanni lungo la valle del Rodano fino alla Durance, e altri territori a nord e a nordest, fino a Langres e ai dintorni di Solothurn. Ma avranno solo una temporanea fortuna e poco futuro. Il prossimo anno sale sul trono dopo la morte del padre un giovanissimo re dei Franchi, di 16 anni, CLODOVEO. Sarà lui il futuro dei Franchi - come leggeremo nei prossimi anni - lui a unificare la sua gente, lui a "creare" la Francia. - Anche se creò qualche problema quando la lasciò in eredità ai suoi discendenti; ma non sappiamo se loro erano degli incapaci, oppure li aveva lui resi incapaci, perchè Clodoveo aveva creato un regno patrimoniale e accentrato tutto il potere fino alla sua morte; due componenti che causarono poi discordie e lotte tra i suoi eredi. Tutti inetti, anche i successivi eredi; furono infatti denominati "re fannulloni".


ANNO 479


I rapporti tra ZENONE e TEODORICO, malgrado quest'ultimo era stato con i suoi uomini un utile alleato per farlo ritornare sul trono dopo la congiura del generale Basilisco che gli aveva tolto il potere. Zenone però lo ha poi ricompensato il capo ostrogoto solo con alcuni titoli, e nulla più. Mentre Teodorico si aspettava la cessione di alcuni territori bizantini, quelli che dalla Illiria scendono verso Tessalonica, cioè la Macedonia. Avrebbero così esteso gli Ostrogoti il loro regno dalla Pannonia fino al mare Egeo.

Non gratificato come si aspettava, TEODORICO senza indugiare, quest'anno la ricompensa decide di prendersela da solo. Dopo aver occupata la Macedonia, scende fino a Tessalonica; ma non si ferma qui; prosegue conquistando e occupando anche le coste limitrofe, poi scende in Tessaglia, ed occupa anche l'Epiro.

Non solo, ma sempre dai Balcani, Teodorico inizia a spostare parte della popolazione ostrogota verso la Tracia, quindi a ridosso delle prime sponde del Mar Nero, poco distante dalla stessa Costantinopoli.
Una mossa che iniziò a preoccupare molto Zenone.

La strada ormai Teodorico la conosce; l'ha già percorsa due volte quando dovette regolare i conti con Leone I, e quando nel '77 è corso in aiuto proprio dello stesso Zenone. In entrambi i casi il trionfatore era stato solo lui. Di questo Teodorico senza falsa modestia ne era cosciente, ma se non l'avevano capito a Costantinopoli, l'attacco di quest'anno serviva a proprio a farlo capire a tutti quelli della corte bizantina; ai nemici, ma soprattutto agli amici; cioè a Zenone che non ha - con i suoi meriti- solo recuperato con l'aiuto di Teodorico il trono dell'Impero d'Oriente, ma senza muovere un dito, nè un soldato, Zenone si è ritrovato improvvisamente -dopo quanto era accaduto in Italia e con il regalo di Odoacre- a capo di due imperi. E a parte tutte le altre motivazioni, Teodorico un po' di gelosa stizza deve averla provata.

Teodorico ha poco più di vent'anni, ha già alle spalle due grandi successi, e quindi ha delle grandi ambizioni. Non si accontenta dei titoli che Zenone gli aveva offerto come gratitudine, lui vuole dei territori per creare un grande regno Ostrogoto tutto suo.
Quando scenderà in Italia tenterà di trasformare in Ostrogoti anche i romani. Insomma l'ambizione iniziò a correre; pensava già in grande. Progettava un grande regno ostrogoto e non respingeva nemmeno l'idea di creare anche un grande impero tutto ostrogoto.
E da qualche parte doveva pur cominciare. Primo passo Costantinopoli, e sapendo già in che condizioni era l'esercito bizantino, non doveva poi essere tanto difficile salire sul trono e farsi proclamare imperatore; questa volta di due imperi. La posta in gioco era molto grossa.

Tutto questo Zenone lo temeva, e conoscendo bene Teodorico e sapendolo anche forte con i suoi barbari i timori erano più che giustificati.

Del resto Zenone non ha un esercito in grado di poterlo contrastare. Infatti l'occupazione che Teodorico ha fatto quest'anno sulle terre bizantine non ha richiesto un gran dispendio di energie; infatti non ha quasi incontrato grandi resistenze. E se invece di prendere a Tessalonica la strada di destra prendeva quella a sinistra che portava a Costantinopoli, anche su questo percorso alternativo non è che avrebbe trovato grandi ostacoli per andare a mettere sotto assedio la capitale.

Per la terza volta Zenone è fortunato, perchè l'unica scappatoia per liberarsi di Teodorico (dopo il "regalo" di Odoacre) potrebbe essere quella di mandarlo in occidente, convincerlo ad invadere l'Italia offrendogli il vicariato imperiale di Ravenna.
Con questa ingratitudine Zenone avrebbe ripagato Odoacre; che a Ravenna non si sta comportando proprio male; come politica interna ed estera. Ha conservato le leggi e le istituzioni romane; ha rioccupato la Sicilia e la Sardegna; sta tenendo a bada sui confini i Rugi. Ma purtroppo è destinato al "sacrificio". Zenone deve allontanare da sè e da Costantinopoli il pericoloso "amico-nemico" Teodorico.

Altra via d'uscita Zenone non ha. Ma non gli sarà facile. Dopo le ostilità di quest'anno gli occorreranno tre anni per rappacificarsi con Teodorico. Nell'83, quando lo nominerà patrizio, gli esporrà il progetto per l'invasione dell'Italia per deporre Odoacre, ed infine per dare più credito alle sue buone intenzioni, lo adotterà come figlio.

Tre anni difficili, anche perchè Zenone dovrà affrontare il problema politico- religioso che si sta trascinando ancora dall'epoca di Marciano e di Leone I. Seguitano ad esserci nel paese sollevazioni monofisite sempre più violente; e altrettanto violente sono le repressioni. Zenone tenterà di fare dei compromessi (editto Enotico) con le due fazioni, ma inutilmente. Anzi nel '84 ci sarà rottura fra la chiesa d'Oriente e quella d'Occidente. (scisma acaciano).

Altro problema - e anche questo farà ritardare gli approcci con Teodorico- è quello che il capo ostrogoto oltre che essere barbaro e anche ariano; e sia il clero bizantino che i nobili di corte -fedeli alle consegne di Marciano e di Leone- cercano in tutti i modi di ostacolare i progetti di Zènone.


ODOACRE





Un distruttore a sua insaputa. Si potrebbe usare questa locuzione per descrivere in maniera però corretta Odoacre, che, famoso e citato in tutti i libri di storia, dalle elementari alle superiori, come colui che pose fine all’Impero Romano d’Occidente e fece pertanto iniziare il Medioevo, nella realtà probabilmente non si accorse e non sospettò mai di entrare nella storia né come distruttore di imperi, né come titano capace di chiudere un’epoca.

Di lui si sa poco, pochissimo. Per esempio, anche se di certo era barbaro, e nemmeno si capisce di preciso che caspita di barbaro fosse: erulo, dice la tradizione maggioritaria, ma forse anche unno, rugio, o turco, o magari goto, o forse figlio di un principe sciro. Se era figlio di re, doveva aver però perduto le fortune di famiglia ben presto, perché le poche fonti antiche che a lui accennano ce lo descrivono come un ragazzino poverissimo, alto ed emaciato, coperto di pelli capra, che va a consultare un eremita per capire cosa fare della sua esistenza: l’eremita, dice la leggenda, lo invia in Italia, perché lì il suo destino era di trovare grande fortuna.

Non la trovò certo subito, Odoacre, anzi forse la inseguì tutta la vita prima di sfiorarla per un attimo. Quando si pensa alla fine dell’Impero romano si immaginano grandi invasioni di barbari che arrivano alle frontiere da fuori, travolgendo tutto e tutti; ma la realtà è che i Barbari all’impero stavano già dentro: erano la forza e la carne da macello degli eserciti romani da decenni, per non dire da secoli. Così iniziò la sua carriera nell’esercito anche Odoacre, il barbaro: allevato fin da giovanissimo in quella macchina da guerra che erano le legioni. Anni di marce infernali, combattimenti continui, a massacrare senza pietà altri barbari provenienti da qualche villaggio più in là del proprio. Ma con la certezza che l’esercito romano, pur in tutto quel caos e quella decadenza, era ancora un posto dove il merito veniva premiato, dove non contava da quale buco delle selve germaniche fossi uscito e quale cagna barbara fosse stata tua madre: se eri bravo, se eri lesto, facevi carriera.

E fa carriera, Odoacre. Nel 472 lo troviamo dentro alla Guardia Pretoriana, il corpo più scelto di tutto l’esercito: quelli che da secoli sono la guardia personale dell’imperatore. È un barbaro che si sa muovere nei palazzi del potere, questo ex ragazzino erulo, o forse turlingio, o forse rugio, che ha probabilmente conosciuto i morsi della fame da piccolo, la durezza della disciplina militare spietata volta a selezionare solo i più forti, è sopravvissuto all’orrore, ha imparato a conviverci e a renderselo amico. Oltre che alto e robusto è diventato veloce a cogliere ogni opportunità ed a fiutare chi è il padrone in ascesa. È necessario essere così, del resto, in quella corte romana vagabonda, che gira fra città minori e campi di battaglia, e in cui imperatori e principi si susseguono a ritmo forsennato, uccisi nel giro di pochi mesi in battaglia, per rivolte interne o per congiure e complotti orditi da uomini fedelissimi fino a qualche minuto prima.

Nel 473 viene nominato comes domesticorum, cioè comandante dei Pretoriani, di Glicerio, imperatore – è uno dei tanti imperatori meteora – che a sua volta prima era stato comandante dei Pretoriani e deve la sua elezione al fatto che il burgundo Gundobado, magister militum dell’impero, lo mette sul trono tanto perché sia occupato da qualcuno di malleabile. Perché ormai l’impero romano è questo: un caos in cui comandanti barbari burgundi, goti, eruli fanno e disfano gli imperatori a loro piacimento, scegliendoli fra i funzionari a loro fedeli che hanno un pedigree e un nome almeno romano, tanto per salvare le apparenze, e poi sostituendoli gli uni agli altri come si sostituiscono le pedine di un gioco. E come pedine di un gioco poi li sacrificano, quando non sono più utili.

Odoacre osserva queste cose, ma certo non si sconvolge né si stupisce: ha visto ormai di tutto, ed ha imparato a guardare ed apprendere. Rimane al servizio di Glicerio, che però, nonostante sia un comandante più che decente e riesca ad allontanare persino quasi la minaccia di una invasione Visigota, non viene riconosciuto dall’imperatore di Bisanzio, Leone I, come legittimo collega. L’imperatore d’Oriente, infatti, preferisce nominare legittimo Cesare d’Occidente il dalmata Giulio Nepote, che aveva un bel nome romano, una famiglia romanissima alle spalle e per giunta dell’imperatore Leone aveva persino sposato una nipote; la nomina fu confermata dal successore di Leone I, Leone II, che, giovinetto, associa al trono fra l’altro come reggente e collega a Bisanzio il padre, Zenone, che da ora in poi sarà il grande – e spesso maldestro – orchestratore di questa stagione finale dell’impero romano d’Occidente.

Appena nominato Cesare, Nepote lascia la Dalmazia e va in Italia, sbarcando a Ravenna. Comincia qui un periodo che, persino per i parametri piuttosto elastici che ha la confusione nel Tardo Impero, noi potremmo definire di torbido ed incomprensibile caos. Glicerio scappa da Ravenna a Roma, mentre Gundobado in Gallia raccoglie forse truppe per lui; Nepote si prepara allo scontro prima che il Burgundo arrivi. Ma di fatto lo scontro non c’è, perché, quando tutti si aspettano la carneficina alle porte dell’urbe, Glicerio, che fino a quel momento pareva intenzionato a difendere il trono fino alla morte, si arrende senza colpo ferire, e Nepote, che pareva intenzionato a fare del rivale cibo per i suoi cani, lo perdona graziosamente, anzi, gli offre in pratica una pensione, nominandolo vescovo di Salona, in Dalmazia.

Il ruolo di Odoacre in tutto ciò non è chiaro, ma si sospetta che sia stato determinante, ed anche ambiguo. Uomo chiave di Glicerio, manterrà i contatti con l’ex imperatore per tutta la vita, tanto che da re lo nominerà arcivescovo di Milano. L’arrivo del nuovo imperatore Nepote forse lo spiazza, ma certo non lo ferma: in quel coacervo di bande personali di barbari fedeli al proprio comandante, e ormai ignari del nome di Roma, che è diventato l’impero romano, Odoacre sa di potersi ritenere sicuro finché ha alle spalle i suoi uomini, che a lui obbediscono e a lui solo. Quindi, quando Nepote si insedia e si incorona vantandosi del bell’appoggio di Bisanzio, Odoacre se ne strafrega, perché ha già scelto a chi vendere, o meglio prestare i suoi servizi: a Flavio Oreste.

Il nome romano non inganni: Flavio Oreste era un mezzo barbaro, o meglio un romano solo di seconda generazione. Il padre Tatulo era un barbaro, ma i due figli, Oreste e Paolo, avevano fatto carriera e si erano ben inseriti nella classe dirigente: Flavio, per esempio, aveva sposato la figlia del conte Romolo del Norico (attuale Austria), diplomatico di gran prestigio alla corte romana, tanto che anni prima era stato il capo della delegazione che aveva trattato con Attila. Dalla moglie romanissima ed aristocraticissima, Flavio Oreste aveva avuto un figlio, chiamato Romolo come il nonno. È questo figlio, un bel ragazzino quattordicenne che può vantare una bella discendenza ed un nome uguale a quello del primo re di Roma, e non se stesso, che Flavio Oreste pone sul trono dell’impero, dopo che Nepote è scappato in Dalmazia perché non ha il coraggio di affrontarlo, e Flavio entra da signore in quella Ravenna che ormai pare la scena vuota di un teatro abbandonato, destinata ad essere riempita da questo rondò di imperatori che assomigliano ad ombre perché altrettanto velocemente compaiono e svaniscono.

Il regno di Flavio – pardon, di Romolo Augusto – dura un anno. Ma non è Flavio a comandare, e tanto meno il biondo fanciullino imperatore dai nomi così altisonanti: è il caos. I barbari che lo hanno aiutato a prendere il potere reclamano ora il compenso: vogliono che venga concessa loro una gran parte d’Italia, per stanziarvisi in modo definitivo. Oreste non cede, e non può: si possono concedere ai mercenari terre ai confini dell’impero, ma l’Italia no, i Romani non accetterebbero mai. Dice no, e allora Odoacre si ribella. Attacca Ravenna e fa strage di Flavio, della moglie e di Paolo, trucidandoli senza pietà. Risparmia, vai a sapere perché, Romolo Augustolo, il ragazzino imperatore. Dicono che fosse impietosito dalla sua bellezza; in ogni caso decide che non è una minaccia, e di fatto non lo sarà per nessuno. Gli concede di ritirarsi in un dorato esilio in una villa in Campania, dove vivrà al riparo dal caos il resto della sua esistenza. E tutto sommato, contando la sorte degli altri protagonisti, Romolo è quello che ha il destino migliore.

Presa Ravenna e destituito Romolo, Odoacre si ritrova padrone dell’Italia e con fra le mani la corona imperiale. E qui esita perché non sa bene che fare. È un barbaro, Odoacre: sveglio, romanizzato e smaliziato, ma barbaro. È così conscio di questo suo limite che si ritrova bloccato: persino Flavio Oreste non aveva osato nominarsi imperatore, perché per occupare il trono dei Cesari ci voleva un nome romano ed un pedigree all’altezza. I barbari possono essere soldati, diventare generali, persino essere quelli che in realtà gestiscono il potere: ma imperatori no. E lui, poi, con quel nome che rivela la sua origine, no, non può nemmeno tentare l’ascesa. Che fare, allora? Flavio aveva il figliolo, quel ragazzino che aveva usato come paravento; lui no. L’impero gli ha chiesto una dedizione ossessiva, senza tregua: non ha avuto il tempo di crearsi una famiglia, di avere figli: ogni attimo della sua vita era stato dedicato alla sua scalata verso il potere, per dimenticare la miseria delle lande nordiche dove era nato, per adempiere forse alla profezia del vecchio eremita. Così ora non sa come comportarsi, Odoacre. Proclamarsi imperatore non può, significherebbe battaglia con il Senato, una accolita di vecchi barbogi senza esercito, ma cattivi, acidi e ben ammanicati, quindi capaci di creargli grane a non finire. Ma poi gli serve davvero quel titolo? È un nome, in fondo. In tanti anni nelle retrovie del potere ha visto che il comando non è mai esercitato dal fantoccio che sta sul trono, ma dal suo entourage. È un barbaro pratico, Odoacre: di un titolo vuoto non sa che farsene. Quindi prende le insegne e la corona imperiale, le impacchetta con le dovute cautele, e le spedisce a Bisanzio, restituendole a quello che formalmente è il legittimo collega dell’ex imperatore e l’unico imperatore romano ancora in carica, ovvero Zenone. Con un formale atto di omaggio, che in realtà non significa nulla perché Zenone è troppo lontano e troppo insicuro sul trono per pensare a spedizioni militari punitive, gli scrive di non sentirsi degno del trono imperiale, ma di contentarsi di un titolo di patrizio romano. Forse è il parvenu che è in lui che parla, il complesso di inferiorità barbarico che esce inaspettato: vuole essere ammesso fra quella aristocrazia che ha sconfitto ma che considera, da bravo barbaro acculturato, il suo modello di riferimento ideale. Ragiona da barbaro romanizzato bene, Odoacre, fin nell’intimo dell’animo. Pensa magari ad un matrimonio con una romana che gli darà figli in grado di presentarsi come veri nobili e salire loro un giorno al trono. E anche quell’atto di restituire le insegne, anche solo per formalità, al legittimo proprietario, è romanissimo: è un omaggio ad un mondo in cui il Diritto è comunque sovrano, e il rispetto, se non altro formale, della legge è un fondamento indiscutibile.

Si rende conto, con il suo atto, di aver messo la parola fine all’impero d’Occidente, invece? No. Non se ne accorge lui e non se ne accorgono i contemporanei. Non certo i barbari mercenari al suo servizio, che di politica non capiscono granché, e vogliono sono un capo in grado di garantire loro le paghe e i doni promessi; non se ne accorgono i senatori, che ormai considerano queste sarabande di deposizioni dal trono la normalità, e passano il tempo a tramare per deporre l’imperatore in carica o trovarne uno nuovo; non se ne accorge Giulio Nepote, ancora in vita, a Salona, e ancora convinto, in fondo, di essere imperatore legittimo; non se ne accorge Zenone, che riceve le insegne con una certa perplessità, ma, da bravo bizantino spocchioso, è convinto che i barbari siano tutti stupidi e ignoranti, un sottoprodotto usa e getta, utili finché sono utili ai disegni e poi sacrificabili e sostituibili con altri quando non lo sono più.

Benignamente Zenone gli concede il titolo di patricius e Odoacre ne è felice come un ragazzino. Si proclama rex degli Eruli e si considera un mandatario legittimo di Zenone. Come tale si comporta, in una maniera così romana come non si vedeva da secoli: va d’accordo con il Senato, cui restituisce prestigio, conia monete di rame migliori e più curate di quelle emesse dagli ultimi imperatori, tratta la restituzione della Sicilia con i Vandali, stronca senza pietà i capi barbari che osano ribellarsi, non tanto alla sua potestà, ma a quella di Roma. Sconfigge persino l’uccisore di Giulio Nepote, tanto per chiarire che chi uccide un governatore romano, persino se è un fastidioso ex imperatore, poi deve fare i conti con lui. Emana leggi, sforna editti, scova persino un modo, lui ariano, di convivere con i cattolici e tratta con rispetto il Papa. Colui che passerà alla storia per aver posto fine all’impero nei fatti è il più strenuo restauratore del suo ordine, se ne sente il difensore ed il legittimo amministratore. Un amministratore tanto ligio ed efficiente che Zenone comincia ad esserne scocciato. Odoacre capisce che a Bisanzio le sue azioni non sono più guardate con benigno disinteresse, forse comincia anche a trattare con un cospiratore, Illo, che vuole scacciare Zenone ed impadronirsi del trono. Zenone fiuta il pericolo, e per quella sua idea che i barbari sono intercambiabili e comunque tutti meno intelligenti dei bizantini, decide di inviare il Italia, come una sorta di sicario personale, Teodorico, re degli Ostrogoti.

Teodorico è giovane, ambizioso, smaliziato quanto Odoacre, ma persino più furbo e crudele alla bisogna: entra nel gioco perché gli conviene, pur non fidandosi di Zenone, e fa il lavoro che gli viene assegnato con efficienza teutonica: scende in Italia, assedia Ravenna. Sono tre anni di sofferenze per la città, per porre fine alle quali il vescovo Giovanni propone un accordo di mediazione: Odoacre e Teodorico governeranno insieme. Nessuno dei due è contento della cosa: il vecchio leone ed il giovane si odiano, e non sono caratteri disposti a spartire il potere con nessuno. Arrivano al banchetto che dovrebbe celebrare la pace armati sino ai denti e con il segreto intento di uccidere l’avversario. Ma Teodorico è più giovane e più svelto con la spada: sul pavimento della sala del banchetto, a fine serata, giace il cadavere di Odoacre. Morto. Come l’impero.

ANNO 478

In Oriente ZENONE, riconosce come fatto compiuto (lo aveva già fatto nel '74 ma poi era stato destituito) la sovranità del regno Visigoto nella Francia meridionale e in Spagna. Dovrebbe farlo un sovrano d'occidente, ma ora è lui ad avere il mano tutti i destini dei due imperi.
Consapevole che allo stato delle cose era impossibile amministrare senza gravi contrasti gli ex territori del vecchio impero romano, Zenone ha preferito la soluzione della totale cessione.
Nel frattempo sta già pensando come occupare l'Italia prima che qualche ex generale barbaro o romano con qualche velleità (cosa non rara negli ultimi tempi) miri ad installarsi a Roma, a Ravenna o a Milano.
Non conosce personalmente ODOACRE, sa solo che è anche lui un barbaro, quindi, nonostante la sua sottomissione all'impero d'Oriente, Zenone resta piuttosto diffidente nei suoi confronti.

Odoacre ha rinunciato a qualunque pretesa di cingere la corona imperiale, ma lui in pratica in Italia si sta comportando da imperatore; distribuisce terre, fa nuove leggi, prende provvedimenti militari per fermare i Rugi sui confini e, prima della scomparsa di Genserico, dal capo vandalo si è fatto consegnare (alcuni storici dicono "riscattata") la Sardegna e anche la Sicilia (che non dimentichiamo prima era amministrata e federata dalla corte bizantina).
Insomma Odoacre regna e "impera". Mentre Zenone che forse aveva già l'uomo valido per fare una spedizione in Italia, cioè Teodorico, si gioca questo prezioso appoggio entrando in contrasto con lui per alcuni territori bizantini che il capo ostrogoto si è annesso; Zenone litiga proprio con l'uomo che ha contribuito a fargli riconquistare il trono ma che poi non ha ricompensato in modo adeguato; così Teodorico la ricompensa se l'è presa da solo.

Quello che però Zanone teme è una eventuale minaccia di Teodorico su Costantinopoli. Infatti o per calcolo o per altri motivi il re ostrogoto ha iniziato a spostare parte della sua popolazione in territori molto vicini alla capitale bizantina.

Gli astratti (perchè non possiede un vero esercito) progetti di Zenone per una invasione dell'Italia dovranno essere rimandati fino a quando nel 483 si rappacificherà con il re ostrogoto, adottandolo come figlio. Ma solo nel 488 riuscirà a convincerlo e fare un accordo per togliere l'Italia ad Odoacre. Spedizione che avverrà poi l'anno dopo, nel 488-489.

Odoacre iniziando da questo 477, continuerà a governare l'Italia indisturbato fino a quella data, e pur riconoscendo Zenone come unica autorità imperiale, questa sottomissione e questi buoni rapporti non durarono a lungo. Anche perchè Zenone ha preso la decisione di agire inviando Teodorico per invadere con i suoi ostrogoti l'Italia.
Ma anche per un uomo come Teodorico, l'impresa non fu facile. Per tre anni assediò Ravenna per catturare Odoacre. Poi si accordò, e nel banchetto festoso che seguì, per suggellare il patto, Teodorico di propria mano uccise a tradimento Odoacre.

Ma troveremo nei prossimi anni e nei particolari questi eventi che abbiamo qui frettolosamente anticipato.

Dobbiamo però fare anche questo parallelo: In CINA viene varata quest'anno una severa disposizione: divieto assoluto di matrimoni fra nobili aristocratici della vecchia stirpe e i "barbari" WEI. Che è molto simile alla legge Teodosiana che non voleva matrimoni fra cristiani e barbari, ma che a lungo andare questa interdizione fallì completamente non essendoci nella popolazione ricambi sufficienti. Fra l'altro tale legge da tempo aveva perso ogni significato risultando contradditoria.
Era infatti nata per proteggere alcune dinastie di nobili. Ma come abbiamo visto in questi ultimi anni, a dare in sposa le propria figlie ai barbari sono stati proprio gli stessi imperatori.

E in quanto a religione i barbari ultimamente saliti al potere sono tutti ariani. Un situazione questa che come leggeremo nei prossimi anni, provocherà profonde lacerazioni, prima religiose poi anche politiche. Come lo scontro di TEODORICO (ariano) con il futuro imperatore GIUSTINIANO (cristiano), compromettendo il grande progetto politico di Teodorico, ma anche quello dello stesso Giustiniano: cioè l'unificazione e la conciliazione fra romani e barbari.
Teodorico, quasi come rivalsa al disprezzo - lui non cessò mai di essere un vero ostrogoto - ribaltò la proibizione teodosiana, e cercò di impedire ai suoi ostrogoti di contrarre matrimonio con romani e con i cristiani. Anche lui -precursore di Hitler- ambiva al miraggio di una "razza pura", tutta germanica, tutta ariana, tutta ostrogota, addirittura in Italia.

(Da non confondersi con l'arianesimo dottrina di Ario, con l'arianesimo degli Arii, e quello di Hitler era appunto il secondo, e intendeva una etnia e non una religione).

Questo non significa che in Italia Teodorico abbia governato male. Anzi nello scenario degli ultimi decenni Teodorico fu il più colto e civilizzato tra i sovrani non solo barbarici; e tentò perfino, durante il suo lungo regno di costruire un Stato modello mutuando qualcosa dai bizantini e molto dai romani.
Ma tutto questo avvenne nel suo primo periodo, mentre invece nel secondo, i rapporti con la popolazione, con i Romani, con i Bizantini, e con il Cristianesimo (lui ostinatamente ariano) iniziarono a deteriorarsi.
Teodorico malgrado tanti anni di regno, non riuscì ad essere un grande statista; anzi cercando a tutti i costi di esserlo commise i suoi più grossi errori.

Ma tutti questi eventi, militari, civili, religiosi li ritroveremo anno per anno nelle prossime pagine.
TEODORICO regnerà fino al 526, e di fatti positivi e negativi in questo lungo periodo ne accaddero moltissimi.

IN INDIA, gli Unni Bianche Eftaliti, insediatisi poco distante, prima con sporadiche incursioni poi effettuando vere e proprie invasioni dei territori, mettono in serie difficoltà l'Impero indiano dei GUPTA. Con grandi difficoltà sta ora regnando l' ultimo imperatore di questa dinastia -eletto nel 467- BUDHAGUPTA. Tutto l'impero - come quello romano- con queste invasioni barbariche è da alcuni anni in decadenza

IN CINA MERIDIONALE Viene abbattuta la dinastia dei SUNG, sostituita l'anno seguente da quella dei CH' I meridionali.

ANNO 477

GENSERICO - Il re dei Vandali, che ha governato ininterrottamente per 47 anni anni, muore quest'anno in Africa. Non conosciamo il suo anno di nascita, ma se facciamo alcune considerazioni, se era partito dalla Spagna già come capo dei Vandali, si presume che avesse allora 25-30 anni, quindi dovrebbe essere morto all'età venerabile di circa 75-80 anni.

Gli succede il figlio UNERICO, ma è una eredità quella del padre molto difficile da amministrare e quindi conservare. In poco più di una generazione, della grande conquista di Genserico non rimase più nulla. Trionfò solo la pusillanimità degli eredi.

Genserico, Re dei Vandali:



Genserico re dei Vandali e degli Alani. - Figlio (m. 477) del re Godigiselo, successe al fratellastro Gunderico nel 428. Dalla Spagna tentò la conquista dell'Africa, sollecitato, sembra, dal governatore stesso di quella provincia, il romano Bonifacio. L'avanzata fu arrestata soltanto quando l'imperatore d'Occidente riconobbe a G. il possesso della Numidia (435). Ma nel 439 G. ruppe l'accordo occupando Cartagine, per passare, l'anno successivo, a saccheggiare la Sicilia. Nel 442 un nuovo trattato comportava il reciproco riconoscimento tra lui e Valentiniano III; ma nel 455, dopo l'uccisione dell'imperatore in una congiura e la sconfessione, da parte romana, del fidanzamento tra Eudocia, figlia di Valentiniano, e Unnerico, figlio di G., questi attaccò l'Italia, spingendosi fino a Roma; se papa Leone Magno, muovendogli incontro, ottenne che la popolazione fosse risparmiata, la città fu invece orrendamente saccheggiata per 14 giorni; Eudocia fu portata in Africa col resto della preda. G. s'impadronì quindi delle isole del Mediterraneo occid., cedendo nel 476, in cambio di un tributo, la Sicilia a Odoacre. Famosa la distruzione nel 468 della flotta bizantina, incendiata davanti a Cartagine.


ANNO 476- L'Anno zero

GLI ULTIMI IMPERATORI D'OCCIDENTE - (395-476) - Dopo Costantino, il successore Teodosio divise l'impero tra i suoi due figli: Arcadio ebbe l'Oriente; Onorio l'Occidente (395). Si ebbe così un Impero d'Oriente, con capitale Costantinopoli, e un Impero d'Occidente con capitale Roma (dopo trasferita prima a Milano poi a ravenna). L'Impero d'occidente ebbe un rapido declino: barbari di ogni specie lo invasero (Visigoti, Svevi, Burgundi, Franchi, Sassoni, Vandali, Unni). I Vandali di Genserico misero perfino a sacco Roma (455). In pochi anni, a Ravenna -divenuta la capitale- si susseguirono vari imperatori creati e deposti da generali barbari.
Arriviamo dunque a questo 476 con Odocare generale barbaro che depone Romolo Augustolo, e viene acclamato re dai barbari. Questa segna la fine dell'Impero Romano.







ORESTE -  Passano i giorni, passano i mesi, tutte le tribù, tutte le milizie barbare, aspettano. Sono impazienti, le feste per la vittoria sono finite, adesso tutti premono su Roma, dove hanno un loro imperatore, cominciano a diventare minacciosi, si uniscono anche quelli che non avevano mai partecipato a una battaglia, a una missione; quelli che non hanno mai fatto una sola volta la sentinella a un fortino, ci sono tutti; più di tutti, perchè ci sono anche ex romani scontenti, diventati negli ultimi anni degli anarchici.

ORESTE non può cantare vittoria, il 23 agosto si mette la corona in testa, proclama "cesare" anche suo figlio ROMOLO (detto AUGUSTOLO) ma non basta, adesso per lui il pericolo non viene piu' da Roma e dall' l'Italia impotente, ma viene dalla sua stessa terra, dai suoi germanici; non si capisce piu' chi sono, sono delle bande che si dovrebbero chiamare milizie e invece sono gruppi che forse riponevano un po' troppa fiducia in un capo che non aveva nessuna diplomazia e nessun senso dello Stato. Eruli, Alani, Sciri, Turcilingi e tanti altri che andavano dal Reno, all'intero bacino del Danubio, e fino in Tracia sul Mar nero gli presentarono il conto. Volevano un terzo delle terre conquistate, era finalmente giunta la loro ora di conquista del territorio che avevano da decenni, alcuni da secoli abitato, difeso, ma sempre per conto degli imperatori romani. Ora avevano un loro imperatore e si aspettavano la giusta ripartizione, per viverci definitivamente in pace.

ORESTE non seppe o non volle accontentarli, il potere assoluto gli aveva dato alla testa anche a lui. Tutte le tribu' sia quelle in Italia che quelle fuori, si trovarono contemporaneamente tutte d'accordo a eleggere loro capo una sola persona: l'erulo ODOACRE; quell ex bambino, figlio di quell' EDICONE, amico proprio di ORESTE, che aveva negli anni precedenti preso in braccio, giocato insieme, quand' era fanciullo, portato sul suo cavallo nella campagne militari; ed era proprio quel ragazzino che gli si rivoltava contro; che però ora era capitano, ed aveva tutto l'appoggio dei suoi soldati.

ODOACRE, proclamato il capo di tutti barbari, scese in Italia e dichiarò guerra a ORESTE, nel frattempo riparato a Pavia. Questa città pagò la cancellazione dalla faccia della terra con tutti i suoi abitanti con donne e bambini sgozzati, poi fu arsa, solo per aver dato rifugio al barbaro megalomane, che riuscì nell'ora critica però a fuggire, ma non lontano, si fermò a Piacenza; qui fu raggiunto da ODOACRE il 28 agosto.
Dopo soli 5 giorni da Imperatore, proprio a Piacenza, Oreste fu decapitato. Il figlioletto (Romolo Augustolo di sei anni) a Odoacre gli fece tenerezza, lo risparmiò, lo depose ufficialmente e lo mandò a vivere con una congrua pensione in una sfarzosa villa in Campania, nei pressi di Napoli, a Capo Miseno; una villa fatta costruire da Mario, arredata da Lucullo.
Odoacre sceso poi su Roma, inizia a distribuire ufficialmente un terzo delle terre fondiarie ai barbari d'Italia e a quelli del suo seguito; poi riscatta dai Vandali di GENSERICO anche la Sicilia ed infine, rinunciando a qualunque pretesa di cingere la corona prende le insegne imperiali e le rinvia all'imperatore ZENONE a Costantinopoli. 



Con questa data si considera convenzionalmente finito l'Impero Romano d'Occidente e l'Evo Antico.

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